REPORT LIVORNO - VAL DI CORNIA 2021

 

 




 

REPORT SU LIVORNO E VAL DI CORNIA 2021

A cura di Salvatore Calleri e Renato Scalia

LIVORNO

Livorno è un comune di 157.024 abitanti capoluogo dell'omonima provincia in Toscana.Terza città della regione per popolazione (dopo Firenze e Prato), ospita da sola quasi la metà degli abitanti della propria provincia; con i comuni limitrofi di Pisa e Collesalvetti costituisce inoltre un vertice di un "triangolo industriale" la cui popolazione complessiva ammonta a oltre 260.000 abitanti. È situata lungo la costa del Mar Ligure ed è uno dei più importanti porti italiani, sia come scalo commerciale sia come scalo turistico, centro industriale di rilevanza nazionale, da tempo in declino, tanto da essere riconosciuta nel 2015 come "area di crisi industriale complessa".

Tra tutte le città toscane è solitamente ritenuta la più moderna,sebbene nel suo territorio siano presenti diverse testimonianze storiche, artistiche e architettoniche sopravvissute ai massicci bombardamenti della seconda guerra mondiale e alla successiva ricostruzione...

Il porto di Livorno è, sin dalle sue origini, uno dei più importanti del Mediterraneo: può movimentare qualsiasi tipo di merce, da quella liquida a quella solida in rinfusa, alle automobili, ai prodotti congelati, alla frutta, agli impianti destinati alle imprese industriali, ma soprattutto movimenta migliaia di containers in arrivo e in partenza per tutto il mondo. A servizio del porto mercantile, nel territorio comunale di Collesalvetti, si trovano inoltre l'interporto Vespucci e l'autoparco del "Faldo", che contribuiscono a configurare Livorno e le aree limitrofe come una piattaforma logistica di importanza nazionale.

Inoltre il porto labronico è anche un frequentato scalo passeggeri, capace di ospitare anche i più grandi transatlantici del mondo, come il "Queen Mary 2", che ha fatto di Livorno una rotta abituale...

 Fonte wikipedia

 

La situazione del Porto di Livorno (e non solo)

 

 

1.    PORTO DI LIVORNO: SNODO STRATEGICO PER I TRAFFICI ILLECITI INTERNAZIONALI

 

Da tempo, il porto di Livorno è diventato snodo strategico dei traffici illeciti, a livello internazionale.

 

Fonte: Relazione 2019 della DCSA (Direzione centrale per i servizi antidroga)

“...Le indagini coordinate da questa Direzione confermano che la contaminazione di containers risulta la modalità preferita per le tratte oceaniche. A tal proposito, i maggiori sequestri registrati nei porti di Genova e Livorno, rispetto a quello di Gioia Tauro (RC), indicano che l’individuazione del porto prescinde dall’area criminale di interesse e dal territorio controllato dall’organizzazione, ma avviene sulla base delle aderenze che la stessa può garantirsi, anche all’estero, nonché delle capacità logistichedi controllo e gestione di società di trasporto merci, non solo per via marittima...”.

 

2.    OPERAZIONI POLIZIA PORTO DI LIVORNO

 

E' stata eseguita una ricerca su “fonti aperte” (sono state consultate, in particolar modo, le relazioni della DNA, DIA e DCSA).

Da mettere in evidenza il fatto che la ricerca relativa agli anni '80 e inizio anni '90 non ha portato alcun risultato.

Occorre tener presente che, all'epoca, i documenti di analisi delle Forze di polizia erano assai carenti, se non del tutto insistenti. Oltretutto, quelli che c'erano, non venivano divulgati.

Si tenga presente che la DIA, istituita nel 1991, ha iniziato a produrre le relazioni semestrali nel 1992, oltretutto, all'inizio in maniera estremamente sintetica.

 

Di seguito l'elenco delle operazioni più rilevanti eseguite nell'ambito dello scalo portuale dal 1997 al 2020.

 

 

CLAN

DATA

SEQUESTRO

PROVENIENZA

 

1997

Traffico internazionale autovetture lusso

Italia per altri Paesi

 

1998

Kg. 16 cocaina

 

Op. Golden Plastic (1):

Sodalizio criminale transnazionale

Dal 2009

al 6/12/2011

Plastica e gomma

Cina, Vietnam e Corea

Op. Decollo ter e Op. Meta 2010 (2)

Mancuso (Limbadi – VV), Piscopisani (Piscopio – VV), Nirta-Strangio (San Luca - RC), Bellocco e Pesce  (Rosarno - RC), Papaniciari (fraz. Papanice di Crotone)

10/11/11

Kg. 1.200 cocaina

Cile

 

16/12/11

Medicinali

Cina

(3)

Birra- Iacomino (Ercolano – NA),

FabbrocinoCasalesi

Dal 2009 al 2013

Plastica e rifiuti tessili

Cina - Tunisia

Op.Stammer (4):

‘ndrina Fiarè (San Gregorio d’Ippona - VV),  ‘ndrina Pititto-Prostamo-Iannello (Mileto  - VV),  gruppo egemone sulla contigua San Calogero (VV), organizzazioni satellite cosca  Mancuso(Limbadi - VV), con la  partecipazione delle più note ‘ndrine  Piana di Gioia Tauro (RC) e  provincia di Crotone

21/08/15

Kg. 63 cocaina (carico di prova),

Kg. 8.000 sequestrati in Colombia

Colombia

 

13/05/16

Kg. 130 cocaina

Rep. Domenicana

Op. Vulcano (5)

Piromalli-Molè 

(Gioia Tauro–RC), Alvaro (Sinopoli – RC) e Crea (Rizziconi-RC)

08/07/16

Cocaina

Panama

Op. Akuarius (6):

I Pesci

Piromalli-Molè 

(Gioia Tauro - RC)

12/09/16

Kg. 134 cocaina

Sud America

Op. Gerry (7)

Bellocco (Rosarno), Molè-Piromalli (Gioia Tauro),

 Avignone  (Taurianova)  Paviglianiti del versante ionico reggino

23/03/17

Kg. 357 cocaina

Kg. 17 codeina

Sud America

Op. Miracolo (8)

gruppo Cademartori-Ponzo (contiguo sodalizi mafiosi etnei, in particolare ai clan Pillera-PuntinaLaudaniCursoti,

Gionta (Napoli),

gruppo Cilione (Melito Porto Salvo-RC), Barbaro (Platì – RC),  Luongo  (Manfredonia – FG).

28/03/17

Kg. 215 cocaina

Costa Rica

Op.  End of Waste

11/10/17

Traffico rifiuti metallici contaminati

Italia x Pakistan, Cina, Indonesia, Corea

 

13/03/18

Kg 223,69 cocaina

Cile

 

25/04/18

Kg. 7 cocaina

Ecuador

 

28/04/18

Kg. 40 cocaina

Colombia

Op. White Iron (9)

Ciarelli-Di Silvio (attivo Latina,  legato ai Casamonica)

27/07/18

Kg. 80 cocaina

Cile

 

30/01/19

Kg. 644 cocaina

Honduras - Spagna

 

21/06/19

Kg. 55.193 rame

Venezuela

 

01/11/19

Kg. 300 cocaina

Brasile

 

25/11/19

Kg. 10.000

rifiuti spec. pericolosi

Italia x Marocco

 

21/01/20

Kg. 14.000

rifiuti tessili

Italia x Senegal

 

24/02/20

Kg. 3.330 cocaina

Colombia

 

28/04/20

Kg. 40 cocaina

Colombia

 

30/05/20

Kg. 11.000

rifiuti spec. pericolosi

Italia x Senegal

 

23/09/20

Kg. 3.000

(300 bombole)

gas

Cina

 

 

(1) Operazione Gold Plastic, della Procura di Taranto e Dda di Lecce che ha consentito di disvelare l’esistenza di un sodalizio criminale transnazionale dedito all’illecito traffico transfrontaliero di ingenti quantitativi di rifiuti speciali, costituiti da plastica e gomma generati da aziende nazionali operanti nello specifico settore, destinati all’area asiatica. L’attività criminosa si sostanziava nella predisposizione di falsa documentazione costituente il fascicolo  dell’esportazione (bollette doganali, documenti di trasporto, fatture di vendita) finalizzata ad eludere gli organi di controllo circa la reale destinazione dei rifiuti stessi. I soggetti di etnia cinese coinvolti nell’indagine si sono rivelati anelli di collegamento tra le aziende nazionali fornitori dei rifiuti e gli impianti di recupero asiatici. Nel corso dell'indagine, avviata nel gennaio 2009,  sono stati sequestrati, nel porto di Taranto ed altri scali marittimi nazionali, tra cui  quello di Livorno, 114 container ed oltre 2.600 tonnellate di rifiuti speciali e di accertare, complessivamente, un traffico illecito di quasi 34.000 tonnellate di rifiuti speciali diretti verso Cina, Vietnam e Corea.

 

(2) Operazione Decollo ter (Op. Meta 2010), iniziata nel 2004 con l'operazione Decollo, i Carabinieri del R.O.S. hanno arrestato 27 persone, alcune delle quali affiliate alla ‘ndrangheta, perché responsabili di associazione finalizzata al traffico internazionale di sostanze stupefacenti, estorsione, intestazione fittizia di beni e reimpiego di capitali illeciti, con l’aggravante mafiosa. Le indagini del ROS hanno permesso di accertare un traffico di tonnellate di cocaina tra il Sud America, l’Australia e l’Europa, ad opera delle cosche vibonesi (Mancuso, Piscopisani) e jonico-reggine (Nirta Strangio, Bellocco e Pesce di Rosarno, Papacinari) che si approvvigionavano dalle organizzazioni narcoterroristiche colombiane (Autodefensas Unidas de Colombia - AUC). Gli investigatori hanno anche individuato i circuiti di impiego dei proventi del traffico. Nel corso dell’operazione sono state anche sequestrate tre società di autotrasporti, attive nel settore della grande distribuzione e controllate dall’organizzazione. 

 

(3) 26 aprile 2017,  98 persone indagate e 61 società coinvolte (Prato, Montemurlo, Arezzo Veneto e Campania) nell'ambito dell'inchiesta svolta dai carabinieri forestali, coordinati dalla Dda Firenze, relativa ad un'associazione per delinquere di tipo transnazionale dedita al traffico di rifiuti industriali (plastica e stracci) dall'Italia alla Cina. I rifiuti  partivano da diversi porti italiani tra i quali Livorno, Genova e Venezia.   Un cittadino cinese residente a Prato  era uno dei principali responsabili del traffico di merce. Alcuni interessi sarebbero esercitati anche dal clan camorristico "Fabbrocino", costola dei Casalesi. Coinvolti nel traffico transnazionale sono anche i noti  Vincenzo e Ciro Ascione, padre e figlio, originari di Ercolano, ma di fatto attivi da tempo a Prato, legati al clan della camorra Birra-Iacomino di Ercolano (NA).

 

(4) Operazione “Stammer”  (Proc. pen. 9444/14 RGNR DDA del Tribunale di Catanzaro), la Guardia di Finanza ha eseguito il fermo di 74 soggetti tra Calabria, Sicilia, Campania, Lazio, Emilia Romagna, Veneto, Lombardia e Toscana. L’attività investigativa aveva evidenziato l’esistenza di diversi gruppi criminali, attivi nel traffico internazionale di sostanze stupefacenti provenienti dall’America latina, riconducibili, in prevalenza, alle ‘ndrine dei FIARÈ di San Gregorio d’Ippona (VV), a quella dei PITITTO-PROSTAMO-IANNELLO di Mileto (VV) e alla più potente MANCUSO  di Limbadi (VV).

 

(5)           Operazione “Vulcano”, la Direzione Distrettuale Antimafia di Reggio Calabria ha disarticolando un’associazione per delinquere, aggravata dalla transnazionalità, finalizzata al traffico illecito di sostanza stupefacente del tipo cocaina per conto delle potenti cosche di ‘ndrangheta MOLÈ, PIROMALLI, ALVARO e CREA. L'inchiesta ha permesso di accertare l’esistenza di un gruppo criminale articolato su più livelli, comprensivo di squadre di operatori portuali infedeli e dotato di elevatissime disponibilità finanziarie, costituito allo scopo di reperire e acquistare all’estero, importare (prevalentemente attraverso i porti panamensi di Cristobal e Balboa), trasportare in Italia attraverso cargoship in arrivo, tra l’altro, nei porti di Rotterdam, Livorno, Napoli, Salerno, Genova e Gioia Tauro nonché commercializzare ingenti quantitativi di cocaina. Le attività di indagine hanno consentito, in particolare, di disvelare una nuova metodologia di importazione della cocaina - adottata dall’organizzazione criminale - più sofisticata e, allo stesso tempo, più prudenziale rispetto a quella tradizionale basata sulla “esfiltrazione” della sostanza stupefacente attraverso l’ausilio di operatori portuali infedeli che, sfruttando le mansioni esercitate all’interno degli scali portuali, effettuano, dietro precise disposizioni, l’apertura dei container d’interesse nonché il prelievo del carico illecito (come acclarato nel corso di precedenti attività di polizia giudiziaria come, ad esempio, nell’operazione sempre del G.O.A. di Reggio Calabria “Puerto Liberado”). Infatti, l’associazione ha gestito, in questo caso, il traffico di cocaina al fine di procedere al trasbordo dello stupefacente in mare aperto, in una zona meno presidiata dalle Forze di polizia, da una cargoship a piccole imbarcazioni.

 

 

(6) Operazione “Akuarius” (Proc.pen. 2514/14 NR e 4723/16 GIP del Tribunale di Firenze nonché 4566/16 NR e 2535/16 GIP del Tribunale di Livorno),   l’Arma dei Carabinieri e la Guardia di Finanza hanno concluso che ha fatto luce su un sodalizio dedito al narcotraffico tra i Paesi dell’America latina ed il porto di Livorno. L’indagine ha evidenziato l’intreccio tra soggetti residenti nella provincia di Livorno ed elementi della ‘ndrangheta gruppo I PESCI”, PIROMALLI-MOLÈ  (Gioia Tauro – RC), nonché di arrestare il responsabile dell'omicidio del trafficante toscano Raucci Giuseppe avvenuto a Tirrenia (PI) il 9 dicembre 2015. L’episodio omicidiario è ritenuto uno dei più inquietanti avvenuti in toscana dal valore, altamente rappresentativo, della penetrazione delle cosche calabresi e della loro pericolosità. Il ricorso - nei casi estremi – all’applicazione, anche, oltre i confini regionali di origine, delle regole ferree che ne disciplinano l’agire, costituisce la spia di uno spaccato che ha visto allearsi trafficanti toscani con elementi calabresi stanziati nel territorio.

 

(7) Operazione “Gerry” la Guardia di Finanza, coordinata dalla DDA di Reggio Calabria, ha arrestato 19 soggetti, ritenuti responsabili di far parte di un’organizzazione criminale dedita al narcotraffico tra l’Italia (in alcuni casi lo stupefacente era destinato al porto di Livorno) e il Sud America. In questo caso, l’attività investigativa ha evidenziato legami trasversali tra soggetti legati alle famiglie BELLOCCO di Rosarno, MOLÈ-PIROMALLI di Gioia Tauro, AVIGNONE di Taurianova e PAVIGLIANITI del versante ionico reggino. Tra gli indagati figurano elementi residenti nelle province di Firenze e Pistoia.

 

(8) Operazione Miracolo, OCCC n. 44647/17 RGNR-27601/17 RGGIP emessa il 18 febbraio 2019 dal Tribunale di Milano. Tra i mesi di ottobre e novembre 2018, a conclusione dell’inchiesta, la Polizia di Stato ha eseguito una misura restrittiva nei confronti di 39 soggetti dediti al traffico internazionale di stupefacenti. In una prima tranche sono stati arrestati affiliati al gruppo CILIONE, originario di Melito Porto Salvo-RC, attivo principalmente nello spaccio di droga nel quartiere milanese di Bonola e a Robbio; nonché soggetti affiliati al gruppo CADEMARTORI-PONZO (contiguo ad alcuni sodalizi mafiosi etnei, in particolare ai clan PILLERA-PUNTINALAUDANICURSOTI che avevano il compito di organizzare l’importazione dello stupefacente) e al clan napoletano GIONTA. In una seconda tranche, sono stati tratti in arresto gli uomini legati ai gruppi LUONGO di Manfredonia (FG) e BARBARO di Platì (RC), protagonisti dello spaccio di droga nel quartiere milanese di San SiroLe indagini hanno posto in risalto l’estrema capacità di tali gruppi di entrare in connessione tra loro per il raggiungimento di un obiettivo comune.

 

(9) Operazione White Iron, conclusa nel gennaio 2018 con il sequestro di 80 kg di cocaina presso lo scalo portuale di Livorno, la sostanza, prodotta in Colombia, era stata occultata in un container proveniente dal Cile. L’attività si è conclusa il successivo 27 luglio con l’esecuzione di un provvedimento cautelare (OCCC n. 694/18 RGNR e 3043/18 RG GIP emessa il 25 luglio 2018 dal Tribunale di Livorno) nei confronti di tre soggetti, tra i quali un esponente sinti della famiglia CIARELLI – DI SILVIO, attiva a Latina e legata ai CASAMONICA.

 

Operazione Santa Fè del giugno 2015, la procura di Reggio Calabria ha smantellato un'organizzazione criminale che coinvolge le FARC (Fuerzas Armadas Revolucionarias de Colombia) e la 'ndrangheta. Un traffico di cocaina che dal cuore della foresta Amazzonica colombiana arriva fino ai porti italiani di Gioia Tauro, Livorno, Genova e Vado Ligure.  Quarantadue arresti, 38 in Italia e quattro in Spagna, oltre quattro tonnellate di cocaina sequestrate e milioni di euro tolti dalle mani di un’organizzazione mafiosa che, capeggiata dalle 'ndrine AlvaroPesce e Acquino-Coluccio, si estendeva fino all’America Latina.

 

Da tenere presente, infine, anche gli ingenti sequestri di merce contraffatta.

Questo, ad esempio, è il resoconto della Guardia di Finanza relativo ai provvedimenti adottati nello scalo marittimo di Livorno nei primi 7 mesi del 2012:

    53 milioni di falsi sequestrati;

    6mila responsabili denunciati;

    94 affiliati ad organizzazioni criminali dedite al falso arrestati (italiani nel 41% dei casi);

    2 milioni di euro al giorno di giro d'affari dell'economia criminale.

 

NB: considerati gli importanti sequestri, laddove non sono stati individuati i narcotrafficanti, è più che plausibile che la sostanza stupefacente era “movimentata” da organizzazioni criminali, anche di stampo mafioso, sia italiane sia straniere.

 

3.    DIPENDENTI INFEDELI

 

Come messo in evidenza dalla DCSA nella sopracitata relazione del 2019, la criminalità organizzata può avvalersi di “aderenze” nello scalo portuale di Livorno. Ciò è stato appurato nell'ambito di alcune delle operazioni di polizia sopra indicate.

Nello specifico:

Operazione Vulcano

Associazione per delinquere, aggravata dalla transnazionalità, finalizzata al traffico illecito di sostanza stupefacente del tipo cocaina per conto delle potenti cosche di ‘ndrangheta MOLÈ, PIROMALLI, ALVARO e CREA, che si avvalevano  di operatori portuali infedeli che, sfruttando le mansioni esercitate all’interno degli scali portuali, effettuano, dietro precise disposizioni, l’apertura dei container d’interesse nonché il prelievo del carico illecito.

 

Operazione Akuarius.

L’Arma dei Carabinieri e la Guardia di Finanza hanno concluso l’operazione “Akuarius” (Proc.pen. 2514/14 NR e 4723/16 GIP del Tribunale di Firenze nonché 4566/16 NR e 2535/16 GIP del Tribunale di Livorno), che ha fatto luce su un sodalizio dedito al narcotraffico tra i Paesi dell’America latina e il porto di Livorno. L’indagine ha evidenziato l’intreccio tra soggetti residenti nella provincia di Livorno, tra i quali due guardie giurate in servizio nel porto di Livorno, ed elementi della ‘ndrangheta della provincia di Vibo Valentia.

L’organizzazione si occupava di tutta la parte logistica e organizzativa delle importazioni di stupefacente imbarcato su navi provenienti dal sud America, provvedendo, con la necessaria partecipazione di personale portuale,  a far uscire fuori dagli spazi doganali la droga senza particolari intoppi.

 

Oltre alle suddette operazioni, si segnalano i seguenti altri fatti, avvenuti nell'ambito portuale:

 

“Affari in nero all'ombra del porto di Livorno”

30 ottobre 2015 - I militari del comando provinciale della Guardia di Finanza di Livorno hanno tratto in arresto tre persone, di cui due residenti a Livorno ed una ad Empoli, ritenute responsabili, di reati fiscali e bancarotta. Gli arrestati sono i cugini L. B. (del 1963) e R. B. (del 1965) e G. F. (del 1971). Le accuse: falso in fatture, occultamento delle scritture contabili, omesso versamento di ritenute e presentazione delle dichiarazione dei redditi infedeli, simulazione di reato nonché, soprattutto, fatti di bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale, collegati al fallimento (dichiarato dal Tribunale di Livorno tra novembre 2014 e febbraio 2015) di due società labroniche operanti nel settore della logistica. Un giro d’affari di circa 2 milioni di euro annui, attraverso una trentina di dipendenti, si occupavano di ritirare autovetture in arrivo al porto di Livornoper custodirle, in attesa che le stesse fossero prelevate da altra società, estranea alle indagini, la quale, a sua volta, ne effettuava la distribuzione presso vari concessionari del territorio nazionale.

(Fonte: http://www.livorno24.com/evasione-per-7-milioni-di-euro-tre-arresti/)

 

Banda dei suv

15 gennaio 2016 “LIVORNO. ... dipendenti infedeli pronti a chiudere un occhio in cambio di favori e denaro, quello che emerge dall’inchiesta sulla presunta associazione per delinquere che ha messo a segno, e soprattutto ha progettato, una serie di furti di auto, in particolare Suv, dai piazzali del porto di Livorno...il piano criminale ideato dai vertici dell’organizzazione composta - secondo gli investigatori – da F. B., 36 anni, M. C., 54, S. N., 52, e due stranieri ancora ricercati dalla polizia, aveva bisogno di una sacco di tasselli che dovevano combaciare perfettamente, soprattutto temporalmente, affinché tutto potesse filare liscio: bastava che una delle tessere non fosse al posto giusto e il puzzle, com’è avvenuto più di una volta, non si completava, e il colpo andava rimandato.  Prima di tutto, infatti, bisognava individuare le auto da far sparire, poi affittare la bisarca e organizzare il viaggio sapendo già dove piazzare i Suv, meglio se all’estero. Ma soprattutto, pianificato tutto questo, c’era chi, la notte prescelta per compiere il furto, doveva alzare la sbarra per far entrare la bisarca nel piazzale, e chi fornire i moduli, i cosiddetti interchange, necessari poi per far uscire le vetture dal porto di Livorno. Tra il settembre del 2014 e il novembre dello scorso anno...la banda avrebbe pianificato sette diversi furti, ma uno solo è andato a buon fine. I sedici indagati, alcuni dei quali dipendenti di ditte che lavorano in porto - secondo gli investigatori - si sono resi disponibili e hanno in qualche modo dato la loro disponibilità nelle sei occasione successive...”

(Fonte:https://iltirreno.gelocal.it/livorno/cronaca/2016/01/14/news/dipendenti-infedeli-cosi-la-banda-dei-suv-faceva-i-furti-in-porto-1.12777944)

 

Da tenere in considerazione, infine, la “Relazione sulla gestione” del 2013 della Porto Livorno 2000 S.r.l..

Nel documento si mette in evidenza che “gli esercizi 2006 e 2007 sono stati caratterizzati soprattutto dai risultati dell’ispezione della Guardia di Finanza - Nucleo Polizia Tributaria di Livorno iniziata il 01/03/2007 e terminata il 27/03/2008”. La questione riguardava “una grave situazione di irregolarità nella gestione amministrativa”.

Di seguito si riporta la parte di interesse, contenuta nella relazione:

<<...dopo gli iniziali controlli di routine, il 23 aprile del 2007 era stato redatto un primo puntuale resoconto delle operazioni compiute su una serie di fatture di favore, emesse da ditte fornitrici della Società Porto di Livorno 2000 S.r.l. – in specie le Società A.L.A. S.r.l., Cooperativa Europa, le ditte individuali Giorgio Parlagreco, Pier Luigi Grilli e Silvano Marino - cui non corrispondeva l’effettiva prestazione dei servizi e delle forniture descritte nelle fatture: tutto ciò per importi assai rilevanti che risultavano tuttavia pagati dalla Società ai fornitori. Il progredire delle verifiche portava a configurare ipotesi di reato nei confronti del Presidente del Consiglio di Amministrazione Bruno Lenzi e di altri suoi collaboratori, inizialmente rubricate nel decreto di perquisizione e sequestro emesso dal Procuratore della Repubblica f.f. dr. Antonio Giaconi in proc. n. 2167/07 RGNR nel quale si ipotizzano a carico degli indagati i reati di cui agli artt. 81, 110, 117 e 314 cp, “in quanto sussistono fondati elementi desunti dalle indagini svolte dalla Polizia Giudiziaria operante per ritenere che Lenzi Bruno nella sua qualità di incaricato di pubblico servizio, in virtù delle cariche dirigenziali apicali ricoperte in seno alla Porto di Livorno 2000 S.r.l. in concorso con gli altri, che talvolta agivano quali mandatari, si sia appropriato di denaro di detta società di cui ha avuto disponibilità in ragione del suo incarico, avendo effettuato prelievi reiterati sistematici e caratterizzati da artificiose giustificazioni contabili dalle casse della società tramite un conto anticipo spese per acquisti personali o comunque per scopi estranei alla attività sociale”.

Gli ulteriori accertamenti svolti dalla Polizia Tributaria, ed in particolare i verbali delle ulteriori operazioni di controllo eseguite i giorni 14, 15, 23, 24, 28, 29.5.2007 e 14.6.2007 evidenziavano l’annotazione nelle scritture contabili della Società relative agli anni 2004, 2005 e 2006, di fatture non corrispondenti ad operazioni effettivamente eseguite, che di per sé esponevano la Società a gravi conseguenze sanzionatorie per le indebite deduzioni/detrazioni di imposta e che dissimulavano al contempo illecite distrazioni di risorse della Società.

Dagli stessi verbali risultava, inoltre, l’effettuazione di commercio e di cessioni di opere d’arte, estranei all’oggetto sociale della PortoLivorno 2000 S.r.l., da parte del Presidente Lenzi alla stessa Società Porto di Livorno 2000 S.r.l., in situazione di conflitto di interesse fra Amministratore e Società .

Venivano poi accertati movimenti anomali, per importi del tutto ingiustificati, su un “conto anticipo” delle spese del Presidente Lenzi, con somme che venivano prelevate per acquisti estranei agli scopi sociali e che figuravano poi periodicamente reintegrate perlopiù con operazioni anomale (dal pagamento diretto da parte di Lenzi di fatture emesse da fornitori della società per prestazioni non eseguite, a cospicui versamenti da lui effettuati per contanti sui conti della Società, alla compensazione con crediti vantati dallo stesso Lenzi per la cessione di dipinti alla Società).

Il quadro che appariva dai verbali della G.d.F. era il seguente:

1) sovrafatturazioni;

2) fatture per lavori mai eseguiti;

3) fatture inesistenti che non trovavano corrispondenza dal fornitore;

4) fatture per lavori mai svolti che avevano una descrizione diversa nella contabilità del fornitore.

Parte delle fatture erano state capitalizzate come lavori di manutenzione sia su beni propri che di terzi, altre avevano interessato il conto economico.

Nel Bilancio 2006 si è, perciò, provveduto ad una serie di rettifiche, che hanno portato ad una perdita complessiva di Euro 5.098.591,00.

L’accertamento della Polizia Tributaria si è concluso con la comunicazione del verbale finale in data 27.03.2008, che ha stimato l’importo delle fatture emesse per prestazioni inesistenti o altrimenti non rese alla Società o comunque estranee alla sua gestione in Euro 461.801,00 per l’anno 2003, in Euro 943.810,75 per l’anno 2004, in Euro 1.760.429,54 per l’anno 2005, in Euro 2.158.669,17 per l’anno 2006, in Euro 57.540,00 per l’anno 2007; per tali importi, oltre che per il risarcimento dei danni riflessi, si è operata la costituzione in mora dei componenti del Consiglio di Amministrazione e del Collegio Sindacale nei mesi di agosto e settembre 2008.

Nel dicembre del 2008 è stato definito con l’Agenzia delle Entrate un accertamento con adesione relativo agli anni di imposta 2003, 2004, 2005 e 2006 che ha consentito di definire le sanzioni applicate in relazione alle maggiori imposte accertate, con un onere di Euro 160.053,62 per l’anno 2003, di Euro 261.670,46 per l’anno 2004, di Euro 561.965,36 per l’anno 2005, e di Euro 159.673,94 (più Euro 63.102,00) per l’anno 2006 per un totale di Euro 1.206.466,59...

Esercizio dell’azione penale

Appreso della pendenza di indagini preliminari da parte della Procura della Repubblica, la Società ha incaricato un Legale di sua fiducia di compiere gli atti necessari ad assicurare la procedibiltà dei reati, ad acquisire le prove degli illeciti ed a conservare le garanzie patrimoniali della società.

Fra il giugno del 2007 ed il maggio del 2008 la Porto di Livorno 2000 S.r.l. ha sporto cinque atti di querela per reati di appropriazione indebita con riguardo ai fatti che venivano progressivamente accertati, col proposito di costituirsi parte civile nel processo penale nei confronti di coloro che avessero concorso alla commissione degli illeciti.

Dopo la proposizione della prima querela, la Porto di Livorno 2000 S.r.l. ha richiesto fra l’altro nel giugno del 2007 un provvedimento di sequestro probatorio sulle opere d’arte lasciate da Bruno Lenzi nella Sede della Società: decreto che il Pubblico Ministero ha adottato con riguardo a tutti “i quadri e le altre eventuali opere d’arte esistenti presso la società della Porto di Livorno 2000 S.r.l. nominando custode delle stesse l’attuale Amministratore Unico dr. Asti”, trattandosi “di corpo di reato o, comunque, cose pertinenti al reato utili per le indagini”. Il GIP, con decreto in data 15.3.2010 ha convertito quel sequestro probatorio in sequestro preventivo e con la sentenza di patteggiamento pronunciata il 16.3.2010 con la quale ha applicato la pena a Bruno Lenzi (di cui infra) ha disposto la confisca di “tutti i beni mobili già sottoposti a sequestro preventivo in data 15.3.2010” [...].

La pronuncia di confisca è divenuta definitiva a seguito del rigetto da parte della Cassazione del ricorso di Lenzi contro il provvedimento di confisca, con sentenza del 22 febbraio 2011.

Successivamente con provvedimento del 16 gennaio 2012 il GIP del Tribunale di Livorno in parziale accoglimento del ricorso della Società ha revocato il provvedimento di confisca per 24 dipinti dei quali è stata comprovata la proprietà della Porto di Livorno 2000 S.r.l., disponendone la restituzione alla Società.

La Porto di Livorno 2000 S.r.l. si era rivolta alla Agenzia Nazionale per l’Amministrazione e la Destinazione dei Beni Sequestrati e Confiscati alla criminalità organizzata (ANBSC), cui sembrava spettare l’amministrazione delle opere d’arte e degli oggetti da collezione confiscati a Bruno Lenzi, perché procedesse alla loro vendita nelle forme e con le garanzie di legge, allo scopo di soddisfare i diritti della Porto Livorno 2000 S.r.l., persona offesa dal reato, al risarcimento dei danni subiti per effetto delle condotte illecite che hanno determinato la confisca, come previsto dall’art. 12-sexies, comma 4 bis, del D.L. 8.6.1992 n. 306 (come modificato da ultimo dal D.L. 4.2.2010 n. 4)...

...Quanto al procedimento penale, a conclusione delle indagini preliminari il Pubblico Ministero aveva richiesto il rinvio a giudizio di 44 indagati per plurimi reati. Nei confronti di Bruno Lenzi, del dipendente Luca Garzelli e degli ex dipendenti Armando Totini e Bruno Crocchi il Pubblico Ministero aveva contestato il reato di associazione a delinquere in concorso con Massimo ed Ilaria Fraddanni (titolari della ditta Factory), e di Michele Barzagli (intermediario con l’amministratore della ALA S.r.l. Andrea Ferretti per l’emissione di fatture inesistenti); ai medesimi Lenzi, Crocchi, Totini, Garzelli, Fraddanni, oltre che al consigliere Mauro Pacini limitatamente all’utilizzo indebito di una carta di credito aziendale, aveva contestato plurime condotte di indebita appropriazione di risorse della società; a tutti i componenti del Consiglio di Amministrazione e del Collegio Sindacale aveva contestato il reato di false comunicazioni sociali; ai fornitori Bruno Sani, Salvatore Daini, Silvano Marino, Pier Paolo Carboni, Mario Madiai, Elisa Padrevecchi, Bruno Baracco, Ilaria Fraddanni, Massimo Fraddanni, Paola Lupi, Michela Rocco, Gino Bonomo, Michela Marmeggi, Ivano Busoni, Marco Busoni, Pier Luigi Neri, Pier Luigi Grilli, Enrico Grilli, Roberto Cioni, Enrico Tresoldi, Giorgio Parlagreco, Achille Gemini, Onofrio Sposaro, Andrea Ferretti, Riccardo Lenzi, Secondo Panieri aveva contestato plurimi reati fiscali per l’emissione di false fatture e per l’omesso versamento dell’IVA riscossa; al sig. Roberto Cascavilla aveva contestato infine il reato di cui all’art. 346 cod. pen. (millantato credito) per essersi fatto consegnare da Bruno Lenzi e da Bruno Crocchi somme destinate ad ufficiali della Guardia di Finanza millantando che costoro avrebbero potuto condizionare in senso favorevole alla Società lo svolgimento degli accertamenti fiscali in corso...

...Successivamente, molti degli imputati nei cui confronti era stata operata la costituzione di parte civile hanno patteggiato la pena, così determinando l’estromissione della domanda civile proposta in sede penale con la costituzione di parte civile: fra coloro che hanno patteggiato vi sono Bruno Lenzi ed il figlio Riccardo, Armando Totini, Giorgio Parlagreco, Marino Silvano, Luca Garzelli, Ilaria Fraddanni, Massimo Fraddanni, Marco Busoni, Enrico Tresoldi, Mario Madiai; hanno inoltre patteggiato la pena altri fornitori nei cui confronti pende azione civile quali Bruno Sani (legale rappresentante della Cooperativa Europa) ed Andrea Ferretti (legale rappresentante della A.L.A. S.r.l.). Quanto a Michele Barzagli, egli ha chiesto invece di essere giudicato con rito abbreviato – rito che la Porto di Livorno 2000 S.r.l. non ha accettato agli effetti della pronuncia sulle domande civili - ed è stato poi assolto per il reato associativo contestatogli, mentre è stato condannato per reati fiscali che non coinvolgono però la Porto di Livorno 2000 S.r.l. bensì altra società. Per poter beneficiare delle attenuanti generiche nel patteggiamento della pena Riccardo Lenzi ha offerto a titolo di riparazione per le conseguenze del reato contestatogli l’importo di € 6.500 che la Porto di Livorno 2000 S.r.l. ha accettato in conto del maggior avere.

Sono stati, invece, rinviati a giudizio i sindaci revisori, Beccani, Masi, Angella e Pappalardo e gli amministratori Pacini, Spadoni, Giovannini e Salvadori oltre all’ex dipendente Bruno Crocchi; fra i fornitori, nei cui confronti Porto di Livorno 2000 S.r.l. si è costituita parte civile, sono stati rinviati a giudizio Salvatore Daini, Ivano Busoni, Gino Bonomo, Achille Gemini, Michela Marmeggi, Secondo Panieri, Pierpaolo Carboni, Bruno Baracco e Pierluigi Neri. Sono poi stati trasmessi per competenza territoriale alla Procura di Pisa gli atti relativi alla posizione di Elisa Padrevecchi...

...Collegio Sindacale

Nel corso del mese di agosto 2007 furono esaminati tutti i verbali del consiglio di amministrazione nonché quelli del collegio sindacale dal 2003 per capire le ragioni che avevano portato ad una simile situazione.

Si procedette alla stesura di un documento di sintesi nel quale erano riassunti i punti salienti dei controlli fatti od omessi dal collegio sindacale: avuto riguardo all’entità ed alla reiterazione nel tempo delle pratiche distrattive accertate dalla polizia Tributaria, apparve indifferibile sollecitare le dimissioni del collegio per ragioni di opportunità.

Poiché, inizialmente, i sindaci in carica non furono disponibili a rassegnare le loro dimissioni volontarie, fu acquisito un parere legale per valutare se vi fossero i presupposti per la revoca; fu convocata una assemblea per deliberare tra l’altro la revoca del collegio, che avrebbe dovuto essere poi confermata dal Tribunale.

Prima dell’assemblea del 18/09/2007 i componenti del collegio si convinsero a presentare le loro dimissioni e fu quindi nominato il nuovo collegio.

Responsabilità di dipendenti della società

Le indagini di Polizia Tributaria e le parallele verifiche condotte dall’Amministratore Unico hanno rivelato condotte civilmente illecite dei dipendenti Bruno Crocchi ed Armando Totini, produttive di un rilevante danno al patrimonio sociale.

Dopo aver operato le dovute contestazioni disciplinari, senza che i dipendenti fornissero convincenti giustificazioni, è stato intimato ad entrambi il licenziamento – a Crocchi nel settembre ed a Totini nel dicembre del 2007 - misura che entrambi hanno impugnato solo in sede stragiudiziale...>>

(Fonte: http://www.portolivorno2000.it/uploads/BIL13_03_RELAZIONE_GESTIONE_2013.pdf)

 

 

 

4.    OPERAZIONI POLIZIA PORTO LIVORNO: ELENCO CLAN COINVOLTI

               

 

CRIMINALITÀ ORGANIZZATA CAMPANIA

 

Nr.

CLAN

PROVENIENZA

1

Birra- Iacomino

Ercolano (NA)

2

Casalesi

Casal di Principe (CE)

3

Fabbrocino

San Giuseppe Vesuviano (NA)

4

Gionta

Torre Annunziata (NA)

 

 

CRIMINALITÀ ORGANIZZATA CALABRIA

 

Nr.

CLAN

PROVENIENZA

1

Alvaro

Sinopoli (RC)

2

Acquino-Coluccio

Marina di Gioiosa Ionica (RC)

3

Avignone

Taurianova (RC)

4

Barbaro

Platì (RC)

5

Bellocco

Rosarno (RC)

6

Cilione

Melito Porto Salvo (RC)

7

Crea

Rizziconi (RC)

8

Fiarè

San Gregorio d’Ippona (VV)

9

Mancuso

Limbadi (VV)

10

Nirta-Strangio

(San Luca - RC)

11

Papaniciari

(fraz. Papanice di Crotone)

12

Paviglianiti

San Lorenzo (RC)

13

Pesce  

(Rosarno - RC),

14

Piromalli-Molè

Gioia Tauro (RC)

15

Piscopisani

(Piscopio – VV)

16

Pititto-Prostamo-Iannello

Mileto  (VV)

 

CRIMINALITÀ ORGANIZZATA SICILIA

 

Nr.

CLAN

PROVENIENZA

1

Cursoti

Catania

2

Laudani

Catania

3

Pillera-Puntina

Catania

 

CRIMINALITÀ ORGANIZZATA PUGLIA

 

Nr.

CLAN

PROVENIENZA

1

Luongo

Manfredonia (FG)

 

CRIMINALITÀ ORGANIZZATA LAZIO

 

Nr.

CLAN

PROVENIENZA

1

Ciarelli-Di Silvio (Casamonica)

Latina- Roma

 

 

 

5.    DICHIARAZIONI PENTITI 'NDRANGHETA E STRAGE DI LIVORNO (MOBY PRINCE)

 

Francesco Fonti, nato a Bovalino (RC), il 22 febbraio 1948, deceduto il 5 dicembre 2012, è stato  affiliato alla 'ndrina Romeo di San Luca (RC), per poi pentirsi nel 1994, anno in cui iniziò a collaborare con la giustizia.

Fonti, tra le altre cose che raccontò ai magistrati, iniziò a parlare del commercio clandestino di rifiuti tossici e sulle navi a perdere affondate nel Mediterraneo con il loro carico nocivo.

Nel resoconto della Commissione parlamentare sul traffico illecito dei rifiuti (https://www.camera.it/_dati/leg16/lavori/documentiparlamentari/indiceetesti/023/021/d020.htm), si legge:

[…] La prima operazione cui partecipò Fonti Francesco risale al 1986.
All'epoca il Fonti si trovava in Emilia Romagna per gestire il traffico di droga della famiglia San Luca in Emilia Romagna e in Lombardia. Venne contattato da Musitano Domenico (capo della famiglia Musitano di Platì) il quale si trovava all'epoca a Nova Siri con obbligo di dimora; il Musitano gli disse che dovevano fare sparire 600 fusti contenenti rifiuti tossici e radioattivi provenienti dal centro Enea di Rotondella e che la richiesta proveniva dal dottor Candelieri del medesimo centro. Il Fonti avrebbe dovuto organizzare la fase del trasporto e della collocazione dei fusti, ricevendo in cambio 660 milioni di lire. La famiglia Romeo diede il benestare. Successivamente, però, il Musitano venne ucciso dalla ’ndrangheta davanti al tribunale di Reggio Calabria ove era stato convocato per un'udienza. L'operazione di illecito smaltimento  riprese  a partire dal gennaio 1987 (10 e 11 gennaio). Vennero utilizzati 40 camion, reperiti anche grazie all'aiuto di Arcadi Giuseppe, genero di Musitano Domenico, e i fusti avrebbero dovuto essere portati al porto di Livorno e caricati su una nave chiamata Lynx, di proprietà di una società maltese e noleggiata da una società riconducibile a Renato Pent. Poiché nella stiva della nave entravano solo 500 fusti...[…]

Il pentito della ’ndrangheta aveva dichiarato anche che una delle navi era stata fatta inabissare “nel mare davanti a Livorno”, con il suo carico di scorie farmaceutiche.

L'enorme mole di informazioni fornita dal collaboratore Francesco Fonti sulla questione, però, non ha sortito grandi risultati. Ciò è avvenuto anche sulle due navi della Shifco (società di diritto somalo proprietaria di sei imbarcazioni donate dal Governo italiano al paese africano) a Livorno nel 1992, la "Mohamuud Harbi" e l "Osman Raghe", che sarebbero state caricate, a dire di Francesco Fonti, oltre che di rifiuti tossici, anche di 75 casse di kalashnikov, 25 casse di munizioni, 30 mitragliette Uzi, che arrivavano dalla fabbrica ucraina Ukrespets Export, a bordo della nave "Jadran Express" con bandiera maltese, che fece scalo a Trieste.

Occorre mettere in evidenza che la "21 Oktobar II", ammiraglia della suddetta flotta Shifco, almeno nel 1991, era presente in rada a Livorno, ormeggiata nel porto già da diversi giorni, quando avvenne avviene la collisione tra il traghetto Moby Prince e la petroliera Agip Abruzzo.

Fonti ha parlato anche di contatti con i servizi segreti, quando negli affari si era inserita anche la 'ndrina De Stefano di Reggio Calabria. Ciò avveniva, a dire del pentito, quando doveva essere discussa la possibilità di smaltire le scorie. Secondo le dichiarazioni di Fonti, il contatto dei servizi, tale “Pino”, gli avrebbe riferito “di averla fatta pagare personalmente a colui che aveva coperto tante cose per quel dramma di Livorno”. In quella circostanza, Fonti associò la cosa alla strage del Moby Prince.

In merito il direttore dell'AISI, Giorgio Piccirillo, audito nel luglio 2011 dalla Commissione di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti e su illeciti ambientali ad esse correlati, dichiarava della mancanza di riscontro, all'interno dei servizi, di un funzionario con tale nominativo.

 

Dichiarazioni del pentito della 'ndrangheta Filippo Barreca.

Il 6 agosto 2020, su Il Fatto Quotidiano,è stato pubblicato l'articolo “Il pentito: Così la 'ndrangheta avvertì e salvò l'agente di Moro”. Simona Zecchi, autrice del pezzo, scrive delle dichiarazioni sulla strage di Via Fani, rilasciate dal pentito 'ndranghetista Filippo Barreca e fa anche un passaggio che esula dall'argomento trattato. La giornalista, infatti, scrive: “...Il collaboratore di giustizia Barreca è ormai senza protezione dal 2017, così come i suoi familiari, nonostante le sue dichiarazioni sin dal 1992 siano ancora ritenute rilevanti per i diversi processi che sono stati istruiti nel corso degli anni fino a oggi, e nonostante sia ancora chiamato a testimoniare: così almeno è avvenuto fino al giugno 2020 per la strage della nave Moby Prince (10 aprile 1991) data ultima indicata dal suo avvocato nelle carte della causa che Barreca ha intentato contro il ministero dell’Interno...”.

Barreca, nelle sue dichiarazioni, avrebbe fatto riferimento a una presunta “fruizione o controllo di un mercato a mare notturno” di “prodotti illegali” nel porto di Livorno da parte della criminalità organizzata e avrebbe fatto alcuni riferimenti alla strage della Moby Prince.  

 

Chi è Filippo Barreca.

Filippo Barreca, nato il 4 gennaio 1947 a Pellaro (RC), è stato boss dell'omonima 'ndrina, con dote di “santa” ricevuta da Santo Araniti (santista e massone, capobastone della cosca che prende nome dal suo cognome) nel 1979. Barreca si pente l'8 gennaio 1992 mentre era in carcere a Cuneo per una condanna a 9 anni di reclusione per  traffico di sostanze stupefacenti e inizia a collaborare nell'operazione denominata “Santa Barbara”. Il collaboratore di giustizia ha disvelato, insieme all'altro pentito Giacomo Lauro, i retroscena dell'omicidio di Lodovico Ligato, della seconda guerra di 'ndrangheta e ha contribuito alle indagini sull'omicidio di Antonino Scopelliti. Le sue rivelazioni sono state utili anche nelle operazioni “Olimpia”.

 

 

6.    SCALO PORTUALE E ARMI

 

Il porto di Livorno è luogo strategico e crocevia per l'invio di armi verso il Medio Oriente e l’Africa. Questo avviene, soprattutto, a causa della vicinanza al porto di Camp Darby, base logistica Usa in Europa, il più grande deposito di mezzi militari e armamenti al di fuori degli Usa.

Più volte associazioni, sindacati (AMPI, ARCI e CGIL) e gli stessi portuali hanno denunciato la gravità di questa situazione, ribadendo anche che: “nei dieci punti per la sicurezza in porto, seguito da assemblee e ribadito in svariati incontri con la Regione e gli attori del protocollo: la promiscuità fra traffico turistico e commerciale è un pericolo costante e non rispetta la più elementare prevenzione”. Lo hanno fatto anche a gennaio di quest'anno, dopo “il nuovo” incidente di un pullman turistico entrato in collisione con un mezzo militare adibito ai controlli delle banchine.

 

 

 

 

 

7.    OPERAZIONI DI POLIZIA IN PROVINCIA DI LIVORNO

 

Appare utile mettere in evidenza anche la situazione della provincia di Livorno rispetto alle presenza di organizzazioni criminali di tipo mafioso.

Di seguito, si segnalano alcuni dei fatti più rilevanti:

 

    Dicembre 1991, i Carabinieri di Livorno hanno arrestato Gaspare Mutolo - mafioso palermitano in soggiorno obbligato a Gavorrano (GR) - e altre 20 persone per associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti. L’indagine ha consentito di fare luce su un vasto traffico di sostanze stupefacenti tra le province di Livorno, Pisa, Grosseto, Napoli e Reggio Calabria.

     Gennaio 1998, arrestato a Livorno il latitante Raffaele Ferrara del clan camorristico dei casalesi.

    6 ottobre 1993, Tribunale di Firenze, Ufficio del GIP, Sentenza nei confronti di Angelucci Monica + 17:  “Nel settembre del 1992 il colonnello Fronzoni, della Guardia di Finanza, aveva accertato che in Val di Nievole, e in provincia di Livorno e di Pisa erano state costituite delle ‘decine’ da parte di varie cosche siciliane che operavano su più fronti, compreso quello delle rapine”.

    2001, Relazione della Commissione parlamentare d’inchiesta sul fenomeno della mafia si legge: “… ‘ndrangheta … a Livorno e Lucca operano i clan dei Fedele” (ndr: Michelangelo Fedele, di Rizziconi - RC, radicato dagli anni '70 a Castagneto Carducci, in provincia di Livorno, era collegato alla 'ndrina Piromalli).

     Ottobre 2006, operazione Marata, l’attività investigativa, avviata dalla DIA di Firenze alla fine del 2002 in collaborazione con il GICO della Guardia di Finanza, ha consentito di accertare l’esistenza di un’associazione di tipo mafioso - capeggiata da un soggetto, già esponente della nuova camorra organizzata e uomo di fiducia di Raffaele Cutolo - con base operativa nell’isola d’Elba e dedita alla perpetrazione di vari delitti, tra cui in particolare usura ed estorsioni. A conclusione delle indagini, il GIP del Tribunale di Firenze ha emesso un’ordinanza di custodia cautelare in carcere nei confronti di 7 persone indagate per i reati di cui agli artt. 416 bis, 629 e 644 c.p. nonché un decreto di sequestro preventivo di beni per un valore complessivo di 8 milioni di euro.

     Aprile/maggio 2008, operazione Intercity, la Polizia di Stato di Lucca ha arrestato 17 persone ritenute responsabili di traffico di stupefacenti. Gli investigatori della Squadra Mobile hanno sequestrato un ingente quantitativo di cocaina. Il gruppo criminale campano, della famiglia Chierchia, detta dei Fransuà, alleati del clan Gionta, raggiungeva la Toscana per rifornire di droga la Versilia, Livorno e Massa.

     Maggio 2008, l’operazione Trans Oceanic ha permesso di individuare una vasta organizzazione criminale specializzata nel riciclaggio di denaro, provento della vendita di droga. Condotta dai Carabinieri del Nucleo Operativo di Milano l’indagine è stata eseguita in numerose città: Milano, Roma, Napoli, Genova, Verona, Trento, La Spezia, Pavia, Pescara, Bergamo Ancona, Parma, Torino, Como, Monza, Rimini, Arezzo, Livorno, Massa Carrara e nel corso di essa sono stati arrestate 155 persone dominicane, sudamericane e italiane (campane e calabresi).

    2011, Relazione della DNA: “Una serie di episodi come il ritrovamento, a Firenze, di due fucili a pompa, numerose pistole, munizioni e un passamontagna in una stazione di rifornimento gestita da un calabrese legato alle cosche della Piana di Gioia Tauro, l’arresto a Certaldo di un soggetto degli Alvaro di Sinopoli, la residenza in Livorno di un boss della cosca Morabito di Africo, la presenza di altri personaggi legati ai Mancuso, la vicenda di cui è protagonista Crea Giuseppe cugino di Crea Teodoro capo dell’omonima cosca di Rizziconi, confermano che quello della regione Toscana è un territorio in cui la 'ndrangheta penetra per realizzare il riciclaggio ed il reinvestimento dei capitali illeciti” (NB: le 'ndrine Alvaro, Crea e Mancuso, citate nel documento DIA, sono tra quelle individuate nelle operazioni avvenute nel porto di Livorno).

     Marzo 2012, GICO di Firenze e Livornosequestrati beni riconducibili al clan Terracciano. Il blitz delle fiamme gialle rientra nell’ambito dell’inchiesta sul clan Terracciano. I militari del GICO di Firenze hanno scoperto che il clan aveva ramificazioni anche a Livorno con un’attività commerciale e un’imbarcazione. Il negozio si trova in piazza Grande: fa capo al gruppo fiorentino, secondo gli investigatori, legato direttamente ai Terracciano. All’interno sono in vendita vestiti di grandi firme. Quanto allo yacht, si tratta di un’imbarcazione di 12 metri da 300mila euro, intestata a una donna di cui porta il nome Naomi, che secondo quanto emerso dall’indagine, sarebbe parente di uno dei prestanome dei Terracciano.

    Gennaio 2013, operazione Mixer, la Guardia di Finanza ha eseguito un provvedimento di sequestro beni per 15 milioni nei confronti di cinque imprenditori della provincia di Palermo, arrestati nell’aprile 2009 con l’accusa di associazione mafiosa e truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche. Secondo le indagini, con l’appoggio delle famiglie mafiose madonite, i cinque imprenditori avrebbero controllato l’assegnazione degli appalti pubblici e privati. Molti dei beni sequestrati si trovano in Toscana ed, in particolare: a Firenze, in provincia di Lucca, a Livorno, a Prato e a Sinalunga (SI).

    17 dicembre 2013, indagine coordinata dalla direzione distrettuale antimafia di Napoli, per  intestazione fittizia di beni, in concorso, con aggravante di aver agito per agevolare  clan camorristici (Casalesi e Belforte di Marcianise). Tra gli arrestati anche  un 48enne residente a Cecina (LI). L'uomo risulterebbe infatti proprietario fittizio di una società di vigilanza con sede a Rosignano Marittimo (LI). I militari hanno anche provveduto al sequestro di cinque conti correnti e quattro mezzi intestati alla società. Nell'ambito della stessa indagine i carabinieri hanno poi sequestrato anche i beni di un'altra società a Livorno, impegnata in servizi di portierato, il cui titolare è stato  arrestato a Caserta.

 

    10 gennaio 2014sequestro società con sede a Livorno disposto dall'AG di Caltanissetta. L'imprenditore palermitano titolare dell'azienda era ritenuto in contatto con esponenti di spicco di cosa nostra.

    2014, proc. pen. n. 98/2014 vede imputato un soggetto originario di Gela residente a Livorno, accusato dei delitti di estorsione continuata, consumata e tentata, e violenza privata, commessi, con l'aggravante del metodo mafioso, di cui all’art. 7 L. n. 203/1991. Il predetto è fratello  in danno di due persone, padre e figlio, titolari di una società proprietaria di una tabaccheria a Livorno. Le indagini hanno consentito di verificare che l'imputato, subito dopo aver stipulato con le persone offese un contratto preliminare di acquisto della società da loro gestita, attraverso reiterate minacce, li costringeva, ad assumere nella tabaccheria il proprio fratello, già condannato per il delitto di cui all’art. 416 bis c.p. in quanto appartenente alla famiglia mafiosa Iannì di Gela (Stidda), ed all’epoca detenuto nel carcere di Rebibbia a seguito di condanna definitiva all’ergastolo, in modo da fargli ottenere il beneficio della semilibertà.

    7 maggio 2015 - Province di Caserta e Livorno - L’Arma dei Carabinieri ha eseguito un decreto di sequestro preventivo - emesso dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere (CE) - nei confronti di un imprenditore affiliato al clan Belforte. Il provvedimento ha riguardato 2 società site in Livorno, 4 appartamenti e 1 autorimessa ubicati in Capua (CE), per un valore complessivo pari a 1.700.000 euro.

    2 marzo 2016, la Direzione Investigativa Antimafia di Firenze, ha sequestrato un rilevante patrimonio mobiliare, immobiliare e societario, per un valore stimato di oltre 3 milioni di euro, nei confronti di un imprenditore calabrese che da anni aveva trasferito i propri interessi economici in Toscana. Le investigazioni hanno consentito di accertare come il predetto, coadiuvato da “prestanome”, avesse effettuato, nel tempo, ingenti investimenti societari e/o immobiliari a Firenze e a Prato, in mancanza di una lecita capacità reddituale. Le ricostruzioni effettuate dagli investigatori hanno messo in evidenza, in particolare, il frequente ricorso allo strumento contabile del c.d. “finanziamento soci” che ha consentito alla società di disporre di capitali senza ricorrere al mercato finanziario. Nello specifico, tale liquidità veniva travasata nelle casse delle imprese direttamente dai soci, quale forma di auto-finanziamento, mediante un sofisticato sistema di reimpiego di capitali acquisiti illecitamente. Gli uomini della D.I.A. di Firenze, al termine di approfonditi accertamenti, hanno così potuto ricostruire la reale capacità patrimoniale del soggetto. In tale contesto, è stata, inoltre, accertata l’esistenza di un flusso di denaro verso la Calabria in favore del reggente della ‘ndrina Giglio di Strongoli (KR), sul quale sono in corso ulteriori approfondimenti investigativi. Il provvedimento, eseguito nelle province di Crotone, Firenze e Prato, ha portato al sequestro preventivo di: - nr. 9 società; - nr. 3 bar-pasticcerie; - nr. 1 ristorante-pizzeria; - nr. 7 appartamenti; - nr. 5 beni mobili registrati (autoveicoli e motoveicoli); - nr. 42 rapporti bancari, tra conti correnti, libretti di deposito e dossier titoli.

 

    25 marzo 2016Piombino, la Guardia di Finanza esegue la confisca di beni, disposta dal Tribunale di Livorno,  nei confronti di  Giuseppe Ruocco, 55 anni, considerato dagli investigatori un elemento di spicco della camorra di Mugnano (Napoli), sulla base delle dichiarazioni del fratello (collaboratore di giustizia). Giuseppe Ruocco detto Peppe era stato condannato anche a venti anni dalla Corte di Assise di Napoli per aver partecipato al commando che il 18 maggio 1992 firmò la strage di Secondigliano. Il 29 novembre 2013 Giuseppe Ruocco fu assolto in appello ma condannato a sette anni e quattro mesi per il tentato omicidio.

    22 dicembre 2017, 59 persone rinviate a giudizio e 20 aziende coinvolte per lo smaltimento illecito di rifiuti, nell'ambito di un filone dell’inchiesta chiusa dalla Dda di Firenze. Nell'inchiesta è coinvolta anche la Veca Sud, già            sottoposta  ad altre indagini (anche Tav Firenze), poiché ritenuta dagli investigatori “strettamente collegata ad ambienti della criminalità organizzata di tipo camorristico e in particolare ai clan dei Casalesi e alla famiglia Caturano”.

    13 aprile 2018, il già citato Michelangelo Fedele, residente a Castagneto Carducci (LI), è stato condannato a 12 anni per il reato di usura, nel processo di primo grado, scaturito dall'indagine denominata “Real Estate”. L'inchiesta, condotta dal 2013 da carabinieri e finanzieri, coordinati dalla procura di Livorno, ha portato all'arresto del Fedele, avvenuto il 9 marzo 2015.

    31 maggio 2018, la Guardia di finanza livornese, coordinata dal procuratore Ettore Squillace Greco, ha arrestato il vice prefetto reggente dell'Isola d'Elba, Giovanni Daveti, 66 anni, e Giuseppe Belfiore, 61 anni, più volte coinvolto in inchieste per associazione di tipo mafioso ed esponente di spicco della 'ndrina Belfiore. L'operazione ha disarticolato un'associazione per delinquere finalizzata alle frodi fiscali ed altri reati finanziari. L'alto esponente della prefettura labronica avrebbe chiesto aiuto alla 'ndrangheta per evadere il fisco. Dopo un accertamento tributario, infatti, aveva ricevuto cartelle esattoriali per 115 mila euro. Nel mese di marzo 2019, l'ex vice prefetto, Giovanni Daveti, è stato condannato, in primo grado, a 4 anni e 8 mesi dal tribunale di Livorno.

    12 luglio 2018, arrestato il latitante Giovanni Morabito,49 anni di Africo (RC), figlio del capobastone della 'ndrina Morabito di Africo. Si era reso  irreperibile dal mese di maggio, mentre era sottoposto a sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno a Livorno dal 2017 sule suo conto numerosi precedenti, tra cui associazione di stampo mafioso.

    27 febbraio 2019, i Carabinieri del Comando Provinciale di Livorno, su ordine della Procura della Repubblica di Livorno, hanno dato il via all’operazione codificata “2 Mondi”, dando esecuzione ad un’ordinanza di custodia cautelare emessa dal G.I.P. del locale Tribunale, su richiesta della stessa Procura, nei confronti di 10 persone, italiane ed albanesi, ritenute responsabili del reato di “traffico illecito di sostanze stupefacenti”, localizzate nelle province di Livorno e Pisa. L’indagine, avviata nel giugno del 2016, con l’esecuzione delle misure odierne ha portato all’arresto complessivo di 22 persone, al deferimento in stato di libertà di 26 ed al sequestro di oltre 130 kg. di stupefacenti. Il gruppo indagato è risultato essere il canale di rifornimento di due trafficanti di origine napoletana dimoranti sull’isola d’Elba. Quest’ultimi, legati a clan camorristico Tommaselli, operante nel quartiere napoletano di Pianura, acquistavano lo stupefacente dai cittadini albanesi e lo rivendevano sulla piazza di spaccio elbana. Nel corso delle indagini è stato documentato anche il ricorso ad azioni di violenza nei confronti di concorrenti per imporsi nell’illecito mercato dell’isola.

    9 aprile 2019, operazione “rimpiazzo”, la Polizia di Stato di Vibo Valentia, in collaborazione con la questura di Catanzaro, con il servizio centrale operativo e con il coordinamento dalla Procura antimafia di Catanzaro, ha arrestato 30 persone (clan dei Piscopisani e alcuni esponenti della 'ndrina Mancuso) in varie città d'Italia (Livorno, Vibo Valentia, Reggio Calabria, Palermo, Roma, Bologna, L'Aquila, Prato, Alessandria, Brescia, Nuoro, Milano e Udine). Le persone finite in manette sono accusate  di associazione di tipo mafiosoconcorso esterno in associazione mafiosaestorsione, danneggiamento, rapina, detenzione, porto illegale di armi ed esplosivi, lesioni pluriaggravate, intestazione fittizia di beni, traffico e spaccio di sostanze stupefacenti.

    27 giugno 2019, la Guardia di finanza ha denunciato l'amministratore di una società fiduciaria livornese è stato denunciato per omessa segnalazione di una sospetta operazione di riciclaggio del denaro sporco. Durante un controllo antiriciclaggio, i militari Gdf hanno individuato un contratto relativo al mandato per costituire, intestarsi e amministrare un'azienda pistoiese attiva nel settore della ristorazione, il cui fiduciante era un casertano affiliato al clan dei casalesi e indagato dalla Dda di Firenze per associazione a delinquere finalizzata al riciclaggio di denaro sporco, alla corruzione, a frodi e truffe.

 

 

 

8.    OPERAZIONI POLIZIA PROVINCIA LIVORNO: ELENCO CLAN COINVOLTI

 

 

CRIMINALITÀ ORGANIZZATA CAMPANIA

 

Nr.

CLAN

PROVENIENZA

1

Belforte

Marcianise (CE)

2

Casalesi (vedasi anche Porto)

Casal di Principe (CE)

3

Chierchia

Torre Annunziata (NA)

4

Gionta (vedasi anche Porto)

Torre Annunziata (NA)

5

Nco

Napoli

6

Terracciano

Napoli

7

Tommaselli

Napoli

 

 

CRIMINALITÀ ORGANIZZATA CALABRIA

 

Nr.

CLAN

PROVENIENZA

1

Alvaro (vedasi anche Porto)

Sinopoli (RC)

2

Belfiore

Gioiosa Ionica (RC)

3

Crea (vedasi anche Porto)

Rizziconi (RC)

4

Giglio

Strongoli (KR)

5

Mancuso (vedasi anche Porto)

Limbadi (VV)

6

Morabito

Africo (RC)

7

Piromalli (vedasi anche Porto)

Gioia Tauro (RC)

8

Piscopisani

(Piscopio – VV)

 

 

CRIMINALITÀ ORGANIZZATA SICILIA

 

Nr.

CLAN

PROVENIENZA

1

Cosa nostra

 

2

Famiglie madonite (cosa nostra)

Provincia Palermo

3

Stidda

Gela (CL)

 

 

 

 

 

9.    Conclusioni

 

 

Appare evidente che l'area portuale di Livorno, da anni, è diventata snodo strategico dei traffici illeciti, a livello internazionale.

I sequestri di sostanze stupefacenti, di rifiuti di ogni tipo, hanno raggiunto livelli inimmaginabili.

E' indubbio che il merito di questi risultati debba essere dato a Forze di polizia e magistratura, che hanno sempre posto la massima attenzione all'attività di contrasto alla criminalità organizzata nel territorio.

Il susseguirsi dei casi (vedasi tabella), però, è indicatore del fatto che il Porto di Livorno ha molte falle nella sicurezzauna sicurezza che dovrebbe essere ai massimi livelli, considerato che  il porto di Livorno è luogo strategico e crocevia, come detto, per l'invio di armi verso il Medio Oriente e l’Africa.

Il documentato coinvolgimento di dipendenti infedeli, poi, ha influito notevolmente sull'aumento di fatti criminali. Così come precisato dalla DCSA, “l’individuazione del porto prescinde dall’area criminale di interesse e dal territorio controllato dall’organizzazione, ma avviene sulla base delle aderenze che la stessa può garantirsi, anche all’estero, nonché delle capacità logistiche, di controllo e gestione di società di trasporto merci, non solo per via marittima...”.

La forte presenza di organizzazioni criminali italiane e straniere, anche di tipo mafioso, la collaborazione tra esse, è un altro aspetto rilevante da mettere in evidenza. Le organizzazioni mafiose hanno coinvolto nei traffici criminali, addirittura, gruppi criminali del luogo.

Le alleanze, le collaborazioni tra mafie, è un aspetto assai importante ed è stato documentato nelle varie operazioni di polizia che si sono susseguite in questi ultimi anni, poiché hanno dimostrato la centralità della Toscana, e in particolare del porto di Livorno, nel traffico internazionale di stupefacenti, in particolare cocaina, in ingresso in Europa e organizzato in gran parte dalla ‘ndrangheta. Appare evidente, infine, mettere in evidenza che trattandosi di traffici su larga scala sia per i quantitativi sia per le rotte di rifornimento, è palese che le organizzazioni criminali si siano insediate stabilmente nel territorio  labronico e toscano.

 

 

MOVIMENTI PORTI DI LIVORNO E PIOMBINO

 

Il porto di Livorno di cui si è parlato in modo approfondito in un altra parte del report, ha movimentato 11.663.000 tonnellate di merci (navigazione internazionale) e 18.602.000 tonnellate di merci (navigazione di cabotaggio).

Dati 2018 fonte Calendario Atlante De Agostini (2021).

 

Il Porto di Piombino ha movimentato 1.977.000 tonnellate di merci (navigazione internazionale)

e 1.516.000 tonnellate di merci (navigazione di cabotaggio).

Dati 2018 fonte Calendario Atlante De Agostini (2021).

 

Dai suddetti dati si evince che la movimentazione annuale delle merci è rilevante data l'importanza strategica di entrambi porti.

A breve sono previsti dei lavori (e relativi appalti) con degli stanziamenti importanti, per non correre rischi sarebbe necessario applicare preventivamente un protocollo sul modello Antoci per ridurre il rischio di infiltrazioni criminali.

 

PIOMBINO - VAL DI CORNIA

Piombino è un comune italiano dI 33.348 abitanti della provincia di Livorno in Toscana. Centro principale della val di Cornia e principale polo dell'industria siderurgica in Toscana, è il secondo porto della Toscana dopo quello di Livorno...

 

La città è posta nel tratto di costa sud della Toscana, all'estremità meridionale sull'omonimo promontorio (m. 21), a sud del monte Massoncello (286m) e chiusa ad est dal monte Vento; è separata dall'isola d'Elba dal canale di Piombino, largo 10 km, che costituisce il tratto di mare che segna il confine orientale tra mar Ligure e mar Tirreno; il litorale all'estremità settentrionale del territorio comunale, che coincide col golfo di Baratti, si affaccia sul mar Ligure, mentre il litorale sud-orientale si affaccia sul mar Tirreno e coincide col tratto nord-occidentale del golfo di Follonica...

 

Il porto di Piombino è un porto di livello internazionale inserito nelle autostrade del mare. Importante scalo merci è dotato di grandi banchine e piattaforme industriali. La principale attività del porto di Piombino è però quella della movimentazione dei passeggeri (5° porto passeggeri italiano): è infatti l'unico imbarco per l'Isola d'Elba, con le tratte Piombino-Portoferraio, Piombino-Rio Marina, Piombino-Cavo, servite dalle compagnie Toremar, Moby Lines, Corsica Ferries e BluNavy; vi si effettuano anche imbarchi per la Sardegna (Piombino-Olbia, Piombino-Golfo Aranci) e la Corsica (Piombino-Bastia, Piombino-Portovecchio) e l'isola di Pianosa. Lo sviluppo del porto prevede la nascita di un importante polo per la cantieristica navale.

Attualmente il porto di Piombino ha una profondità che varia dai 7 ai 20 metri, è delimitato a Sud da un molo sopraflutto, denominato Batteria, a Nord dal pontile degli stabilimenti siderurgici. Per le altre attività merci, soprattutto prodotti derivati dalla lavorazione degli stabilimenti, vengono utilizzati i pontili "Magona" e "Trieste". Per quanto riguarda i traghetti per l'Isola d'Elba essi impiegano il molo "Dente Nord",la banchina "aliscafo",il molo "Elba Nord","Elba Sud",i due scivoli (solo in casi di sovraffollamento) il molo "Trieste" e, sporadicamente il molo "Batteria". Per i passeggeri diretti in Sardegna e Corsica e le navi ro-ro viene usato il molo "Batteria" e, sporadicamente il "Giuseppe Pecoraro". Per quanto riguarda il traffico passeggeri a metà degli anni novanta un profondo rinnovamento infrastrutturale per l'accoglienza e la regolamentazione dei passeggeri ha permesso al porto di Piombino di divenire una struttura moderna e funzionale. Per quanto riguarda le merci, la situazione attuale del porto risente fortemente della presenza degli insediamenti siderurgici, che condizionano la struttura e lo sviluppo dell'impianto attuale.

L'Autorità Portuale sta cercando di sviluppare strutture anche per merci diverse da quelle siderurgiche. Le attuali vie di comunicazione e la ristrettezza degli spazi però rappresentano ardui ostacoli a questo sviluppo. Le strade che collegano il porto alla strada statale nr. 1 Aurelia, confluiscono, in località Gagno e per circa un Km, in una sola via di transito, per giunta a due sole corsie; la S.S. 398 a quattro corsie rappresenta la soluzione al problema ma è stata finora realizzata solo per la metà lato entroterra mentre la restante tratta (la più importante perché permetterebbe anche di oltrepassare la strozzatura del Gagno) esiste solo sotto forma di progetto definitivo.

La Ferrovia Campiglia Marittima-Piombino Marittima che collega il porto alla linea Livorno-Grosseto è, nella tratta Piombino Marittima - Piombino - Fiorentina di Piombino, non concepita per un traffico intenso di merci. L'amministrazione provinciale di Livorno e quella comunale di Piombino stanno anche valutando la possibilità di utilizzare i fanghi della bonifica dello stabilimento siderurgico di Bagnoli, al fine di effettuare riempimenti a mare ed ampliare così, anche se in modo piuttosto invasivo, il retroporto, tale progetto non è però ancora diventato esecutivo.

 

Fonte wikipedia

 

 

ESTRATTO - COMMISSIONE PARLAMENTARE DI INCHIESTA SULLE ATTIVITÀ ILLECITE CONNESSE AL CICLO DEI RIFIUTI E SU ILLECITI AMBIENTALI AD ESSE CORRELATI

 

Approvata dalla Commissione nella seduta del 28 febbraio 2018

Le attività di contrasto

Con la relazione del 23 giugno 2017 (doc. 2083/1/2), il comando del carabinieri del NOE di Grosseto riferisce che l’area portuale di Livorno e quelle adiacenti, che compongono in gran parte il locale sito di interesse nazionale (SIN), si confermano obiettivi particolarmente sensibili sotto il profilo ambientale, anche pel’elevata concentrazione di impianti e di industrie a rischio di incidente rilevante.

Con riferimento al settore degli appalti pubblici in ambito portuale, una particolare attenzione è stata rivolta dal NOE, nell’anno 2014, al cantiere per i lavori di realizzazione della cosiddetta “Seconda vasca di colmata”, oggetto di indagini delegate dall’autorità giudiziaria di Livorno, conclusasi con la denuncia in stato di libertà di 7 persone, ritenute responsabili, a vario titolo, di condotte integranti le ipotesi di reato di abbandono/deposito incontrollato di rifiuti e di discarica abusiva, di cui all’articolo 256, commi 2 e 3, decreto legislativo n. 152 del 2006, per aver gestito illecitamente circa 112.000 tonnellate di rifiuti inerti provenienti da impianti di recupero, indebitamente trattati come materia prima seconda, “misto riciclato”, al fine di renderlo formalmente idoneo alla posa in opera per la realizzazione dei sottobacini.

Ulteriori casi di gestione illecita di rifiuti e di abbandono di rifiuti, di cui all’articolo 256, comma 1 e 2, decreto legislativo n.152 del 2006, sono stati riscontrati negli anni 2015 e 2016 nell’ambito delle opere per la realizzazione delle darsene e delle attività di dragaggio dei fondali del porto turistico di Cecina.

Altra importante attività, con riferimento alla cava di argilla sita in località Staggiano, nel comune di Collesalvetti, è stata svolta - a partire dal luglio 2014, sino al 27 marzo 2015 - su delega dell’autorità giudiziaria di Livorno e si è conclusa con la denuncia di 5 persone, in stato di libertà, tutte a vario titolo ritenute responsabili di gestione illecita di rifiuti, di cui all’articolo 256, comma l,

lett. a), del decreto legislativo n. 152 del 2006, nonché con il sequestro preventivo dell’area di cava.

Inoltre, in data 25 maggio 2016, all’interno dell’area delle Acciaierie e Ferriere di Piombino, a seguito di esposto anonimo pervenuto al reparto dei carabinieri, è stato eseguito un sopralluogo

ispettivo nei cantieri di una società incaricata dello smantellamento di impianti dismessi, il cui amministratore unico è stato denunciato in stato di libertà all’ autorità giudiziaria di Livorno per il reato di gestione illecita di rifiuti, di cui all’articolo 256, comma l, lett. a), decreto legislativo n. 152 del 2006, per aver gestito, in carenza di autorizzazione, kg. 2.570 di rifiuti speciali non pericolosi costituiti da apparecchiature elettriche fuori uso (CER 16.02.16), realizzando uno stoccaggio risalente all’anno 2011. Nella circostanza, è stata attivata la procedura estintiva del reato, previa ammissione al pagamento della sanzione amministrativa prevista dagli artt. 318 ter e seguenti del decreto legislativo n. 152 del 2006.

 

L’impianto di TMB

 

Anche l’impianto di trattamento meccanico biologico (TMB), ubicato nell’area della discarica di Piombino, utilizzato esclusivamente per l’attività di trasferenza (operazione RI3) del rifiuto urbano indifferenziato destinato al successivo trattamento, è stato oggetto di mirate attività, svolte dal Reparto del NOE in data 13 luglio 2015, a seguito della presentazione di un esposto anonimo, conclusasi conl’accertamento dei reati di abbandono di rifiuti e di violazione delle prescrizioni contenute nell’autorizzazione integrata ambientale (AIA), di cui agli articoli 256, comma 2 e 29 quattuordecies, decreto legislativo n. 152 del 2006 e con la denuncia in stato di libertà dell’amministratore unico della società di gestione dell’impianto.

Nella specie, erano stati stoccati circa 300 metri cubi di rifiuti inerti (CER 17.09.04) in area non autorizzata ed erano stati abbandonati sul suolo rifiuti liquidi (CER 20.03.04 fanghi di fosse settiche), con pregiudizio per l’ambiente. Nella circostanza è stata attivata la procedura estintiva del reato previa ammissione al pagamento della sanzione amministrativa prevista dagli artt. 318 ter e seguenti del decreto legislativo n. 152 del 2006.

 

Lo stabilimento della Solvay di Rosignano Marittimo

 

Nel più ampio contesto delle attività industriali inquinanti ricadenti nel territorio della provincia, in collaborazione con personale del NAS carabinieri di Livorno, il NOE ha svolto indagini sull’attività dell’industria “Solvay Chimica Italia Spa”, delegate dalla procura della Repubblica in Milano, competente in quanto la sede legale della società è posta nel comune di Bollate (MI). All’esito di tali indagini, con accesso all’impianto eseguito in data 26 febbraio 2016, è emersa l’inefficienza, sia pure temporanea, della barriera idraulica. Le indagini sono scaturite da una serie di esposti e denunzie presentati da ex dipendenti dell’industria chimica, affetti da patologie verosimilmente correlate alla prolungata esposizione a fibre di amianto o agli ambienti di vita e di lavoro inquinati dal processo produttivo, ovvero da familiari di ex dipendenti deceduti per patologie della medesima natura.

Sulla base delle evidenze documentali e analitiche e dei riscontri effettuati nel tempo, è emerso che in passato l’attività dello stabilimento ha causato una estesa situazione di inquinamento delle

acque sotterranee, sia superficiali che profonde. Gli interventi attivati negli anni hanno consentito di scongiurare una deriva particolarmente grave del fenomeno di inquinamento in atto, legato a una contaminazione storica, contenendo i danni più rilevanti dell’area interna allo stabilimento.

L’iter amministrativo per il processo di bonifica è stato avviato nel mese di marzo 2001, mediante la presentazione alla regione Toscana, alla provincia di Livorno e al comune di Rosignano Marittimo della comunicazione ai sensi dell’articolo 9 del D.M. 471 del 1999, volta a procedere alla caratterizzazione dell’area. Il piano di caratterizzazione è stato approvato nel mese di novembre 2001, quale piano di investigazione preliminare, al quale fare seguire piani di dettaglio per ciascuna attività produttiva. I tempi di realizzazione dello stesso erano stati fissati in quattro anni.

Successivamente, sono stati elaborati piani di dettaglio che hanno permesso di caratterizzare più precisamente tutte le aree presenti all’interno dello stabilimento. Negli anni si sono poi succedute numerose conferenze di servizi, con la presentazione di ulteriore documentazione e integrazioni degli atti, fino all’approvazione, con decreto dirigenziale n. 195 del 18/11/2013 del comune di Rosignano Marittimo, del progetto di bonifica e di messa in sicurezza operativa delle acque sotterranee e profonde, che prevede l’impiego di un sistema di barrieramento idraulico, che abbraccia l’area a valle dello stabilimento.

Il progetto operativo risulta essere stato elaborato a seguito dell’approvazione, con decreto dirigenziale n. 181 del 07/11/2012 del comune di Rosignano Marittimo, di un documento di analisi di rischio specifica per la matrice ambientale interessata, che tra l’altro contiene la prescrizione di “impedire l’ulteriore propagazione della contaminazione, verificando le concentrazioni dei contaminanti nei piezometri a valle della barriera idraulica”. I primi accertamenti sugli impianti della Lonzi Metalli srl e della RA.RI Livorno srl Prima di affrontare le ultime vicende processuali, che vedono il pieno coinvolgimento dei gestori delle società Lonzi Metalli srl e RA.RI Livorno srl in reati di assoluta gravità, che hanno portato il GIP del tribunale di Firenze all’emissione, in data 1° dicembre 2017, di un’ordinanza applicativa di misure cautelari nei confronti dei responsabili delle due aziende, nonché al sequestro preventivo delle stesse (misura che è stata eseguita in data 13 dicembre 2017), va detto che le due società erano state già, negli anni passati, oggetto di indagini da parte dei carabinieri del NOE di Grosseto.

A tale proposito, il comandante Umberto Centobuchi, nel corso dell’audizione del 7 novembre 2017, ha riferito di una indagine nei confronti della RA.RI. Livorno srl per traffico transfrontaliero

di rifiuti. Il NOE di Grosseto aveva eseguito delle ispezioni nel febbraio del 2015 e, da ultimo, nel giugno del 2017, in quanto la RA.RI. Livorno srl figurava come soggetto notificatore di esportazione di rifiuti, per lo più pericolosi, che venivano conferiti in siti di destinazione che risultano situati in Germania, in Danimarca, Svizzera, Portogallo e Polonia, attraverso alcuni itinerari misti verificati, cioè in parte con trasporto su strada, interrotto per un trasporto di linea ferroviaria e poi ripreso su strada.

L’attività svolta dal NOE è stata soprattutto un’attività documentale di riscontro poiché non si è mai ravvisato il sospetto che si trattasse di rifiuti a rischio, quindi non è stato ritenuto mai necessario fare un campionamento, un’intercettazione o un pedinamento sui carichi di rifiuti che venivano spostati, in quanto da tale attività non erano emerse anomalie.

Peraltro - ha concluso sul punto il comandante Centobuchi - la RA.RI. Livorno srl negli anni successivi aveva proseguito nel trasferimento di rifiuti all’estero, tant’è che l’ultima notifica è stata

chiusa in data 29 giugno 2017 e riguardava un rifiuto che è andato in Germania, anche questo con codice CER 19.03.04 “pericoloso”, ovvero rifiuti contrassegnati come pericolosi, parzialmente stabilizzati, con codice CER 19.03.05. In effetti, tra i documenti di spedizione vi è una notifica per 8.000 tonnellate di rifiuti contrassegnati come pericolosi, parzialmente stabilizzati, per un totale di spedizione di 286 imballaggi sfusi, D05. In ogni caso, si trattava quasi sempre di miscugli di rifiuti contenenti almeno una sostanza pericolosa.

Vi erano, inoltre, anche altri rifiuti prodotti dal trattamento meccanico di rifiuti contenenti sostanze pericolose, compresi materiali misti. Comunque, si trattava ogni volta di quantitativi ingenti, per ciascuna notifica (da 2.000 tonnellate a 8.000 tonnellate di rifiuti pericolosi).

Ancora, il comandante Centobuchi ha riferito alla Commissione di un’attività di indagine sulla RA.RI. Livorno srl, nel periodo 2009-2010, quando il NOE di Grosseto contestò ai responsabili della società un’ipotesi di attività organizzata per il traffico illecito di rifiuti.

Tutto era nato nell’ambito di un’altra indagine, quella che il NOE di Grosseto stava svolgendo nei confronti della Agrideco srl, società di intermediazione che aveva sede a Scarlino, ma che operava all’epoca in tutta Italia, con diversi soggetti. All’epoca, la società Agrideco aveva rapporti, con la discarica di Piombino gestita da ASIU spa.

All’interno di quelle indagini, molto complesse e articolate, nell’ambito delle quali vennero effettuate anche delle intercettazioni telefoniche, i militari del NOE di Grosseto appresero che presso la discarica di ASIU, a Piombino, in data 23 luglio 2008, sarebbero arrivati tre camion con tre conferimenti di rifiuti gestiti da Agrideco, come intermediario. In particolare, uno di questi carichi proveniva proprio dalla RA.RI. Livorno srl. Venne così campionato questo rifiuto, il quale, effettivamente, risultò un rifiuto ascritto al codice CER 19.03.05 (rifiuti stabilizzati, diversi da quelli pericolosi di cui alla voce 19.03.04). Le analisi di laboratorio eseguite posero in evidenza un superamento della concentrazione degli idrocarburi totali, con atomi di carbonio maggiori di 12 e con una concentrazione pari al 3,5 per cento, contro la soglia massima dello 0,1 per cento.

Ovviamente, di qui sono partiti, a ritroso, i controlli presso la RA.RI. Livorno, che furono esperiti fino all’aprile del 2009 al fine di ricostruire il processo produttivo del rifiuto e la sua provenienza.

Venne quindi escusso il direttore tecnico, che illustrò in che modo fosse avvenuto tutto il processo, precisando, tra l’altro, che questo rifiuto arrivava in RA.RI. da una società denominata La.fu.met, di Villastellone (TO), arrivando con codice CER 19.08.14 (fanghi prodotti da altri trattamenti delle acque reflue industriali, quindi diversi da quelli di cui alla voce 19.08.13 “pericoloso”). In sostanza, questo rifiuto arrivava con codice CER 19.08.14 “non pericoloso” (fanghi).

In data 15 e 16 luglio 2008 La.fu.met aveva conferito a RA.RI. circa 60 tonnellate di questo rifiuto, tra cui c’era quello campionato in occasione dell’ispezione del NOE in ASIU, insieme agli operatori dell’ARPAT. La.fu.met caratterizzava il proprio rifiuto, che inviava tra gli altri a RA.RI., come non pericoloso, laddove RA.RI. effettuava poi le sue analisi a campione. Tuttavia, nonostante la qualifica di rifiuto non pericoloso, vi era un dato contrastante, posto che nei referti analitici di La.fu.met veniva indicato sistematicamente che in quel rifiuto vi era la presenza di sostanze idrocarburiche e di oli minerali, che qualificavano il rifiuto come pericoloso, in quanto conferivano al rifiuto un carattere di cancerogenicità, individuato con un codice H7. Oltre a questo, però, il consulente che collaborava nell’indagine su Agrideco aveva anche espresso delle forti perplessità sul fatto che nello stesso rifiuto fossero presenti anche metalli pesanti, che all’epoca caratterizzavano il rifiuto come tossico-nocivo, quindi come incompatibile con il conferimento nella discarica ASIU. Per di più, la disamina dei formulari consentì di chiarire che La.fu.met conferiva a RA.RI. Livorno srl i propri fanghi con codice CER 19.08.14, ma lo faceva per un’operazione di smaltimento in D15, ossia come stoccaggio di fatto, come discarica temporanea.

Le analisi confortavano il fatto che, come tali, i rifiuti potevano e dovevano essere conferiti alla discarica di Piombino. Tuttavia la RA.RI. non li destinava tal quali alla discarica di Piombino, ma li inertizzava, attraverso una miscelazione con cemento, in modo da poter ottenere un altro rifiuto, il rifiuto ascritto al codice CER 19.03.05 (rifiuti stabilizzati). Tutto ciò per la ragione che RA.RI. Livorno aveva un’omologa aperta per questo rifiuto con ASIU, sicché, avendo questa omologa, RA.RI. Livorno faceva cambiare il nome al rifiuto che le arrivava da La.fu.met e lo conferiva ad ASIU, cambiato di nome, come non pericoloso. Al fine di realizzare tale operazione, RA.RI. Livorno ometteva di effettuare le obbligatorie analisi che avrebbe dovuto fare soprattutto nella parte in cui La.fu.met aveva chiarito nei referti che vi erano delle sostanze idrocarburiche. Il tutto è stato ricostruito anche per quanto riguarda i volumi di tonnellate di rifiuti conferiti, pari a circa 12.315 tonnellate, che RA.RI. Livorno aveva conferito ad ASIU.

Sulla base di tale quantitativo, della condotta della RA.RI. Livorno e di tutti gli elementi costitutivi dell’ipotesi di reato che il NOE ritenne di ravvisare, venne fatta una nota informativa alla procura della Repubblica presso il tribunale di Livorno. Venne quindi effettuato uno stralcio, partendo dall’indagine che era sotto la direzione di quella di Grosseto. Vennero richieste anche delle intercettazioni telefoniche nei confronti dei responsabili di RA.RI., che furono concesse a distanza di qualche mese ma limitatamente alla durata di quindici giorni. In tale breve lasso di tempo, il NOE non riuscì ad acquisire ulteriori elementi di riscontro all’ipotesi di reato. Di conseguenza, essendo state interrotte anche le attività tecniche di polizia giudiziaria e non essendo stati acquisiti ulteriori elementi, il fascicolo si è chiuso con l’archiviazione.

Tra l’altro, anche all’epoca, era emerso che alcuni di questi rifiuti, nella misura di 876 tonnellate, erano stati conferiti dalla RA.RI Livorno srl alla Lonzi Metalli srl.

Relativamente all’impianto della Lonzi Metalli srl, strettamente collegato a quello della RA.RI. Livorno srl, il comandante Umberto Centobuchi ha riferito che il NOE se ne era occupato nel 2015, nell’ambito di una delega di indagine della procura della Repubblica in Livorno che scaturiva da un esposto presentato ai carabinieri, i quali l’avevano poi trasmesso alla procura della Repubblica.

Sostanzialmente, nell’esposto venivano lamentate delle problematiche ambientali dovute ad alcune carenze strutturali e infrastrutturali dell’impianto.

Tali carenze erano riconducibili soprattutto al mancato collettamento alla fognatura delle acque nere dell’impianto. Tuttavia, anche in questo caso, l’attività del NOE si fermò agli accertamenti preliminari e all’acquisizione di informazioni da parte di persone informate sui fatti, in quanto nel mese di novembre dello stesso anno 2015, personale del comando della polizia municipale di Livorno, insieme a personale del dipartimento ARPAT locale, aveva effettuato un sopralluogo, con ispezione e accesso al sito al fine di effettuare delle verifiche e prelevare campioni di reflui industriali anche in un reticolo idrico superficiale adiacente allo stabilimento, presso il quale la Lonzi Metalli srl era autorizzata allo scarico.

Ovviamente, trattandosi di accertamenti svolti sugli stessi aspetti, per i quali stava indagando il NOE, veniva informata la dottoressa Tenerani, il sostituto che aveva concesso la delega, facendo penale in carico ad altro sostituto procuratore, il dottor Mannucci.presente che, comunque, dalle attività dei vigili urbani e dell’ARPAT era scaturito un procedimento Anche per la Lonzi Metalli il comandante Centobuchi ha rinvenuto evidenze di attività di indagine svolte dal NOE, nel lontano 2006, quando il reparto segnalò alla procura della Repubblica in Livorno quattro persone, tra cui l’allora amministratore unico della Lonzi Metalli srl, per l’ipotesi del reato di concorso in falsità ideologica commessa da privato in atto pubblico con violazione degli obblighi di tenuta dei formulari. Questo per avere prodotto, intermediato ed effettuato un trasporto, nonché per avere accettato rifiuti speciali pericolosi, accompagnati da formulari indicanti dati inesatti relativi alla classificazione dei rifiuti stessi.

In estrema sintesi, si è trattato di un’attività ispettiva svolta dai carabinieri del NOE di Grosseto, durante la quale erano stati intercettati due carichi di rifiuti in ingresso alla Lonzi Metalli, accompagnati da formulari che attestavano trattarsi di “assorbenti, materiali filtranti, stracci e indumenti protettivi contaminati da sostanze pericolose”, rifiuto di cui al codice CER 15.02.02, mentre in realtà, dall’accertamento vero e proprio sul carico, era emerso che si trattava di terre e rocce, caratterizzate da forti odori di idrocarburi.

Nell’occasione, erano stati effettuati campionamenti di questi rifiuti e dalle indagini effettuate venne accertato che Lonzi Metalli aveva ricevuto, anche nei giorni precedenti, quantitativi dello stesso rifiuto per un totale di circa 250 tonnellate, sempre prodotti dalla stessa società, la “È Ambiente”, di Porto Torres (SS), poi trasportati dalla ditta Salis Trasporti, sempre di Sassari. Si trattava di rifiuti che erano stati, a loro volta, accompagnati dal medesimo formulario rinvenuto in all’atto dell’ispezione, che parlava di assorbenti, materiali vari ed altro, quando viceversa si trattava di terre e rocce.

Parte di questi rifiuti conferiti, nei giorni precedenti erano stati anche stoccati in un box della Lonzi Metalli srl, presso il quale furono fatte ulteriori verifiche. Anche qui il NOE aveva avuto l’ennesimo riscontro che si trattava di terre e rocce. Era stato quindi operato un sequestro, all’epoca, sia del box, sia degli autocarri che trasportavano questi rifiuti, con i relativi formulari.

“È Ambiente” è un produttore di rifiuti (non era intermediario, era proprio produttore), con sede legale in Porto Torres, zona industriale La Marinella. Poi vi era il trasportatore, la Salis Trasporti srl, di Sassari e compariva anche un committente, la Econet srl, mentre il destinatario era la Lonzi Metalli srl.

Gli esiti degli accertamenti analitici fatti sui campioni prelevati dal personale dell’ARPAT avevano dato il riscontro atteso, cioè che si trattava di terre e rocce, contenenti sostanze pericolose, ascrivibili al codice CER 17.05.03, “pericoloso”.

Alla luce di tutto quanto emerso, oltre all’effettuazione del sequestro, era stata inoltrata una nota informativa con la quale venivano deferiti in stato di libertà alla procura della Repubblica presso il tribunale di Livorno i soggetti intervenuti nella filiera, a cominciare dal responsabile della “È Ambiente”, quindi l’intermediario e il trasportatore, per arrivare, infine, all’amministratore unico della Lonzi Metalli, che all’epoca gestiva l’operazione.

Dall’insieme di queste vicende emerge un quadro delle due società facenti capo a Lonzi Emiliano assolutamente non tranquillizzante. Si tratta di due società che hanno da sempre operato in una situazione che, sul piano della legalità, può essere definita come borderline. Ulteriori rilevanti sviluppi sulla gestione delle società emergeranno in seguito alle indagini svolte dalla DDA di Firenze, nell’ambito del procedimento penale n. 15787/2014 mod. 21 R.G.N.R. (Registro Generale Notizie di Reato) - DDA Firenze, di cui al paragrafo che segue.

 

Recenti sviluppi nella vicenda penale che ha investito la Lonzi Metalli srl e la RA.RI. Livorno srl

 

Sul punto, appaiono rilevanti le informazioni fornite alla Commissione dal procuratore della Repubblica presso il tribunale di Livorno, dottor Ettore Squillace Greco, il quale (accompagnato dai marescialli dei carabinieri Elisabetta Parazzini e Gianluca Baiocchi) nel corso dell’audizione svolta il 18 dicembre 2017 - dopo aver premesso che nel procedimento penale n. 15787/2014 R.G.N.R. mod. 21 DDA di Firenze, a carico di Lonzi Emiliano + 11, egli aveva personalmente condotto le indagini nella qualità di sostituto procuratore applicato alla DDA di Firenze - ha fornito un quadro accusatorio nei confronti dei responsabili delle due società particolarmente grave. Nella specie, sono state svolte indagini mirate, anche mediante un sistema di videosorveglianza dell’impianto della Lonzi Metalli, nonché controlli specifici che hanno consentito di disvelare un’attività illecita che veniva svolta in modo continuativo presso gli impianti della Lonzi e della RA.RI..

A tal fine, il procuratore della Repubblica ha prodotto un’ordinanza del GIP del tribunale di Livorno, in data 1° dicembre 2017 (doc. 2594/5), applicativa di misure cautelari coercitive e interdittive:

1) nei confronti dei responsabili dell’azienda (Lonzi Emiliano, Palandri Mauro, Fulceri Stefano, Mancini Anna, Lena Stefano);

2) nei confronti di conferitori di rifiuti (Bertini Alessandro,

Callegari Paola, Federghini Agostino);

3) nei confronti di un trasportatore di rifiuti (Vanni

Alessandro);

4) nei confronti dei gestori della discarica di Rosignano (Monti Massimiliano e Del Seppia Dunia).

A tutti costoro sono stati contestati i reati di traffico illecito di rifiuti, di cui all’articolo 260, decreto legislativo n. 152 del 2006, di associazione per delinquere, di cui all’articolo 416, commi 1 e 2 del codice penale (Lonzi, Palandri, Fulceri, Mancini e Lena) e di truffa aggravata ai danni della regione Toscana (Lonzi, Palandri, Fulceri, Mancini e Lena).

Contestualmente, il GIP ha disposto, con decreto, il sequestro preventivo di tutti i beni aziendali della Lonzi Metalli srl e della RA.RI. Livorno srl.

Nel corso della sua audizione, il dottor Ettore Squillace Greco ha riferito che la Lonzi Metalli srl era autorizzata a trattare i rifiuti non pericolosi ma, caso del tutto singolare, era stata autorizzata anche a stoccare i rifiuti pericolosi, mentre la RA.RI. Livorno srl era autorizzata a trattare i rifiuti pericolosi. Sul punto, il procuratore della Repubblica ha svolto una considerazione di carattere generale, che prescinde dallo stretto ambito politico-amministrativo della realtà livornese, rilevando che non costituisce una buona prassi amministrativa rilasciare delle autorizzazioni che consentono a un impianto di smaltimento di trattare rifiuti non pericolosi e, contemporaneamente, di stoccare rifiuti pericolosi, posto che se un impianto tratta rifiuti non pericolosi, non si ravvisa la ratio dell’autorizzazione a poter stoccare anche rifiuti pericolosi.

Fatta questa precisazione, che investe le competenze dell’autorità amministrativa che ha rilasciato l’AIA, nell’ordinanza del GIP di Firenze (doc. 2594/5) si legge che la società Lonzi Metalli, presso la sede legale di Livorno in via Limone, ha un impianto di trattamento di rifiuti ed è, in effetti, in possesso dell’autorizzazione integrata ambientale n. 107 del 25 giugno 2014, prorogata il 29 giugno 2015, della provincia di Livorno, in forza della quale la società poteva eseguire operazioni di deposito preliminare e messa in riserva di rifiuti urbani, speciali non pericolosi e pericolosi.

In particolare, con riferimento ai rifiuti pericolosi, l’impianto della Lonzi Metalli era autorizzato a ricevere rifiuti imballati o confezionati in contenitori, sui quali, tuttavia, non poteva eseguire alcuna operazione, se non l’eventuale riconfezionamento o reimballaggio, ove lo stesso fosse risultato danneggiato.

Invero, erano autorizzate:

- le operazioni di trattamento di rifiuti speciali e urbani non pericolosi, finalizzate al recupero, incluso il trattamento di selezione e cernita manuali, meccanica mediante impianto di selezione automatico, meccanica con macchine operatrici;

- le operazioni di trattamento di rifiuti speciali e urbani non pericolosi, finalizzato allo smaltimento come miscelazione, triturazione e adeguamento volumetrico.

Tutto ciò precisato in fatto, appaiono condivisibili le considerazioni del dottor Ettore Squillace Greco, secondo cui il meccanismo fraudolento posto in essere dalle due società coinvolte nelle attività organizzate per il traffico illecito dei rifiuti, sia stato agevolato da tale doppia autorizzazione, nonché dal fatto che entrambe le imprese facevano capo allo stesso gruppo di soggetti (ma in realtà allo stesso soggetto): Lonzi Emiliano.

Invero, le indagini, svolte con l’ausilio dei carabinieri forestali, hanno consentito di appurare che la Lonzi Metalli srl miscelava, senza trattamento alcuno, i rifiuti pericolosi stoccati con i rifiuti non pericolosi e li avviava principalmente nelle discariche di Rosignano e di Piombino.

Peraltro, con relazione in data 19 dicembre 2017, il procuratore della Repubblica ha precisato che i rifiuti non finivano solo nelle discariche di Rosignano e di Piombino, ma che vi erano anche altre discariche destinatarie dei rifiuti della Lonzi Metalli srl e della RA.RI. Livorno srl.

In particolare, nell’intercettazione in cui si fa riferimento a una scuola e ai bambini, riportata da numerosi organi di stampa, il procuratore della Repubblica ha riferito che la discarica in cui la RA.RI. Livorno si accingeva a conferire i rifiuti si trova nel territorio del comune di Montichiari, in provincia di Brescia e che i due conversanti intercettati si riferivano alla discarica anzidetta, nonché al fatto che nei giorni precedenti erano stati percepiti cattivi odori nella zona.

Fatta questa precisazione, volta ad evitare ulteriori allarmi, il dottor Squillace Greco ha proseguito il suo intervento, riferendo che la RA.RI. Livorno, che avrebbe dovuto ricevere e trattare i rifiuti pericolosi, riceveva i rifiuti non pericolosi, i quali non abbisognavano di alcun trattamento, posto che i rifiuti pericolosi erano già stati dalla Lonzi Metalli srl miscelati (anziché stoccati) con i rifiuti non pericolosi. Anzi, spesso accadeva che i camion, che avrebbero dovuto trasportare i rifiuti pericolosi stoccati per il loro trattamento, in realtà, partivano vuoti dalla Lonzi Metalli verso la RA.RI., in quanto tutto era già stato miscelato dalla stessa Lonzi Metalli. In questo giro di rifiuti è stata rilevata anche la presenza di rifiuti tossici, posto che risultano smaltiti presso la discarica di Piombino 100 fusti di mercurio. L’obiettivo di tali operazioni combinate delle due società, che facevano capo alle stesse persone fisiche, era almeno quadruplice ed era costituito:

1) dal risparmio dei costi di trattamento dei rifiuti pericolosi e non pericolosi (selezione, recupero, triturazione e via dicendo);

2) dall’applicazione a tutti i rifiuti avviati nelle due

discariche anzidette del codice CER 19.12.12, che assicura il pagamento dell’ecotassa più bassa, nella misura di euro 2,50 anziché quella di euro 10,50, con conseguente truffa ai danni della

regione Toscana;

3) dall’indebito risparmio sull’IVA, in quanto per i rifiuti con codice CER 19.12.12 è prevista l’aliquota agevolata del 10 per cento, anziché quella generale del 22 per cento;

4) dai risparmi delle spese di personale e di manutenzione degli impianti.

Il dottor Ettore Squillace Greco ha poi precisato che dagli atti risultava che, in effetti, alcuni lotti di rifiuti del comune di Livorno, dell’ A.Am.P.S. spa finivano in Lonzi, ma ciò accadeva nell’ambito di un rapporto assolutamente fisiologico e normale.

Tanto per essere chiari - come ribadito dal procuratore della Repubblica - allo stato non risulta nulla di anomalo nel rapporto tra il comune di Livorno, la Lonzi Metalli e la RA.RI., tant’è che - come si è visto - il sindaco di Livorno ha usato espressioni positive nei confronti delle due discariche, posto che l’unico problema era costituito dalla necessità della loro delocalizzazione in zone diverse da quelle poste ai margini della parte urbana della città di Livorno, per via dei miasmi e degli incendi che si verificavano con frequenza presso gli impianti anzidetti.

Il dottor Ettore Squillace Greco ha parlato di centinaia di migliaia di tonnellate di rifiuti trattati, costituiti da plastica, carta, da rifiuti urbani di qualsiasi genere e, in alcuni casi, insieme, ad esempio,

a toner e a mercurio. Le indagini della procura della Repubblica, tuttora in corso, mirano anche ad una più precisa determinazione delle quantità, sulla base della gran mole della documentazione sequestrata.

Quanto agli incendi, il procuratore della Repubblica ha fatto pervenire alla Commissione di inchiesta una relazione, in data 20 dicembre 2017 (doc. 2594/4), nella quale è contenuto un lungo elenco di incendi che, negli anni 2014 e 2015, hanno coinvolto, in almeno due distinti episodi ciascuno, le discariche di Rosignano Marittimo, presso REA e di Piombino, presso ASIU, nonché gli impianti della Lonzi Metalli, in data 8 agosto 2015, e della RA.RI, in data 3 marzo 2015.

Tuttavia, le notizie relative a tali incendi, in cui sono intervenuti l’ARPA Toscana e/o i Vigili del Fuoco, non sono state trasmesse alla procura della Repubblica, non essendo state ravvisate ipotesi di reato, nonostante che le cause non fossero state determinate. Dalla relazione anzidetta emerge quindi una carenza di informazioni all’organo inquirente che desta molte perplessità, tanto più alla

luce delle risultanze emerse nel corso indagini svolte nell’anzidetto procedimento penale.

Appare inoltre evidente che anche il sistema dei controlli è stato del tutto carente. A tale proposito, il dottor Ettore Squillace Greco ha citato un episodio, sintomatico del modo di procedere di ARPA Toscana, rilevando che l’ordinanza di misura cautelare era stata eseguita in data 14 dicembre 2017 e che il giorno precedente, presso l’impianto della RA.RI., era intervenuta la stessa ARPA Toscana, la quale non aveva rilevato se non delle irregolarità di natura formale, senza ispezionare la baia f), dove invece avrebbe potuto rilevare la compresenza di rifiuti non pericolosi, misti a rifiuti pericolosi. Tuttavia, l’episodio forse più rappresentativo dell’intera vicenda è avvenuto proprio il 14 dicembre 2017, quando la polizia giudiziaria si trovava presso l’impianto per eseguire la misura cautelare. In quel frangente, infatti, furono ben due i camion che giunsero presso lo stabilimento con il loro carico di rifiuti pericolosi misti a non pericolosi. L’amara conclusione è che presso i due impianti il reato di traffico illecito di rifiuti veniva consumato in piena tranquillità, senza timore di subire controllo alcuno.

Altro episodio significativo della carenza di controlli, anch’esso riportato dal procuratore della Repubblica, investe una importante società che si occupa di rifiuti, la società Waste Recycling, del gruppo Hera, con sede a Santa Croce sull’Arno (PI), che aveva contatti con la Lonzi Metalli. Nel caso di specie, le intercettazioni telefoniche eseguite hanno permesso di appurare un rapporto anomalo con i laboratori di analisi. In questo caso erano state effettuate delle analisi per un’omologa, ma essendo queste erano fuori norma, il laboratorio di analisi si era “preoccupato” di chiamare l’interessata per riferire ciò. Quest’ultima, una volta avvertita, aveva ovviamente provveduto a rimandare nuovi campioni, sicché le analisi eseguite erano risultate in regola. In sostanza - osserva il procuratore della Repubblica - si è in presenza di un sistema che, nel migliore dei casi, vede un mix di acquiescenza e superficialità da parte dei soggetti deputati alle analisi i quali, anche quando non vi è prova che siano conniventi con i controllati, di fatto agevolano il perpetuarsi della violazione delle regole per un tempo indeterminato fino all’arrivo dell’inchiesta della procura della Repubblica, che finisce con lo svolgere un ruolo di supplenza rispetto alle carenze dell’autorità amministrativa deputata al controllo.

 

L’ordinanza applicativa di misure cautelari

 

Occorre, a questo punto, fare un breve cenno all’ordinanza del GIP distrettuale dell tribunale di Firenze, in data 1° dicembre 2017, applicativa di misure cautelari coercitive e interdittive, che sono state eseguite in data 14 dicembre 2017 (n. 3128/2015 del R.G. G.I.P.) L’ordinanza contiene la contestazione agli indagati di più reati di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti: il traffico della Callegari Ecology srl, il traffico della Teate Ecologia srl, il traffico della FBN Ecologia srl, il traffico della Federghini Agostino srl e, infine il traffico della Bra Servizi srl. Inoltre viene contestato il reato di associazione per delinquere, con il ruolo apicale attribuito a Lonzi

Emiliano e il ruolo di compartecipi attribuito alla moglie, Mancini Anna, a suo cognato, Fulceri Stefano, e agli stretti collaboratori dell’attività criminosa, Palandri Mauro e Lena Stefano.

 

Le fonti di prova

 

Le fonti di prova sono le seguenti:

1) La polizia giudiziaria, previa autorizzazione del pubblico ministero, ha installato due telecamere brandeggiabili all’esterno dell’impianto della società Lonzi Metalli, sito a Livorno in via del Limone n. 76. Le due telecamere sono state posizionate:

- su traliccio dei cavi della linea elettrica ENEL, posto di fronte all’ingresso dello stabilimento, che ha consentito di monitorare l’unico accesso carrabile all’impianto;

- su un sostegno dei cavi della linea elettrica ENEL lungo il perimetro esterno della ditta, che ha consentito di monitorare il piazzale dove venivano effettuate le operazioni di carico e scarico degli automezzi. L’attività di monitoraggio con le telecamere presso l’impianto della società Lonzi Metalli è proseguito per oltre sette mesi.

2) La polizia giudiziaria, in data 18 dicembre 2015, ha acquisito presso l’impianto della società Lonzi Metalli la documentazione cartacea relativa ai trasporti di rifiuti, sia in ingresso che in uscita, effettuati nel mese di dicembre 2015, prelevando sia i formulari di identificazione rifiuti FIR, sia il registro di carico e scarico rifiuti. Grazie alle video riprese, soprattutto, quelle prese in esame del mese di dicembre 2015, incrociate con la documentazione acquisita nello stesso mese, è stato possibile ricostruire gran parte dell’attività giornaliera dell’impianto Lonzi e individuare un cospicuo numero di operazioni illecite compiute sia dai dirigenti e dai dipendenti della Lonzi Metalli srl e della RA.RI. srl, sia dai rappresentanti delle imprese interessate all’illecito smaltimento dei propri rifiuti.

3) A tali fonti di prova vanno aggiunte sia le risultanze delle intercettazioni telefoniche e ambientali tra presenti tutte, preventivamente o successivamente, autorizzate dal giudice per le indagini preliminari, sia quelle provenienti dai vari sequestri effettuati nell’ambito dei procedimenti penali, di volta in volta, aperti presso le procure della Repubblica di competenza.

 

Le attività della società Lonzi Metalli srl

 

1. La società Lonzi Metalli, presso la sede legale di Livorno in via Limone, ha un impianto di trattamento dì rifiuti ed è in possesso dell’autorizzazione integrata ambientale (AIA) n. 107 del 25 giugno 2014, prorogata il 29 giugno 2015, della provincia di Livorno, che - come già specificato - le consentiva il trattamento dei rifiuti speciali non pericolosi e lo stoccaggio dei rifiuti speciali pericolosi.

2. L’impianto della società Lonzi Metalli è suddiviso in apposite aree dislocate in varie zone. Ai margini del piazzale di carico e scarico, lungo la porzione sud est del muro perimetrale, sono presenti le baie (G1U, G1S, G1M, H), destinate ad accogliere i rifiuti speciali non pericolosi in ingresso, da sottoporre a trattamento. Lungo il muro perimetrale, posto a sud, sono presenti le baie (T1, T2, T3, T4, T5), destinate ad accogliere i rifiuti speciali non pericolosi ottenuti dalle operazioni di trattamento effettuate presso l’impianto.

Le baie sono separate l’una dall’altra da barriere in calcestruzzo, con altezza di quattro metri, che definiscono anche limite massimo volumetrico, in altezza e profondità, per lo stoccaggio dei rifiuti. Le baie sono destinate a una serie di attività e, in base ai vari processi produttivi che l’azienda poteva mettere in atto, sono il punto di partenza o di arrivo dei suddetti processi. Vi sono inoltre baie denominate “O”, in cui venivano stoccati i rifiuti speciali pericolosi.

3. L’osservazione, tramite le telecamere, confermate dalle acquisizioni documentali, dai risultati dei sequestri e dalle intercettazioni telefoniche, ha permesso di accertare la illiceità del trattamento unitario di rifiuti pericolosi e di rifiuti non pericolosi, da parte della società Lonzi

Metalli.

In particolare è stato accertato lo svolgimento di varie condotte criminose alternative, l’una all’altra, come di seguito rappresentate:

- i rifiuti, identificati con vari codici, anche pericolosi, entravano nel piazzale della società e, senza subire alcuno dei trattamenti obbligatori, venivano stivati direttamente nelle baie T2, T3 e

T4 (preposte allo stoccaggio dei soli rifiuti identificati con il codice CER 19.12.12, prodotto dalla stessa società Lonzi Metalli) e nelle baie T1 e T5 (preposte allo stoccaggio dei soli rifiuti identificati con il codice CER 19.02.03);

- i rifiuti venivano passati, direttamente, dal contenitore dell’automezzo in ingresso a quello dell’automezzo in uscita, senza neppure “toccare terra“, per il successivo conferimento diretto in discarica, con l’obiettivo di pagare l’ecotassa più bassa in assoluto, senza aver avuto l’onere economico di alcun trattamento, subendo un semplice il cambio codice identificativo del rifiuto, sempre a favore del codice CER 19. 12. 12 (o, in alternativa, CER 19.02.03);

- i rifiuti non venivano neppure scaricati e l’autocarro che li trasportava entrava nel piazzale della Lonzi Metalli srl, uscendovi, dopo pochi minuti, con la sola sostituzione del formulario al fine di evitare sia i costi di carico e scarico, sia i costi di trattamento.

Nella sostanza, la maggior parte dei quantitativi di rifiuti in ingresso nel piazzale della società Lonzi Metalli srl non avevano alcun tipo di trattamento, di selezione o di recupero, necessario per ottenere il rifiuto identificato con codice CER 19.12.12. Questi rifiuti, quindi, falsamente identificati con tale codice insieme a quelli identificati con codice CER 19.02.03, venivano spesso miscelati con i rifiuti pericolosi, pervenuti nell’impianto o con rifiuti pericolosi già in stoccaggio nelle baie, denominate “O”, atte alla messa in riserva R13 (che avrebbero dovuto contenere al massimo 20 tonnellate di rifiuti pericolosi), ovvero in deposito preliminare D15, autorizzati in AIA, che avrebbero dovuto contenere al massimo 140 tonnellate di pericolosi.

4. Un’ulteriore parte dell’attività della società Lonzi Metalli concerneva la produzione di rifiuto non pericoloso, classificato con il codice CER 19.02.03. Il trattamento per la produzione di tale rifiuto avrebbe dovuto assicurare omogeneità di pezzatura e riduzione in volume. Nella realtà, i rifiuti in uscita dal piazzale, classificati con il codice CER 19.02.03, non provenivano dall’impianto interno all’azienda ma venivano composti all’interno del piazzale, miscelando i rifiuti in entrata con quelli provenienti dalle baie “T”.

5. L’osservazione tramite le telecamere ha permesso quindi di accertare che le baie T1, T2, T3, T4 e T5 venivano continuamente alimentate dai rifiuti provenienti dall’esterno, anche pericolosi, e non venivano mai svuotate completamente. In sostanza, le baie “T” avrebbero dovuto essere riempite alternativamente e, mentre una era in fase riempimento, un’altra avrebbe dovuto essere oggetto di procedura di omologa, ovvero, se già omologata, avrebbe dovuto essere svuotata con destinazione in discarica, fino al completo esaurimento di tutti i rifiuti in essa contenuti. Sul punto, occorre precisare che le suddette baie potevano contenere da 1.000 a 1.500/1.800 tonnellate di rifiuti, variabili in base al peso specifico. Viceversa, dalla visione delle telecamere, le baie dell’impianto della società Lonzi Metalli non venivano mai svuotate completamente, sicché l’azienda attribuiva al rifiuto in uscita un codice e operava la relativa omologa in modo del tutto arbitrario.

Accadeva, pertanto, che i rifiuti venivano inviati in discarica, senza essere sottoposti ad alcun trattamento volto a ridurne la quantità e le dimensioni e senza verificarne la loro ammissibilità in discarica.

Osserva il GIP distrettuale del tribunale di Firenze nella sua ordinanza che tale comportamento non sarebbe stato attuabile, se non con la piena complicità delle discariche, alle quali venivano conferiti i rifiuti, che venivano dunque accettati indistintamente, senza alcun controllo o effettuando dei controlli a campione, peraltro, già concordati con i responsabili della Lonzi Metalli srl.

6. Lo stesso “modus operandi” veniva utilizzato anche per rifiuti classificati come “pericolosi”, per i quali è opportuno ricordare che la società Lonzi Metalli risulta avere l’attività sospesa. Viceversa, detti rifiuti venivano occultati immediatamente nel cumulo dei rifiuti non pericolosi delle baie e inviati unitamente a questi in discarica con i codici CER 19.12.12 e CER 19.02.03.

 

L’illecito profitto

 

1. La descritta gestione dei rifiuti ha consentito di conseguire illeciti profitti di notevole importo. Come si è detto, i rifiuti smaltiti in discarica dalla Lonzi Metalli srl venivano inviati esclusivamente con i codici CER 19.02.03 e CER 19.12.12, i quali, in base alla normativa vigente, in quanto sottoposti a trattamenti di recupero, avevano diritto ad accedere alle riduzioni della cosiddetta “ecotassa” dovuta dai produttori di rifiuti alla regione Toscana.

L’importo dell’ecotassa nel 2015 e 2016 è stato fissato, per tonnellata, in 10,33 euro per i rifiuti con codice CER 19.02.03 e in euro 2,07 per quelli con codice CER 19.12. 12.

I rifiuti inviati in discarica dalla Lonzi Metalli srl, mediante gli artifici messi in atto dai vari soggetti interessati, oggi indagati, hanno avuto accesso a tali benefici, pur non avendone i requisiti, in quanto i rifiuti non venivano trattati, e avrebbero dovuto, viceversa, versare il contributo nella misura di 25.82 euro per tonnellata.

Dalla lettura del MUD relativo all’anno 2015, si rileva che i rifiuti inviati in discarica con codice CER 19.12.12 sono stati complessivamente pari a 64.700 tonnellate, mentre quelli con il codice CER 19.02.03 sono stati complessivamente pari a 47.610 tonnellate. Dalla lettura del MUD relativo all’anno 2016 si rileva che i rifiuti inviati in discarica con codice CER 19. 12. 12 sono

stati complessivamente pari a 64.852 tonnellate, mentre quelli con il codice CER 19.02.03 sono stati complessivamente pari a 32.099 tonnellate. Pertanto, calcolando la sola elusione della ecotassa, la società Lonzi Metalli ha conseguito, nel 2015, un illecito profitto quantificabile in euro 2.274.104,00 e, nell’anno 2016, un profitto quantificabile in euro 2.037.448,00 per il complessivo importo stimato nel biennio anzidetto di euro 4.311.552,00. A tale somma deve essere aggiunto il risparmio sul pagamento dell’IVA, ridotta in via agevolata dal 22 per cento al 10 per cento.

2. Inoltre, il mancato trattamento dei rifiuti ha consentito alla Lonzi metalli srl di gestire quantitativi giornalieri di rifiuti assai superiori a quelli che erano le effettive capacità dell’impianto medesimo e delle linee di lavoro utilizzabili, con la conseguenza che maggiori quantitativi di rifiuti gestiti hanno determinato un maggior fatturato e, quindi, maggiori utili.

Ancora, l’omesso trattamento dei rifiuti ha consentito:

- un notevole risparmio di energia elettrica e di combustibile liquido, con una drastica riduzione dei costi di gestione dell’impianto stesso;

- il non utilizzo dei macchinari necessari alle dovute lavorazioni ha ridotto altrettanto drasticamente i costi della loro manutenzione periodica e i loro eventuali guasti;

- la riduzione dei costi relativi al personale dipendente, che è risultato, così, sufficiente in numero inferiore rispetto a quello che sarebbe stato realmente necessario nel caso di corretto svolgimento delle lavorazioni dei rifiuti. Inoltre, l’occultamento dei rifiuti pericolosi nei rifiuti non pericolosi ha consentito al gruppo il totale abbattimento degli elevati costi di smaltimento di questi ultimi.

Infine, l’ordinanza del GIP di Livorno sottolinea, quale conseguenza delle condotte illecite degli indagati, l’alterazione delle regole di mercato. Invero, il metodo di lavoro messo a punto dalla Lonzi Metalli srl ha consentito alla stessa società di operare sul mercato dei rifiuti con costi nettamente inferiori rispetto a quelli offerti dalla concorrenza, ampliando dì fatto il bacino dei clienti attratti da condizioni economiche molto più favorevoli, a danno delle imprese che operavano nella legalità.

 

Il ruolo della società RA.RI. srl Livorno

1. La società RA.RI. - Raccolta Rifiuti Industriali - Livorno srl ha sede legale nel territorio del comune di Livorno, nella località Picchianti, in via dei Fabbri n. 5/7 ed è iscritta all’albo gestori ambientali. Il suo impianto è autorizzato, con l’AIA n. 100 del 12 giugno 2014, allo svolgimento di attività di recupero e smaltimento di rifiuti pericolosi, con capacità di oltre 10 tonnellate al giorno e lo smaltimento dei rifiuti non pericolosi con capacità superiore a 50 tonnellate al giorno. Come sopra rilevato, le quote della società RA.RI. Livorno sono detenute, nella misura del 50 per cento, dalla società Lonzi Metalli. L’amministratore unico della società è stato, dal 15 dicembre 2014 al 22 gennaio 2016, Lonzi Emiliano. Tra i dipendenti della società RA.RI. Livorno srl vi erano Mauro Palandri, peraltro anche titolare di un pegno sulle quote della società pari a euro 20.280, e Anna Mancini, moglie di Lonzi Emiliano.

2. La società RA.RI. Livorno smaltiva illegalmente i rifiuti pericolosi. In particolare, la società Lonzi Metalli srl conferiva alla RA.RI. Livorno srl rifiuti non pericolosi, falsamente identificati come pericolosi, con la conseguenza che quest’ultima non ha sostenuto i costi del trattamento. Con tale sistema la società RA.RI. Livorno è riuscita a gestire illegalmente volumi elevati di rifiuti pericolosi in ingresso, che non avrebbe potuto realmente gestire, tanto più che non aveva un impianto adeguato ai volumi dei rifiuti in entrata.

I rifiuti in questione, pervenuti alla società RA.RI. Livorno, venivano successivamente rimandati, miscelati anche a rifiuti pericolosi, alla società Lonzi Metalli, con il codice 19.02.03, oppure portati direttamente in discarica.

3. A titolo esemplificativo, in data 2 dicembre 2015, alle ore 7.25, le telecamere hanno mostrato come l’autocarro targato EF776FB, munito di rimorchio targato AD10513, era entrato nell’impianto della società Lonzi Metalli e, dopo essersi posizionato sulla pesa, si era diretto verso il piazzale, dove aveva poi effettuato un’inversione di marcia. Alle ore 7.35 l’autocarro si era disposto nell’area di carico posta davanti all’ingresso, parallelamente all’uscita dell’impianto di trattamento rifiuti. Quindi, un operatore a bordo di pala meccanica aveva caricato i cassoni dell’autocarro targato EF776FB e del rimorchio targato AD10513 con materiale prelevato nei pressi delle baie contenenti materiali terrosi. Sebbene le telecamere abbiano mostrato il caricamento di materiale terroso, il formulario n. 6862 del 2015, relativo al carico, riportava che su detto mezzo era trasportato il rifiuto con codice CER 08.01.11*, cioè, un rifiuto pericoloso costituito da pitture e vernici di scarto, contenenti solventi organici o altre sostanze. Tale rifiuto non poteva essere trattato dalla società Lonzi Metalli, in quanto, come si è visto, tale azienda aveva il proprio impianto sospeso dall’attività di gestione dei rifiuti pericolosi e poteva solo svolgere operazioni di ripristino delle condizioni degli imballaggi e riconfezionamento di tali rifiuti. Viceversa, il rifiuto caricato con pala meccanica era visibilmente sfuso e, essendo di matrice terrosa, sicuramente trattavasi di rifiuto diverso da quello dichiarato nel formulario di trasporto, molto probabilmente non pericoloso, poiché proveniente dalla baia utilizzata per il deposito e movimentazione dei rifiuti provenienti dalla pulizia degli arenili della linea 1, attività R12. Inoltre, in base alla normativa vigente, il materiale classificato come pericoloso deve essere trasportato imballato ed etichettato, come disposto dal quarto comma dell’articolo 193, decreto legislativo n. 152 del 2006, secondo cui “Durante la raccolta e il trasporto, i rifiuti pericolosi devono essere imballati ed etichettati in conformità alle norme vigenti in materia di imballaggio e etichettatura delle sostanze pericolose”, mentre, nel caso specifico sopra descritto, il materiale è stato trasportato sfuso nel cassone dell’autocarro e del rimorchio.

Infine, nel caso di specie, l’autocarro targato EF776FB, dopo essersi riportato sulla pesa, alle ore 7.55, è uscito dall’impianto della Lonzi Metalli srl e si è diretto all’impianto della società RA.RI. Livorno srl per il trattamento del “rifiuto pericoloso”, come falsamente indicato nel formulario di trasporto n. 6862 del 2015.

Operazioni analoghe sono state riprese dalle telecamere installate dalla polizia giudiziaria in data 19 dicembre 2015, alle ore 8.10, alle ore 10.04 e alle ore 10.34, nonché il 21 dicembre 2015, alle ore 9.40, alle ore 13.19, alle ore 15.32 e alle ore 16.14.

4. Particolarmente significativo è ciò che è accaduto il 22 dicembre 2015, quando, alle ore 12.33, l’autoarticolato targato ZA357TS, con rimorchio targato AB53902, è entrato dal cancello principale della società Lonzi Metalli e, alle ore 12.50, dopo la pesatura, ha scaricato il contenuto del cassone nella baia T5 (area dedicata al trattamento di miscelazione, linea 8, rifiuti pericolosi con codice CER 19.02.03), ovvero i rifiuti con codice CER 19.12.12 prodotti dalla società Rosso.

I filmati delle telecamere hanno mostrato che Lonzi Emiliano e Fulceri Stefano hanno visionato il materiale appena scaricato insieme all’autista dell’autoarticolato e hanno parlato con quest’ultimo, indicando il cumulo di materiale. Al termine della conversazione l’autista ha spostato il mezzo vuoto di fronte alle baie K, dove è rimasto fino alle ore 13.49; quindi l’automezzo è stato riportato alla baia TS (area dedicata al trattamento di miscelazione, linea 8, codice CER 19.02.03), a fianco del materiale da lui stesso scaricato. Un operatore, con il ragno meccanico, ha ricaricato lo stesso materiale, terminando le operazioni alle ore 14.15. A questo punto, l’autotreno si è spostato nei pressi delle baie K e vi è rimasto fino alle ore 16.26, quando si è diretto alla pesa; successivamente si è allontanato dalla società Lonzi Metalli, diretto all’impianto della RA.RI..

Dal registro di carico e scarico tale trasporto risulta associato al formulario n. 7489J15, nel quale era stato indicato il codice CER 08.03.12*, cioè quello relativo a scarti di inchiostro contenenti rifiuti pericolosi. Pertanto, al rifiuto entrato nel piazzale Lonzi Metalli era stato effettuato un semplice cambio di codice, senza alcun trattamento. Invero, il rifiuto era entrato con il codice CER 19.12.12, relativo a rifiuti non pericolosi, cioè come “rifiuto generato dal trattamento meccanico dei rifiuti” ed era stato ricaricato tal quale e inviato alla società RA.RI. Livorno con il codice CER 08.03.12*, “scarti di inchiostro contenenti sostanze pericolose”, ovvero come rifiuti pericolosi. Nell’ordinanza del GIP del tribunale di Firenze viene sottolineato che il rifiuto anzidetto, identificato con il codice CER 08.03.12*, è immediatamente individuabile come non corrispondente al rifiuto entrato nell’impianto della società RA.RI. Livorno. Esso, infatti, come si è visto, per legge, deve essere trasportato, in colli o imballato, con apposite cautele. Inoltre, anche in questo caso, il rifiuto all’osservazione era apparso di natura terrosa.

5. Occorre anche rilevare che, solo nelle giornate 21 e 22 dicembre 2015, le telecamere hanno filmato gli autocarri delle aziende Rat e Vanni Autotrasporti (targati EF776FB, DC787CP e DY596YF) che, in almeno 18 occasioni, sono entrati e usciti immediatamente dalla società Lonzi Metalli senza effettuare alcuna operazione di carico o scarico. Tuttavia, a tutti i movimenti sono stati associati formulari relativi a trasporti di rifiuti pericolosi effettuati verso la società RA.RI. Livorno.

All’esito di questo quadro generale, l’ordinanza del GIP passa all’esame dei singoli capi di imputazione, riportando una lunga serie di carichi e scarichi illeciti, effettuati con le modalità sopra descritte, dalla Callegari Ecology Service srl, gestita da Callegari Paola, ed effettuati nei giorni 2, 3, 4, 9, 10, 15, 16, 17, 18, 23 dicembre 2015. Ancora, per quanto riguarda un’altra società coinvolta, la F.B.N. Ecologia srl, con sede in Prato, nell’ordinanza del GIP di Firenze si legge (pag. 27) che la suddetta società aveva effettuato, nel solo mese di dicembre 2015, otto conferimenti di rifiuti nell’impianto Lonzi Metalli, risultati falsi (nei giorni 2, 4, 9,11, 14, 18, in due distinti momenti, e 22 dicembre).

In particolare, si trattava di carichi di rifiuti prodotti e trasportati da un autotreno (targato BW768DH, con rimorchio targato AE06755), intestato alla F.B.N. Ecologia srl, accompagnati da formulari della stessa società, carichi che, senza essere scaricati nello stabilimento della società Lonzi Metalli, erano tuttavia usciti dal suddetto impianto con altro formulario, nel quale risultava come nuovo produttore la Lonzi Metalli srl.

Dalle videoriprese è emerso che i tempi dello stazionamento del suddetto autocarro nel piazzale della Lonzi Metalli variava da un minimo di circa tre minuti a un massimo di circa sette/otto minuti, tempi del tutto insufficienti a svolgere le operazioni di pesa, scarico di entrambi gli scarrabili e ricarico degli stessi, tant’è che il suddetto autocarro con rimorchio, appena uscito dall’impianto della Lonzi Metalli, stazionava di fronte all’ingresso, in attesa che trascorresse il

tempo minimo necessario per simulare lo scarico del mezzo e il successivo ricarico.

Vi sono, poi, gli scarichi di rifiuti speciali pericolosi, costituiti da assorbenti, materiali filtranti (filtri dell’olio), stracci e indumenti protettivi, contaminati da sostanze pericolose, con codice CER 15.02.02*, come da formulario di identificazione, effettuati presso l’impianto della Lonzi Metalli srl dalla Bra Servizi srl, rispettivamente, in data 4, 9, 11, 18 dicembre 2015. Tali rifiuti, dopo essere state scaricati a terra nel piazzale della Lonzi Metalli, con la rottura dei contenitori, sono stati movimentati con un ragno, generando, peraltro, una notevole quantità di polvere nera, per poi venire sistemati dall’operatore nelle baie T2, T3 e T4, adibite a raccogliere rifiuti classificati con codice CER 19.12.12.

I carichi in questione hanno quindi contaminato i rifiuti non pericolosi contenuti nelle baie anzidette, così modificando le loro caratteristiche e rendendole ancora più difformi da quelle indicate nelle varie omologhe, riportate nei formulari di trasporto emessi a favore della REA Impianti, che gestisce la discarica di Scapigliato, ubicata nel comune di Rosignano Marittimo.

Ancora, l’ordinanza del GIP di Firenze riporta anche la notizia del fermo effettuato dalla polizia giudiziaria, in data 18 dicembre 2015, di due autocarri carichi di rifiuti, con codice CER 19.12.12, partiti dallo stabilimento della Lonzi Metalli e diretti verso la discarica di Scapigliato. In realtà, dall’esame dei carichi è emerso che i rifiuti provenivano dalla società Teate Ecologia srl, tant’è che si trovavano ancora nelle buste del conferitore e, dunque, non avevano subito alcun trattamento.

La consulenza disposta nell’ambito del relativo procedimento penale, promosso dalla procura della Repubblica presso il tribunale di Livorno, ha accertato la natura di rifiuti pericolosi di quelli sequestrati. Infine, come rilevato dal procuratore della Repubblica presso il tribunale di Livorno, nella veste di applicato alla procura distrettuale di Firenze, va sottolineato che dalle intercettazioni telefoniche non emerge alcun cenno né alle problematiche concernenti la distinzione tra rifiuti pericolosi e non pericolosi, né a quelle dei controlli da parte di ARPA Toscana, controlli che, almeno nel mese di dicembre 2015, non sono avvenuti, ovvero sono avvenuti in orari diversi da quelli in cui vi è stata quella enorme massa di scarichi di rifiuti pericolosi, verificatisi addirittura anche nel piazzale della Lonzi Metalli con la rottura dei contenitori contenenti carichi pericolosi.

Il vero problema dei dirigenti della Lonzi Metalli era costituito dalle “maleodoranze”. Un problema che è stato posto in evidenza dalle intercettazioni telefoniche, anche recenti. Così, Fulceri Stefano, cognato del Lonzi, spedisce a Callegari Paola, in data 11 ottobre 2017, un messaggio (n. 10879) del seguente tenore: “Ciao domani uno non troppo chanel”, con chiaro riferimento alle caratteristiche olfattive dei rifiuti. In precedenza, vi erano state tra i due telefonate dello stesso tenore. Nella telefonata n. 3435, del 18 luglio 2016, vi è la comunicazione della Callegari al Fulceri che il giorno successivo gli avrebbe inviato “…due autotreni, di cui tre cassoni di non pericolosi e uno di 15.01.10”; in risposta, il Fulceri aveva acconsentito all’invio dei rifiuti, a condizione che gli stessi non fossero maleodoranti: “…però, mi raccomando, che non abbiano odori”, rimarcando nuovamente “…l’importante è che non abbiano odori”). All’evidenza, il Fulceri era preoccupato per le iniziative assunte dalle associazioni ambientalistiche, posto che, come si è visto, il presidente del “Comitato contro la Lonzi Metalli”,

Fabrizio Terreni, che ha la propria abitazione a 40 metri di distanza dall’azienda, nel corso dell’audizione del 6 novembre 2017, ha rappresentato alla Commissione di inchiesta la drammatica situazione del territorio, parlando di undici incendi a partire dal 2001, di 86 ore di fuoco ininterrotto in un incendio del 2009, dell’arrivo quotidiano di 70-80 autotreni di rifiuti da smaltire e, soprattutto, di fumi e vapori maleodoranti, che si diffondevano sulle circostanti zone abitative, oltre che di picchi di diossina rilevati nel 2012 (fatto che aveva provocato l’emissione dell’ordinanza sindacale sopra citata, contenente il divieto di consumo di prodotti agricoli).

In tale contesto, il procuratore della Repubblica presso il tribunale di Livorno, nel corso dell’audizione del 18 dicembre 2017, si è riservato di contestare, in una seconda fase delle indagini, anche il reato di inquinamento ambientale di cui all’articolo 452-bis codice penale, dopo aver verificato l’esistenza di un’alterazione dell’ecosistema, cioè cosa sia realmente accaduto in questi impianti e nei territori dove essi insistono.

 

Gli accertamenti e le considerazioni del procuratore della Repubblica in Livorno

Le relazioni in data 5 luglio 2017 (doc. 2152/2) e in data 14 dicembre 2017 (doc. 2594/3) del procuratore della Repubblica presso il tribunale di Livorno, nonché applicato alla procura distrettuale di Firenze, dottor Ettore Squillace Greco, contengono una puntuale analisi della situazione, non solo del circondario di Livorno, ma che sono riferibili all’intera regione Toscana.

Secondo gli ultimi dati disponibili rappresentati dallo stesso procuratore, la Toscana è al sesto posto nella classifica nazionale per numero di reati ambientali accertati: viene dopo Campania, Sicilia, Puglia, Calabria e Lazio. Si tratta un dato significativo che non può essere spiegato con una maggiore meticolosità nel verificare il rispetto della normativa ambientale. È ben vero, in teoria,

che in Toscana vi possano essere controlli più frequenti e più efficaci rispetto a regioni come la Calabria o la Campania, ma non più che in Emilia-Romagna, Umbria, Liguria, Veneto e altre regioni ad essa assimilabili. Dunque, se risultano accertati più reati che nelle altre regioni omologhe per caratteristiche socio economiche e funzionalità degli organi di controllo, significa che in Toscana si inquina di più (doc. 2152/2). Nel panorama nazionale dei reati ambientali, la regione Toscana, con il Lazio, viene immediatamente dopo le quattro regioni di origine delle nostre mafie storiche.

In generale, si può affermare che in Toscana e nel livornese i settori in cui, negli ultimi anni, si sono registrati gli illeciti più gravi sono quelli del riciclo degli stracci, dello smaltimento dei liquami, dei fanghi e dei rifiuti solidi. Le illecite attività elusive della normativa antinquinamento sono oggi realizzate con meccanismi che si sono sempre più affinati con il passare del tempo. Non solo, quindi, infiltrazioni di rifiuti pericolosi nei terreni e nelle cave, operazioni di giro bolla, declassificazioni fittizie e altri artifici tipici della criminalità ambientale, ma anche autorizzazioni caratterizzate da espressioni generiche ed equivoche che finiscono per consentire ciò che è vietato, cioè:

1) iscrizioni all’albo del gestori ambientali con ditte create ad hoc per trattare i rifiuti, ma che, viceversa, non trattano;

2) organizzazione di mezzi e standardizzazione di procedure per mascherare i rifiuti e smaltirli con false classificazioni. Lo smaltimento dei rifiuti, alimentato da frequenti corruttele e da controlli troppo spesso inadeguati, in qualche modo favoriti da una legislazione farraginosa e sempre più bisognosa di una semplificazione chiarificatrice, è uno dei grandi “affari” del tempo attuale. Alcuni degli ultimi casi di traffico di rifiuti contestati in Toscana coinvolgono imprese regolarmente iscritte e autorizzate a trattare proprio i rifiuti stessi. Un caso ha riguardato una ditta pratese operante nel settore degli stracci ed è stato, forse, il primo caso di impresa a partecipazione camorrista, il cui titolare (un toscano) è stato condannato con sentenza definitiva con l’aggravante della agevolazione mafiosa, prevista dall’articolo 7 della legge n. 203 del 1991.

Nuove modalità dì realizzazione degli illeciti si registrano nei settori dei rifiuti tossici e pericolosi. Una serie di indagini, alcune delle quali ancora in corso, sia nel territorio livornese che in altri ambiti della Toscana, dimostrano l’esistenza di collaudati sistemi fraudolenti diretti a gestire lo smaltimento dei rifiuti pericolosi, eludendo la normativa di settore per realizzare consistenti profitti illeciti. Tali sistemi si basano, di regola, sul sodalizio criminoso che si crea tra chi produce i rifiuti (che ha interesse a smaltirli al costo più basso possibile) e chi gestisce gli impianti di trattamento e gli impianti di smaltimento finale. Si verifica, così, che rifiuti pericolosi vengano qualificati falsamente come rifiuti non pericolosi e, come tali, smaltiti in discariche autorizzate per i rifiuti non pericolosi. Il meccanismo registra spesso l’utilizzazione fraudolenta del codice CER 19.12.12, che è quello cui corrisponde l’ecotassa più bassa in assoluto (euro 2,50 per tonnellata, contro euro 10,55) e del codice CER 9.02.03, che caratterizza le miscele di rifiuti non pericolosi.

Parimenti, per beneficiare dell’ecotassa e dell’IVA agevolata, vengono smaltiti con il codice CER 19.12.12 rifiuti che, in realtà, non hanno subito alcun trattamento (selezione, recupero, triturazione e via dicendo), necessario per potere essere classificati con tale codice. In sostanza, in tali casi, i soggetti agenti realizzano un triplo illecito profitto: quello costituito dal risparmio sulle spese di trattamento dei rifiuti, quello costituito dalla indebita percezione del contributo dell’eco tassa (legato, appunto, al codice CER 19.12.12) e, infine, l’indebito risparmio sull’IVA perché, in questi casi, è prevista l’aliquota agevolata del 10 per cento, anziché quella generale del 22 per cento.

Non manca, poi, nel traffico illecito di rifiuti realizzato in Toscana, in particolare nel territorio di Livorno, il cosiddetto “girobolla”. I rifiuti entrano in impianto e, tal quali, escono con nuovo FIR (formulario di identificazione rifiuti) di accompagnamento, senza che gli stessi siano neanche scaricati dal trasportatore; dopodiché, viene agli stessi attribuito, nel FIR in uscita, un numero di omologa falso per far risultare che gli stessi hanno avuto il trattamento e sono stati sottoposi alle analisi necessarie, per essere infine conferiti come rifiuti non pericolosi nelle apposite discariche.

Altro aspetto da considerare, in generale, è che le imprese di trattamento, per eludere i controlli richiesti anche dagli stessi impianti di smaltimento finale, spesso tendono a camuffare i rifiuti per renderli simili agli standard che caratterizzano i rifiuti non pericolosi, in modo da poterli così qualificare falsamente con codice CER 19.12.12..

Tale obiettivo viene raggiunto tritando i rifiuti per renderli non riconoscibili. Si tratta di meccanismi illeciti, che spesso coinvolgono anche compiacenti gestori delle discariche, ma non solo questi ultimi. Una serie di elementi concreti fanno ipotizzare, in taluni casi, il concorso (volontario o meno) di imprese di autotrasporto, di superficiali laboratori di analisi, di distratti appartenenti alla pubblica amministrazione.

In alcuni procedimenti aperti a Livorno sono emersi dati veramente significativi. Uno di questi è quello nr. 15787/14 mod. 21 RGNR - DDA Firenze, di cui si è detto, nell’ambito del quale, in data 14 dicembre 2017, è stata data esecuzione a un’ordinanza, emessa dal GIP distrettuale di Firenze, con cui sono stati applicati gli arresti domiciliari a sei persone e, ad altre cinque, misure interdittive. Il GIP fiorentino ha ritenuto condivisibile l’impostazione secondo la quale è stato contestato un autonomo delitto di traffico di rifiuti per ciascuno dei diversi ambiti di smaltimento illecito accertato nel corso delle indagini. In altri termini, è stato considerato come autonomo e distinto traffico illecito di rifiuti quello che riguarda un singolo circuito di smaltimento, il cui segmento iniziale è costituito da un diverso produttore e/o conferente di rifiuti (ricomprendendo in tale concetto anche chi non produce ma ritira i rifiuti dal produttore iniziale e si occupa dello smaltimento), oppure da una diversa tipologia di rifiuti oggetto di smaltimento.

Seguendo questo criterio si può dire che allo stato risultano accertati almeno cinque distinti e autonomi ambiti di traffico illecito di rifiuti. La caratteristica saliente è che tutti questi diversi traffici vedono come protagonisti un imprenditore livornese e altri soggetti a lui legati. Tale circostanza è stata decisiva per ritenere configurabile anche il delitto di associazione a delinquere finalizzato al traffico, nonché altri illeciti in materia di rifiuti. Nel corso delle indagini sono stati fermati tre carichi di rifiuti che uscivano dall’impianto della Lonzi Metalli srl di Livorno per andare in discarica. I rifiuti stessi erano classificati con i codici CER 19.12.12 e 19.02.03, entrambi caratterizzanti i rifiuti non pericolosi. In realtà si trattava di rifiuti pericolosi o di miscele contenenti anche rifiuti pericolosi, ovvero, comunque, non smaltibili in discarica.

In un altro caso un carico di rifiuti in uscita dall’impianto di trattamento era identificato con il codice CER 19.02 03 (rifiuti non pericolosi premiscelati); viceversa, a seguito delle successive verifiche tecniche effettuate in contraddittorio con gli interessati, è emersa la consistente presenza di rifiuti pericolosi. In un terzo caso un camion, in viaggio da un impianto all’altro, trasportava rifiuti pericolosi camuffati da non pericolosi miscelati: questi erano infatti indicati con codice CER 19.02.03, che come detto individua i rifiuti non pericolosi miscelati. In realtà, nel corso del successivo controllo - anche questo effettuato in contraddittorio ex articolo 360 del codice di procedura penale - sono stati rinvenuti rifiuti pericolosi, addirittura, neanche camuffati, che riportavano il codice CER 07.03.10*, che identifica, appunto, rifiuti pericolosi.

In un’altra recente indagine, in via di conclusione, di cui si è occupato il dottor Ettore Squillace Greco, quale magistrato applicato alla direzione distrettuale antimafia di Firenze, è emerso che rifiuti industriali entravano con vari codici CER presso gli impianti di una società di Santa Croce sull’Arno e, una volta stabilizzati, ricevevano il codice CER 19.03.05, identificativo di rifiuti non pericolosi. In realtà, il processo di inertizzazione veniva realizzato in maniera non conforme alle prescrizioni di legge e all’autorizzazione ricevuta, sicché i rifiuti erano da considerare pericolosi, anche se venivano illecitamente smaltiti presso diverse discariche come rifiuti non pericolosi.

Molti di questi rifiuti, in particolar modo, quelli prodotti dalle concerie del distretto del Valdarno inferiore, contenevano sostanze chimiche altamente inquinanti, come cromo e nichel, che non risultavano adeguatamente trattate e “fissate“ alla matrice solida fangosa che le conteneva, con conseguente rischio di dispersione nell’ambiente.

Un altro esempio significativo di come la tematica dall’inquinamento ambientale coinvolga in termini da non sottovalutare sia la zona costiera del territorio toscano, sia la provincia di Livorno in particolare, è costituito dalla vicenda che riguarda il territorio di Montescudaio. Il procedimento, in cui sono rubricati i reati di cui agli articoli 452 quater e quinquies del codice penale, nonché 44 del

DPR n 380 del 2001, ha tratto le mosse da una serie di accertamenti dell’ARPAT diretti ad individuare l’inquinamento dell’area di Poggio Gagliardo (comune di Montescudaio).

Dalle indagini svolte si è accertato che l’inquinamento deriva dagli scarichi di percloroetilene (PCE) e trielina (TCE) effettuati negli anni 80’ e 90’ da una conceria e da una lavanderia. Entrambe le aziende facevano uso di solventi; in particolare, la conceria usava circa 200 litri al giorno di trielina. Gli specifici accertamenti tecnici disposti dalla procura della Repubblica presso il tribunale di Livorno hanno fatto emergere la presenza di tonnellate di trielina nella falda e la costante diffusione dell’inquinamento verso il mare, con contaminazione progressiva sia dei pozzi utilizzati in agricoltura, sia di quelli potabili. L’inquinamento interessa anche metà dell’abitato di Cecina. Dalle indagini è anche emerso che l’originario inquinamento è stato aggravato dalla costruzione nel sito inquinato di un centro commerciale. Si tratta di costruzione eseguita in violazione degli esistenti vincoli urbanistici e ambientali, nella sostanziale inerzia delle competenti autorità locali. In sostanza, la costruzione del centro commerciale, secondo i consulenti tecnici, ha aggravato la situazione e, allo stato, sussistono tutti gli elementi di un vero e proprio disastro ambientale. Va detto che, dopo gli ultimi passaggi investigativi, in particolare dopo l’escussione di alcuni responsabili della autorità regionale, sono iniziati i lavori di bonifica da parte della regione Toscana. Il procedimento è in via di definizione.

Altro aspetto che caratterizza negativamente la situazione del territorio della provincia di Livorno, è dato dall’esistenza di provvedimenti amministrativi di autorizzazione al trattamento e smaltimento di rifiuti che risultano confusi e contraddittori. Così caratterizzati, tali provvedimenti lasciano spazio per la elusione della normativa di settore e rendono più difficile l’accertamento delle responsabilità nei procedimenti penali. A Livorno, per esempio, è stata di recente rilevata una grave anomalia nella autorizzazione n. 100 del 12 giugno 2014, rilasciata dalla provincia. Il provvedimento risulta illegittimo per contrasto con il disposto dell’articolo 187, decreto legislativo 152 del 2006 e con la direttiva europea di riferimento (2008/98/CE). In particolare, nell’allegato tecnico che costituisce parte integrante dell’autorizzazione, al punto 4, pagina 47, si prevede - correttamente - che i rifiuti miscelati devono mantenere la classificazione di pericoloso e, poco dopo, si afferma - ultimo rigo di pagina 47 - che il rifiuto prodotto dalla attività di stabilizzazione (che si ha quando il rifiuto viene trattato con altra sostanza, per esempio calce, per renderlo smaltibile) può essere codificato in due modi: come CER 19.03.04*, se pericoloso o come CER 19.03.05, se non pericoloso. In realtà, tutti i rifiuti originariamente pericolosi, comunque trattati, devono uscire dall’impianto per andare allo smaltimento finale con il codice CER 19.03.04* o altro codice CER, che identifica i rifiuti pericolosi, sicché è illegittima l’attribuzione del codice CER 19.03.05.

Lo stesso equivoco si ripropone per la triturazione. Invero, a pagina 48, punto 4, della autorizzazione si dice che: “…il rifiuto prodotto è codificato 19.12.11*, se pericoloso, e 19.12.12, se non pericoloso”. Viceversa, anche in questo caso, trattandosi di miscelazione tra rifiuti pericolosi e non pericolosi, il codice di uscita per lo smaltimento deve essere quello che identifica i rifiuti pericolosi, cioè il CER 19.12.11*.

Nel punto 5 della stessa autorizzazione, a pagina 48, si dice che “…l’attività di miscelazione non può in nessun caso portare alla declassificazione del rifiuto”. Vi è, quindi, un’altra contraddizione: ciò perché la triturazione è compresa come concetto nella miscelazione. Pertanto, se si afferma che la miscelazione non può portare alla declassificazione del rifiuto, non si comprende come sia possibile prevedere che il rifiuto stesso triturato possa uscire anche con codice CER 19.12.12. e non - come dovrebbe essere - con codice CER 19.12.11*, cioè quello che identifica i rifiuti pericolosi.

La stessa contraddizione si ripresenta per i rifiuti triturati all’interno dell’impianto. Invero, sempre a pagina 48, punto 4, della autorizzazione si dice che tali rifiuti avranno codici 16.02.04*, se pericolosi, oppure 19.02.03, se non pericolosi. Ancora, essi avranno codice 19.03.04*, se pericolosi oppure 19.03.05, se non pericolosi. In realtà tutti i rifiuti, comunque triturati (ergo, trattati), se contenenti rifiuti singolarmente pericolosi vanno classificati con i codici CER asteriscati, cioè con i codici che identificano i rifiuti pericolosi.

Come affermato dal procuratore Squillace Greco, alla scarsa chiarezza dei provvedimenti che disciplinano l’attività di trattamento dei rifiuti, si aggiunge, inoltre, una scarsa incisività dei controlli. A questo riguarda va segnalato come in Toscana capiti di vedere aziende che gestiscono lo smaltimento dei rifiuti, all’interno di strutture munite di fortificazioni o con mura di abnorme altezza, nonché circuiti di video sorveglianza assolutamente sproporzionati alla natura dell’attività.

Tali fatti rappresentano un dato davvero eloquente sull’attività di gestione illecita dei rifiuti Il dottor Ettore Squillace Greco conclude la propria relazione osservando che quanto finora esposto trova pieno riscontro anche nel resto del territorio nazionale. Ciò dovrebbe indurre ad una più ampia riflessione sulla necessità di un cambio di passo sia nella legislazione di settore, sia nelle procedure amministrative (che vanno semplificate), sia nei controlli (che vanno anch’essi snelliti).

Questi ultimi, infine, vanno strutturati in modo da recuperare una concreta effettività, evitando ogni pericolosa prossimità tra controllore e controllato.

 

Conclusioni

 

Numerose sono le situazioni di criticità riscontrate delle discariche e degli impianti della provincia di Livorno. La discarica di Scapigliato è gestita dalla società REA Impianti srl, la quale ha come socio di riferimento, attraverso una serie di partecipazioni, il comune di Rosignano Marittimo, nel cui territorio la discarica è ubicata. È questa la più grande discarica della Toscana, dove ogni anno vengono smaltite circa 460.000 tonnellate di rifiuti. L’impianto è stato afflitto da numerosi incendi, l’ultimo dei quali è avvenuto in data 2 agosto 2017 e ha interessato una porzione di un capannone di circa 500 metri quadri, adibito alla tenuta in quarantena di rifiuti in attesa di analisi di controllo.

Si tratta di un fatto che può apparire sintomatico della volontà del gestore dell’impianto di sottrarsi ai controlli. Anche presso l’impianto di trattamento della RA.RI. Livorno srl si sono verificati numerosi incendi. Così, ad esempio, nel 2007 un incendio aveva interessato circa 56 tonnellate di fanghi e prodotti di filtrazione di fumi, in attesa di smaltimento nel capannone G2. Nel 2008, invece, un altro incendio aveva interessato l’interno di un capannone, che conteneva circa 300 tonnellate di rifiuti assimilabili a rifiuti solidi urbani.

In effetti, nel corso degli anni, ben undici incendi hanno interessato la società Lonzi Metalli, collegata alla RA.RI Livorno srl, con un incendio che nell’anno 2009 ha avuto la durata di 86 ore di fuoco ininterrotto. In particolare, l’incendio del mese di luglio 2012 aveva provocato l’emissione da parte del sindaco di Livorno, su richiesta della ASL 6, di un’ordinanza che vietava il consumo “…a uso umano e zootecnico di cavoli, zucchine, zucca e vegetali a foglia larga in un’area fino a 500 metri dalla Lonzi (lato città)”, in quanto le indagini condotte da ARPA Toscana avevano rilevato la presenza di diossine sulle verdure, quale conseguenza dell’incendio anzidetto.

Altri incendi di rifiuti, avvenuti negli anni 2014 e 2015 hanno coinvolto, rispettivamente, le discariche di Rosignano Marittimo presso REA e di Piombino presso ASIU, nonché ancora la Lonzi Metalli in data 8 agosto 2015 e la RA.RI in data 3 marzo 2015.

Tuttavia - fatto singolare - né ARPA Toscana, né i Vigili del fuoco hanno comunicato alla procura della Repubblica l’esistenza di una notizia di reato, pur essendo ignote la cause di tali eventi.

Vi è poi il problema delle maleodoranze, che hanno indotto i cittadini colpiti da tale fenomeno a costituire comitati. In tal senso, il presidente del “Comitato contro la Lonzi Metalli” ha lamentato l’arrivo quotidiano presso l’impianto della Lonzi Metalli di 70-80 autotreni di rifiuti da smaltire, di fumi e vapori maleodoranti, che si diffondono sulle circostanti zone abitative, mentre il “Comitato aria pulita Livorno nord” ha segnalato l’inquinamento ambientale provocato dall’impianto della RA.RI. Livorno, chiedendone la delocalizzazione al sindaco, il quale è ancora alla ricerca di una soluzione al problema, nel tentativo di individuare possibili aree distanti dai centri abitati.

Sembrerebbero semplici casi ma non lo sono, in quanto incendi e maleodoranze traggono origine, il più delle volte, da attività illecite. Non è dunque un caso se il titolare e il gestore degli impianti della Lonzi Metalli srl e della RA.RI. Livorno, Lonzi Emiliano, i suoi famigliari e i suoi fidati collaboratori siano stati destinatari, nel mese di dicembre 2017, di una ordinanza applicativa di misure cautelari coercitive e interdittive da parte del GIP distrettuale di Firenze, con la contestazione dei reati di associazione per delinquere, di plurime attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti e di truffa ai danni della regione Toscana.

Invero, dall’attività di monitoraggio con telecamere, in corso per oltre sette mesi, eseguita sull’impianto della Lonzi Metalli, dalle intercettazioni telefoniche e ambientali, dai fermi e dai sequestri intervenuti, nonché dalla documentazione acquisita nel mese di dicembre 2015, è emerso che Lonzi Emiliano e i suoi sodali hanno gestito gli impianti di trattamento in modo prevalentemente illecito, mediante la miscelazione di rifiuti non pericolosi (per il cui trattamento l’impianto della Lonzi Metalli era autorizzato), con rifiuti pericolosi (per i quali presso la Lonzi Metalli era autorizzato solo lo stoccaggio di rifiuti imballati e confezionati in contenitori), con l’esclusione di ogni trattamento.

In questa attività illecita sono coinvolti non solo numerosi produttori di rifiuti (Callegari Ecology Service srl, FBN Ecologia srl, Federghini Agostino srl, Teate Ecologia srl, Bra Servizi srl), di trasportatori (Vanni Autotrasporti srl), ma anche i titolari di discariche pubbliche (Rosignano Marittimo e Piombino), ai quali i rifiuti venivano conferiti indistintamente, senza alcun controllo, ovvero effettuando controlli a campione, previamente concordati con i responsabili della Lonzi Metalli.

In tale contesto di palese e quotidiana gestione illecita dei rifiuti nei due impianti di Lonzi Emiliano, risalta evidente l’assenza dei controlli da parte di ARPA, come afferma il procuratore della Repubblica presso il tribunale di Livorno.

Soprattutto, dalle intercettazioni telefoniche non emerge alcun cenno né alle problematiche

concernenti la distinzione tra rifiuti pericolosi e non pericolosi, né a quelle dei controlli da parte di

ARPA Toscana, che almeno nel mese di dicembre 2015, mese in cui l’impianto della Lonzi Metalli è stato maggiormente attenzionato dagli inquirenti, non sono avvenuti, ovvero sono avvenuti in orari diversi da quelli in cui, nelle date del 4, 9, 11 e 18 dicembre 2015, sono stati scaricati nel piazzale della Lonzi Metalli rifiuti pericolosi, privi di contenitori, i quali sono stati movimentati da un ragno, generando una notevole quantità di polvere nera, per poi venire collocati nelle baie destinate ad accogliere i rifiuti non pericolosi, con codice CER 19.12.12.

Come si è sopra ricordato a proposito dei controlli, il dottor Ettore Squillace Greco ha citato un episodio, sintomatico del modo di procedere di ARPA Toscana, rilevando che l’ordinanza di misura cautelare era stata eseguita in data 14 dicembre 2017 e che il giorno precedente, presso l’impianto della RA.RI., era intervenuta la stessa ARPA Toscana, la quale non aveva rilevato se non delle irregolarità di natura formale, senza ispezionare la baia f), dove invece avrebbe potuto rilevare la compresenza di rifiuti non pericolosi, misti a rifiuti pericolosi.

Addirittura, il 14 dicembre 2017, proprio mentre la polizia giudiziaria si trovava presso l’impianto per l’esecuzione della misura, erano arrivati due camion carichi di rifiuti pericolosi misti a non pericolosi. Quest’ultimo episodio costituisce, se necessario, una conferma della abitualità comportamentale illecita da parte del gestore degli impianti, ma pone anche in evidenza l’assoluta assenza di controlli, posto che dall’inizio delle indagini penali nell’anno 2015 e la notifica dell’ordinanza cautelare del dicembre 2017, cioè due anni dopo l’accertamento del traffico illecito di rifiuti, la stessa attività con le modalità sopra descritte (tra cui l’enorme via vai di camion carichi di rifiuti pericolosi e non pericolosi), non ha creato alcun sospetto, permettendo ai gestori degli impianti della Lonzi Metalli e della RA.RI. Livorno di proseguire regolarmente, senza alcun intoppo di sorta, la loro attività illecita.

Infine, il NOE di Grosseto dà atto della crescita esponenziale del fenomeno dei raccoglitori abusivi di rottami di rame e di altri metalli ferrosi e non, con una flotta di piccoli veicoli che sono soliti prelevare tali rifiuti presso ditte e/o soggetti privati, senza alcun titolo autorizzativo. Si tratta di rifiuti di sicura provenienza illecita, in quanto proventi di una attività di raccolta e trasporto esercitata in forma ambulante, in carenza di qualsivoglia autorizzazione, ovvero, nei casi più gravi, provento di furto/ricettazione.

Al riguardo, il NOE di Grosseto ha eseguito verifiche su due diversi impianti autorizzati alla rottamazione, dando impulso a due distinte attività investigative, coordinate dalla direzione distrettuale antimafia della procura della Repubblica presso il tribunale di Firenze, in relazione all’ipotesi di delitto di “Attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti”, di cui all’articolo 260 del decreto legislativo n. 152 del 2006.

 

PIOMBINO - PROBLEMATICHE

 

L'area di Piombino per ragioni geografiche, storiche ed industriali ha alcune problematiche che vanno affrontate in modo analitico.

A parere dello scrivente per l'area vista la notevole bellezza naturale al livello del sud della Francia paga un modello di sviluppo errato scelto a fine '800 che ha fatto virare la politica verso un modello industriale avanzato che alla lunga non ha pagato. La situazione, con le dovute proporzioni, è paragonabile a quella che attualmente vive Taranto.

La prima problematica da affrontare è quindi relativa alla crisi industriale che tocca Piombino da numerosi anni e che è tuttora irrisolta.

L'attuale situazione di blocco dello sviluppo industriale alimenta una crisi economica che unita alla crisi pandemica in atto contribuisce alle difficoltà nel territorio della Val Di Cornia rendendolo potenzialmente aggredibile da parte dei gruppi criminali organizzati e non che già operano in Toscana.

Non si possono non notare i continui cambiamenti di proprietà delle acciaierie situate nel territorio che confermano la difficoltà esistente in tale settore. Difficoltà che a dire il vero riguardano l'Italia nel suo complesso.

 

La seconda problematica che riguarda Piombino è l'annosa questione dei rifiuti che tante polemiche ha creato.

Da anni l'intera area è classificata come SIN con i lavori di bonifica iniziati da alcuni anni.

Lo scrivente riterebbe utile che la bonifica del SIN venisse assegnata, straordinariamente, al Commissario Straordinario per la Bonifica delle Discariche inquadrato presso il Ministero dell'Ambiente.

Il recente caso delle ecoballe disperse in mare e parzialmente recuperate denota una situazione di crisi cronica in un territorio in cui la questione rifiuti è centrale.

Non si può non riferirsi alla inchiesta sul traffico di rifiuti che ha coinvolto delle società livornesi che operavano anche a Piombino che è stata abbondantemente trattata nel capitolo ad hoc di questo report, ma in questa sede è importante soffermarsi sulla famosa frase intercettata “Ci mancavano anche i bambini che vanno all’ospedale. Che muoiano, m’importa niente dei bambini che si sentano male. Io li scaricherei in mezzo di strada, i rifiuti”. Rifiuti ad onor del vero scaricati in un altra regione, ma ciò non diminuisce la gravità di una tal dichiarazione per delle società che operano in Toscana.

Un linguaggio del genere in Toscana non si era mai visto prima e denota un deterioramento culturale notevole.

Un altra questione sempre inerente ai rifiuti che genera discussioni da diversi anni è la discarica denominata RIMATERIA SPA attualmente in regime di concordato preventivo che risulta essere in fase istruttoria relativamente alla richiesta di inserimento nella white list prefettizia ed in base alla legge può operare.

Senza entrare nel merito della storia della discarica, per evitare ulteriori polemiche è parere dello scrivente la necessità di verificare tutti passaggi autorizzativi ai sensi di legge e di effettuare una caratterizzazione ed un carotaggio approfondito per verificare la composizione e quindi la storia dei rifiuti versati e per eventuali sversamenti nelle falde. Ovviamente il tutto va inteso in senso preventivo per il bene del territorio ed in virtù delle norme in atto dal momento della nascita della discarica.

Recentemente è stato riscontrato un cattivo odore sul territorio comunale. Si allega quindi la tabella dell'ARPAT .

 


In conclusione è necessario un controllo preventivo a tappeto tramite anche lo strumento di inserimento in white list (ovvero l'informativa antimafia) che è obbligatoria per quanto riguarda tutte le società che si occupano di rifiuti e bonifiche in relazione alla pubblica amministrazione da giugno 2020. Ovvero la PA non può che sottoscrivere appalti (ed avvalersi) soltanto con società regolarmente inserite in whitelist. Pertanto il controllo a tappeto sulla regolarità delle iscrizioni in whitelist è fondamentale per la garanzia di società pulite, e va effettuato nei confronti di tutte le società che nel territorio operano nel settore dei rifiuti sia nel trasporto che nella logistica degli stessi. Ciò deve valere come regola generale di prevenzione nel territorio. Appare ovvio che le società in regola non devono temere questo tipo di controllo.

 

La terza problematica che va trattata sul territorio senza voler in alcun modo creare allarmismo sociale è quella della salute.

Non si può negare che tale tematica sia molto sentita in loco come è normale che sia vista la presenza industriale storica unita alla presenza di discariche.

In questi casi è necessario mappare in modo opportuno dal punto di vista sanitario il territorio. Il registro dei tumori potrebbe essere un passo importante in tal senso.

 

La quarta problematica che va affrontata è quella della presenza della criminalità organizzata e/o mafiosa.

La Val Di Cornia non è abituata a toccare il tema mafia. Eppure la mafia che è presente nel territorio della provincia livornese come si evince dall'apposito capitolo dedicato del report a cui si rimanda, non si capisce come non debba esser presente anche qui.

Esistono da tempo tracce di camorra, la stessa traccia è presente storicamente all'Elba.

Inoltre a parere dello scrivente manca la volontà di cercarle le forme mafiose, eppure le forme mafiose nei territori economicamente in crisi ulteriormente aggravata dalla pandemia in corso sicuramente son presenti.

 

Conclusioni

 

La situazione di Piombino e della Val Di Cornia va seguita con la massima attenzione senza creare allarmismi ma nemmeno sottovalutazioni.

In attesa del miglioramento della normativa sulla white list si auspica una applicazione diffusa del metodo Antoci che porti a controlli antimafia seri basati su informative dettagliate.

 ULTIM'ORA


COMUNICATO STAMPA

Roma, 14 gennaio 2021 - La Commissione parlamentare d’inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti e su illeciti ambientali ad esse correlati (Commissione Ecomafie) ha approvato all’unanimità la relazione sulle garanzie finanziarie nel settore delle discariche. Il documento (relatori:On. Stefano Vignaroli, Sen. Vincenzo D’Arienzo, On. Manfredi Potenti)  è stato trasmesso ai Presidenti delle Camere.

La Commissione ha deliberato di svolgere l’inchiesta in considerazione di segnali critici percepiti nell’ambito di più attività e acquisizioni di informazioni nel corso della presente e della precedente Legislatura. Tali segnali riguardano forti dubbi circa la reale efficacia della normativa in materia di garanzie finanziarie degli impianti di smaltimento di rifiuti, non in grado di garantire che l’ente pubblico di riferimento (Regione o Provincia territorialmente competenti) sia sempre ristorato nel caso di eventuali ripercussioni negative sull’ambiente causate dall’esercizio di una discarica o da inadempienze o fallimento del gestore.

La relazione approvata in data odierna è dedicata all’esame del quadro giuridico di riferimento e delle sue rilevanti incompletezze, alla valutazione delle criticità segnalate dagli interlocutori della Commissione, e a una prima analisi dei dati sugli impianti e sulle garanzie in concreto prestate, basata su una ricognizione delle informazioni richieste dalla Commissione alle Regioni. A questa prima relazione ne seguirà una seconda analitica, nella quale sarà compiutamente riportata e valutata l’imponente mole di dati acquisita dalla Commissione, fornendo il quadro della totalità degli impianti di discarica presenti sul territorio nazionale, con focus su casi specifici rilevanti tra cui anche quello della discarica di Malagrotta.

Secondo quanto previsto dalla normativa in materia, il rilascio e la validità dell’autorizzazione per la gestione di una discarica sono subordinati all’attivazione, da parte del gestore del sito, di garanzie finanziarie a copertura delle fasi operativa e post operativa, sotto forma di polizza assicurativa (forma attualmente preponderante), fideiussione bancaria o cauzione.

Tra le fattispecie di illecito più comuni individuate dalla Commissione figurano le false polizze assicurative, l’abusivismo e l’insolvenza dei soggetti garanti. Tali prassi illegali sono anche suscettibili di trarre facilmente in errore le amministrazioni pubbliche destinatarie delle garanzie e possono avere riflessi in termini di danno erariale.

Da una prima analisi di una parte significativa della documentazione pervenuta dalle Regioni, è possibile evidenziare una serie di anomalie. Tra di esse, a destare maggiori perplessità è la totale mancanza di garanzie finanziarie relative alla gestione di alcuni impianti. Con una certa frequenza si rileva anche che il ricorso alle garanzie finanziarie riguarda soltanto la gestione operativa, mentre quella post operativa non risulta coperta da alcuna garanzia, oppure da garanzia di soli cinque anni rinnovabile, contro i trenta previsti dalla legge. L’analisi della Commissione ha inoltre confermato l’uso preponderante delle polizze assicurative: esse sono emesse prevalentemente da compagnie d’assicurazione di diritto italiano, con una significativa quota di quelle con sede in Paesi dell’Unione europea ed extra UE. Sul fronte della funzione di protezione finanziaria che le garanzie devono assicurare, è stata finora rilevata la limitatissima escussione degli importi garantiti. In alcuni casi è emersa l’impossibilità dell’ente a procedere per l’intervenuto fallimento del soggetto gestore dell’impianto.

La parte finale del documento è dedicata a raccomandazioni circa interventi regolatori e informativi per il miglioramento dell’attuale situazione. Sul primo fronte, è opinione della Commissione che sia necessario un adeguamento delle norme statali che tenga conto di tre capisaldi: la competenza statale in materia, riconosciuta dalla Corte Costituzionale; la necessità di coerenza con le norme sovranazionali sulle discariche e il loro recente recepimento; il riconoscimento di una ineffettività dell’istituto così come attualmente disciplinato. A tale proposito, la Commissione formula anche una serie di indirizzi di riforma.

Accanto alle norme possono essere messi in campo modelli di contratto o contratti-tipo che garantiscano reale efficacia all’istituto. La Commissione inoltre ritiene che dovrebbe essere riconosciuto e costruito un ruolo del Sistema nazionale di protezione ambientale, considerata l’inscindibile relazione tra aspetti tecnici e aspetti economico-finanziari dell’istituto delle garanzie in questo settore. I fenomeni illeciti o elusivi necessitano di un contrasto basato innanzitutto sulla circolazione delle conoscenze a proposito dei soggetti che operano nel settore, mediante un coordinamento tra banche dati (a livello nazionale ed europeo), un monitoraggio da parte di enti esponenziali di categoria e istituzioni pubbliche, un superamento dei controlli meramente cartolari da parte delle pubbliche amministrazioni.

«Le garanzie finanziarie sono un importante strumento di tutela della collettività di fronte agli impatti ambientali che possono derivare dalla cattiva gestione delle discariche. Spesso, però, questi strumenti non funzionano come dovrebbero: il lavoro della Commissione è partito da qui per approfondire le criticità. Da una parte ci sono gli illeciti, dall’altra le lacune normative da colmare. Sotto quest’ultimo aspetto, la Commissione ha formulato nella relazione una serie di raccomandazioni, che possono essere la base per un’iniziativa legislativa. I dati in molti casi non esaustivi pervenuti alla Commissione da diverse Regioni sono il segnale di una non sufficiente attenzione verso il delicato tema delle discariche. Le pubbliche amministrazioni devono avere più attenzione, e allo stesso tempo necessitano di maggiori strumenti per tutelarsi di fronte alle irregolarità a cui possono andare incontro nell’ambito delle garanzie finanziarie. Per questo, sarebbe necessaria una maggiore condivisione delle informazioni. Inoltre, la presenza di contratti-tipo contribuirebbe a rendere più efficaci tali strumenti. Un’altra misura che meriterebbe seria valutazione è la possibilità di costruire un sistema misto, in cui la garanzia prestata decresce all’aumentare delle somme accantonate dal gestore», dichiara il presidente della Commissione Ecomafie Stefano Vignaroli.

La commissione ecomafia ha toccato un tema molto interessante che ha riguardato pure la discarica di Rimateria, quello delle fidejussioni. Sarà molto interessante l'analisi futura della commissione quando riguarderà il territorio livornese e piombinese. 

 

ULTIMA ORA

http://www.omcom.org/2021/01/asse-droga-armi-toscana-sardegna-corsica.html

 

 

 

NOTA

 

Fonti: rapporti ed operazioni delle forze dell'ordine, notizie di stampa, atti parlamentari.

Le persone che sono state nominate nelle suddette fonti sono da considerarsi innocenti fino a condanna definitiva. Lo stesso discorso vale per le responsabilità delle società ivi rappresentate.

 

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