ALLARME TERRORISMO. INTERVISTA AL PROFESSOR MARCO BOSCHI: “NONOSTANTE IMPEGNO INTELLIGENCE, DIFFICILE SCONGIURARE AZIONI TERRORISTICHE”. RENATO SCALIA | 28 GIU 2015
FIRENZE – Dopo i gravissimi atti terroristici di venerdì scorso, abbiamo intervistato il professor Marco Boschi, docente di criminologia del terrorismo all’Università degli Studi di Firenze.
Tunisia, Francia, Kuwait e Somalia: la jihad si è scatenata nel venerdì del Ramadan colpendo tre continenti quasi simultaneamente. Secondo lei l’intelligence italiana sta monitorando adeguatamente il fenomeno?
I propositi di attacco nel Ramadan erano stati auspicati dallo Stato Islamico e gli obiettivi colpiti sono in linea con le politiche terroristiche in chiave anti-occidentale e di innalzamento del conflitto interno al mondo islamico al fine di creare forti tensioni dall’esito caotico e incontrollabile per tutti gli attori in campo. Strategie di annuncio e azioni di singoli o piccoli gruppi ormai tristemente noti, dei quali si rendono autori soggetti per lo più già individuati dai servizi di sicurezza dei paesi interessati. Il fenomeno dei militanti terroristi che potrebbero colpire nei paesi occidentali e segnatamente europei è ormai seguitissimo e noto nei suoi contorni peculiari di profilo, per cui i potenziali soggetti risultano attenzionati e i servizi di intelligence lavorano in rete in costante scambio di informazioni e di evidenze tra loro. Tali modalità di lavoro risultano fortemente performanti e le migliori da mettere in campo per la specifica tipologia di sfida. I recenti risultati preventivi e repressivi dimostrano una sensibile e celere capacità reattiva dell’intelligence nostrana, perfettamente integrata nella rete internazionale di difesa europea e atlantica. Purtroppo, come dimostrano i recenti fatti francesi e tunisini, un adeguato monitoraggio non scongiura in assoluto la possibilità che possano essere realizzate azioni terroristiche in un paese, seppure sia al momento la migliore attività di intelligence di contrasto sul campo.
Più volte sono arrivate minacce di attacco al Vaticano da parte dell’Isis. Teme che i terroristi possano passare alle vie di fatto?
Le minacce dell’IS riguardanti obiettivi occidentali sono sempre da prendere in seria considerazione, poiché la realizzazione avviene a cura di singoli o piccoli gruppi con modalità talora estemporanea, ma purtroppo efficace. L’Italia proprio anche per la specifica insistenza di significativi e simbolici obiettivi religiosi è sempre un territorio da considerare di possibile interesse terroristico poiché le azioni avrebbero tra l’altro un’eco mediatica universale senza eguali, strategia comunicativa pervicacemente perseguita dai teorici del sedicente califfato. In tal senso è corretto porre al più alto livello di attenzione tutte le forze di contrasto, al di là della concreta fattibilità delle azioni terroristiche paventate.
In Libia, attualmente, da mesi si combatte una guerra civile. Le milizie dell’Isis, poi, hanno iniziato a controllare anche parte di quel territorio. Mentre le altre grandi aziende energetiche internazionali hanno abbandonato la Libia, l’ENI continua a produrre gas e petrolio. Come è possibile che ciò avvenga, visto che gli jihadisti sono così vicini?
L’ENI, più di altre compagnie energetiche, gode di una stabile e storica presenza sul territorio libico che consente di permanere in operatività con maggiore sicurezza e appoggi locali fattivi, almeno fino alla presa effettiva degli impianti da parte dell’IS. Si tratta comunque di valutazioni aziendali e dei rischi che sono rapportate anche alla concreta possibilità di operare con maestranze locali e coperture anche informative delle fazioni in lotta nelle specifiche aree degli impianti e relative reti di trasporto.
L’Isis non ha ancora colpito il nostro Paese. Non crede che ciò possa dipendere anche da un ipotetico patto stipulato con la criminalità organizzata italiana e connesso, tra le altre cose, al traffico di armi?
Nel passato dei movimenti terroristici internazionali di alcuni decenni fa, sicuramente la politica estera e i rapporti anche commerciali privilegiati dell’Italia con alcuni paesi dell’area mediterranea, anche in contrasto con politiche atlantiche, hanno “protetto” il Paese, assieme ad altri elementi, accordi e interessi, da attacchi terroristici che in altre nazioni europee sono stati significativamente più frequenti. Tuttavia tali storici aspetti “protettivi” non appaiono attualmente consoni a limitare azioni specifiche dell’IS, a meno di nuovi “accordi” per esempio con fronti criminali nostrani che potrebbero riguardare appunto la fornitura di armi, anche se il califfato appare disporre già di una elevata quantità di armi da guerra derivanti dai depositi saccheggiati in particolare in territorio iracheno. Tuttavia accordi di tale tipo non precluderebbero in assoluto ad azioni terroristiche sul suolo italiano.
Lasciando da parte il fatto, oramai assodato, che molti dei terroristi sono figli di questa Europa, crede veramente che gente votata al sacrificio della propria vita, abbia timore di infiltrarsi nei nostri territori con i barconi?
La strategia ormai nota dell’ISIS per colpire in paesi europei è stata finora quella di utilizzare immigrati almeno di seconda generazione opportunamente indottrinati e addestrati, per sfruttare il forte disagio sociale motivante di non appartenenza di cui sono portatori tali soggetti. Non appaiono al momento esserci concrete ipotesi di infiltrazione attraverso i flussi migratori, tra l’altro sempre più soggetti a controlli, al di là dei rischi del mezzo. Con tali mezzi potrebbero al più spostarsi militanti del califfato da uno scenario di guerra o di azione terroristica da abbandonare.
Dopo l’11 settembre 2001, gli estremisti islamici sono stati presentati come la peggiore minaccia alla sicurezza degli Stati Uniti. Da un recentissimo studio del Centro di ricerca New America di Washington emerge che da quella tragica data, 26 persone sono state uccise da estremisti islamici, mentre le vittime di suprematisti bianchi, fanatici antigovernativi ed estremisti non musulmani sono state 48, quindi, quasi il doppio (Terrorismo. Prima minaccia in USA ma non è quello islamico). Non crede che il mondo occidentale abbia sempre la necessità di avere un nemico da combattere?
La minaccia terroristica, in particolare, è stata da sempre sfruttata dal potere occidentale per chiedere l’allineamento del dissenso, dell’opposizione e delle forze sociali al fine di rafforzare posizioni e consentire l’adozione di scelte politiche che altrimenti avrebbero ricevuto forte contrapposizione. Deve però considerarsi che individuare un nemico è sempre rassicurante e combattere guerre lontane dai propri confini allontana o diminuisce fortemente la possibilità di battaglie dentro i propri. Purtroppo, nel merito, la costituzione di uno Stato Islamico aggressivo e basato sul terrorismo cambia di molto la situazione di ordine mondiale e la lettura delle sue concrete implicazioni politiche e di sicurezza del mondo occidentale sono di una portata tale che solo nei prossimi anni sarà possibile fare un bilancio più puntuale.
Nell’immagine di copertina: SAT (Squadra Anti Terrorismo) della Polizia di Stato
Tunisia, Francia, Kuwait e Somalia: la jihad si è scatenata nel venerdì del Ramadan colpendo tre continenti quasi simultaneamente. Secondo lei l’intelligence italiana sta monitorando adeguatamente il fenomeno?
I propositi di attacco nel Ramadan erano stati auspicati dallo Stato Islamico e gli obiettivi colpiti sono in linea con le politiche terroristiche in chiave anti-occidentale e di innalzamento del conflitto interno al mondo islamico al fine di creare forti tensioni dall’esito caotico e incontrollabile per tutti gli attori in campo. Strategie di annuncio e azioni di singoli o piccoli gruppi ormai tristemente noti, dei quali si rendono autori soggetti per lo più già individuati dai servizi di sicurezza dei paesi interessati. Il fenomeno dei militanti terroristi che potrebbero colpire nei paesi occidentali e segnatamente europei è ormai seguitissimo e noto nei suoi contorni peculiari di profilo, per cui i potenziali soggetti risultano attenzionati e i servizi di intelligence lavorano in rete in costante scambio di informazioni e di evidenze tra loro. Tali modalità di lavoro risultano fortemente performanti e le migliori da mettere in campo per la specifica tipologia di sfida. I recenti risultati preventivi e repressivi dimostrano una sensibile e celere capacità reattiva dell’intelligence nostrana, perfettamente integrata nella rete internazionale di difesa europea e atlantica. Purtroppo, come dimostrano i recenti fatti francesi e tunisini, un adeguato monitoraggio non scongiura in assoluto la possibilità che possano essere realizzate azioni terroristiche in un paese, seppure sia al momento la migliore attività di intelligence di contrasto sul campo.
Più volte sono arrivate minacce di attacco al Vaticano da parte dell’Isis. Teme che i terroristi possano passare alle vie di fatto?
Le minacce dell’IS riguardanti obiettivi occidentali sono sempre da prendere in seria considerazione, poiché la realizzazione avviene a cura di singoli o piccoli gruppi con modalità talora estemporanea, ma purtroppo efficace. L’Italia proprio anche per la specifica insistenza di significativi e simbolici obiettivi religiosi è sempre un territorio da considerare di possibile interesse terroristico poiché le azioni avrebbero tra l’altro un’eco mediatica universale senza eguali, strategia comunicativa pervicacemente perseguita dai teorici del sedicente califfato. In tal senso è corretto porre al più alto livello di attenzione tutte le forze di contrasto, al di là della concreta fattibilità delle azioni terroristiche paventate.
In Libia, attualmente, da mesi si combatte una guerra civile. Le milizie dell’Isis, poi, hanno iniziato a controllare anche parte di quel territorio. Mentre le altre grandi aziende energetiche internazionali hanno abbandonato la Libia, l’ENI continua a produrre gas e petrolio. Come è possibile che ciò avvenga, visto che gli jihadisti sono così vicini?
L’ENI, più di altre compagnie energetiche, gode di una stabile e storica presenza sul territorio libico che consente di permanere in operatività con maggiore sicurezza e appoggi locali fattivi, almeno fino alla presa effettiva degli impianti da parte dell’IS. Si tratta comunque di valutazioni aziendali e dei rischi che sono rapportate anche alla concreta possibilità di operare con maestranze locali e coperture anche informative delle fazioni in lotta nelle specifiche aree degli impianti e relative reti di trasporto.
L’Isis non ha ancora colpito il nostro Paese. Non crede che ciò possa dipendere anche da un ipotetico patto stipulato con la criminalità organizzata italiana e connesso, tra le altre cose, al traffico di armi?
Nel passato dei movimenti terroristici internazionali di alcuni decenni fa, sicuramente la politica estera e i rapporti anche commerciali privilegiati dell’Italia con alcuni paesi dell’area mediterranea, anche in contrasto con politiche atlantiche, hanno “protetto” il Paese, assieme ad altri elementi, accordi e interessi, da attacchi terroristici che in altre nazioni europee sono stati significativamente più frequenti. Tuttavia tali storici aspetti “protettivi” non appaiono attualmente consoni a limitare azioni specifiche dell’IS, a meno di nuovi “accordi” per esempio con fronti criminali nostrani che potrebbero riguardare appunto la fornitura di armi, anche se il califfato appare disporre già di una elevata quantità di armi da guerra derivanti dai depositi saccheggiati in particolare in territorio iracheno. Tuttavia accordi di tale tipo non precluderebbero in assoluto ad azioni terroristiche sul suolo italiano.
Lasciando da parte il fatto, oramai assodato, che molti dei terroristi sono figli di questa Europa, crede veramente che gente votata al sacrificio della propria vita, abbia timore di infiltrarsi nei nostri territori con i barconi?
La strategia ormai nota dell’ISIS per colpire in paesi europei è stata finora quella di utilizzare immigrati almeno di seconda generazione opportunamente indottrinati e addestrati, per sfruttare il forte disagio sociale motivante di non appartenenza di cui sono portatori tali soggetti. Non appaiono al momento esserci concrete ipotesi di infiltrazione attraverso i flussi migratori, tra l’altro sempre più soggetti a controlli, al di là dei rischi del mezzo. Con tali mezzi potrebbero al più spostarsi militanti del califfato da uno scenario di guerra o di azione terroristica da abbandonare.
Dopo l’11 settembre 2001, gli estremisti islamici sono stati presentati come la peggiore minaccia alla sicurezza degli Stati Uniti. Da un recentissimo studio del Centro di ricerca New America di Washington emerge che da quella tragica data, 26 persone sono state uccise da estremisti islamici, mentre le vittime di suprematisti bianchi, fanatici antigovernativi ed estremisti non musulmani sono state 48, quindi, quasi il doppio (Terrorismo. Prima minaccia in USA ma non è quello islamico). Non crede che il mondo occidentale abbia sempre la necessità di avere un nemico da combattere?
La minaccia terroristica, in particolare, è stata da sempre sfruttata dal potere occidentale per chiedere l’allineamento del dissenso, dell’opposizione e delle forze sociali al fine di rafforzare posizioni e consentire l’adozione di scelte politiche che altrimenti avrebbero ricevuto forte contrapposizione. Deve però considerarsi che individuare un nemico è sempre rassicurante e combattere guerre lontane dai propri confini allontana o diminuisce fortemente la possibilità di battaglie dentro i propri. Purtroppo, nel merito, la costituzione di uno Stato Islamico aggressivo e basato sul terrorismo cambia di molto la situazione di ordine mondiale e la lettura delle sue concrete implicazioni politiche e di sicurezza del mondo occidentale sono di una portata tale che solo nei prossimi anni sarà possibile fare un bilancio più puntuale.
Nell’immagine di copertina: SAT (Squadra Anti Terrorismo) della Polizia di Stato
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