RELAZIONE SULLA POLITICA DELL’INFORMAZIONE PER LA SICUREZZA 2018: Le economie illegali e gli affari del crimine organizzato
Sul versante della cd. criminalità economica, l’attività intelligence a supporto degli Organi investigativi ha registrato l’incessante evoluzione di tecniche e processi funzionali alla commissione di una vasta gamma di
reati, specie per quel che concerne l’occultamento di risorse in danno dell’erario e la movimentazione e il reinvestimento di capitali di provenienza illecita.
Si tratta di dinamiche che non di rado hanno fatto emergere il ricorso all’intermediazione di studi professionali compiacenti che
anche attraverso proprie branche fiduciarie ubicate in paradisi fiscali agiscono come snodo tra circuiti legali ed illegali, fungendo altresì da “schermo” rispetto alla effettiva titolarità di disponibilità finanziarie sospette.
Ciò è avvenuto in uno scenario di fondo caratterizzato dal costante affinamento dei presidi normativi nazionali, destinati a conoscere ulteriori avanzamenti alla luce delle misure varate in ambito UE, segnatamente con il recepimento della V Direttiva antiriciclaggio (n. 2018/843) – che contribuisce ad
aumentare la trasparenza delle operazioni finanziarie, ampliando l’ambito soggettivo di applicazione delle prescrizioni normative e della Direttiva sulla “lotta al riciclaggio
mediante il diritto penale” (n. 2018/1673), volta ad assicurare l’uniformità della definizione dei reati e l’armonizzazione delle sanzioni tra gli Stati europei così da rafforzare
la collaborazione giudiziaria e di polizia a livello continentale.
Per capacità d’inquinamento del tessuto economico-produttivo nazionale, il primato spetta ancora una volta alle mafie nazionali, segnatamente alla ‘ndrangheta e a Cosa nostra nonché ad alcune agguerrite e strutturate espressioni della criminalità organizzata campana e pugliese.
Le organizzazioni mafiose, sebbene oggetto di un’efficace attività di contrasto e private dei propri leader
storici, hanno mostrato capacità di proiezione in business ad alta redditività, in Italia e
all’estero, ove dispongono di stabili articolazioni operative. In territorio nazionale, l’ingerenza criminale si manifesta e dispiega i
suoi effetti nocivi in più fasi e contesti: finanzia le imprese in difficoltà, determinandone
la “fidelizzazione” o assumendone il controllo; disincentiva, di fatto, gli investimenti privati (nazionali ed esteri); alimenta avvalen-
dosi di ramificati network relazionali – fenomeni di corruzione e collusione nei processi
decisionali pubblici per condizionarne gli esiti, soprattutto in relazione all’aggiudicazione di appalti per la realizzazione di opere
pubbliche, nonché al rilascio di concessioni/autorizzazioni amministrative per la gestione di servizi pubblici o di pubblica utilità.
Tra i settori d’elezione dei sodalizi si è
confermato quello dello smaltimento dei rifiuti, nel cui ambito è stato rilevato il persistente attivismo di circuiti affaristico-criminali riferibili a cosche locali interessati a controllare interi segmenti del ciclo dei
rifiuti, anche attraverso iniziative corruttive volte ad ostacolare o influenzare le attività
di imprenditori concorrenti. In questo contesto, sono emersi all’attenzione, tra l’altro, pratiche di illecita raccolta e smaltimento di rifiuti speciali ad opera di elementi contigui alla ‘ndrangheta, anche nelle zone di
proiezione del Centro-Nord Italia, nonché casi di corruzione di funzionari pubblici a
favore di società affidatarie del servizio di raccolta riconducibili ai clan.
Nuovi tentativi di penetrazione criminale, anche con finalità di riciclaggio, sono stati registrati con riguardo al gioco lecito, caratterizzato da aree di opacità per quel che
attiene sia alla riferibilità delle società di gestione sia all’ammontare dei flussi movimentati. L’azione intelligence ha posto in luce la sussistenza di frizioni interclaniche, talvolta
sfociate in azioni violente, legate al controllo di sale da gioco o di agenzie di scommesse sportive con sede in territori assoggettati all’influenza criminale.
Nel corso dell’anno non sono mancate
indicazioni relative a ingerenze mafiose nel settore della grande distribuzione, ove i vantaggi per le consorterie criminali sono con-
nessi non solo alle opportunità di riciclaggio, ma anche alla possibilità di imporre imprese di riferimento per la fornitura di beni e servizi o per l’assunzione di lavoratori, secondo consolidate dinamiche utili a procu-
rare benefici alle cosche anche in termini di “consenso sociale”.
La produzione informativa ha riguardato altresì il settore ortofrutticolo, tuttora appetibile ambito di intervento per le organizza-
zioni malavitose sia nelle aree di matrice sia nelle regioni di proiezione. In questo contesto, l’azione criminale tende ad acquisire spazi di agibilità lungo l’intera filiera, dalla produzione e commercializzazione delle
merci al loro trasporto su gomma, privilegiando i soggetti economici riconducibili o vicini alle stesse organizzazioni mafiose.
Per quanto concerne l’immigrazione
clandestina, sono emersi puntiformi tentativi di ingerenza nel sistema di accoglienza da parte di soggetti vicini ad organizzazioni criminali autoctone, anche in relazione alla possibilità di intercettare cospicui finanziamenti
pubblici. Parimenti, è stata evidenziata, principalmente in area campana, la disponibilità di alcuni clan a fornire supporto logistico ai migranti, essenzialmente nel procacciamento di documenti contraffatti. Gli stessi migranti
costituiscono bacino di reclutamento sfruttato tanto dai circuiti malavitosi nazionali, specie per attività lavorative in nero, quanto, in maniera più strutturata, da sodalizi stranieri.
Con riguardo alle singole matrici criminali, le organizzazioni campane e siciliane sono parse quelle che più hanno risentito della pressante azione di contrasto e dei continui cambi di leadership, che hanno
determinato un pronunciato ridimensionamento delle loro capacità “strategiche” e un sostenuto fermento inteso a preservare la tenuta degli assetti operativi e di comando.
Le evidenze informative hanno, in particolare, segnalato forti e ricorrenti tensioni interclaniche per quel che attiene alla realtà camorrista, specie partenopea, peraltro con
un significativo decremento degli omicidi e con tentativi di media-
zione da parte dei clan “storici”.
Nel contempo, l’arresto, a fine 2018, di
importanti esponenti di Cosa nostra palermitana ha dato riscontro ad un quadro d’intelligence attestante i tentativi dei mandamenti del capoluogo di riorganizzare la propria struttura verticistica sul modello della
commissione provinciale (cd. cupola).
In continuità con un trend emerso negli ultimi anni, l’azione informativa ha posto in luce assidue interlocuzioni tra consorterie di diversa estrazione, anche con il coinvolgimento di espressioni criminali straniere,
volte a definire comuni strategie di sviluppo e di “pacifica” coesistenza sui mercati criminali, a partire da quello degli stupefacenti. Il traffico di droga resta il fulcro e il comune
denominatore degli interessi delle organizzazioni mafiose, in virtù del quale vengono strette alleanze e stipulati accordi trasversali
che includono anche il riciclaggio, l’usura e le scommesse illegali. Epicentro del “sistema” del narcotraffico si conferma senza
dubbio la criminalità organizzata calabrese, forte di un know-how ultradecennale e di
un network relazionale
ed operativo con proiezioni anche nel Centro-Nord Italia e all’estero. Non è un caso che Cosa nostra e camorra
si siano talora avvalse dell’expertise della ‘ndrangheta realizzando partnership con esponenti di clan calabresi, anche al fine di sfruttare i consolidati canali di approvvigionamento dello stupefacente dall’America latina.
Nel panorama delle mafie straniere
operanti in territorio nazionale, le più
dinamiche e strutturate si confermano le formazioni nigeriane, attive in un’ampia gamma di settori dell’illecito quali il narcotraffico, lo sfruttamento della prostituzione e il traffico di esseri umani, che vale anche ad assicurare presa ed influenza sulla diaspora. Le acquisizioni raccolte hanno
fatto stato di un processo di rinnovamento/rimodulazione dei sodalizi, propensi ad acquisire maggiore autonomia decisionale rispetto alle organizzazioni presenti
in madrepatria, nonché a conformare il proprio modus operandi ai modelli delinquenziali occidentali. Si inserisce in questa fase evolutiva l’inten-
sificazione dei rapporti con la criminalità organizzata nazionale,
connotati da un vario livello di subalternità o di interazione, a
seconda delle regioni di insediamento e del grado di influenza, a livello locale, delle organizzazioni autoctone.
L’attività informativa in direzione dei sodalizi criminali cinesi ha ribadito, in linea generale, la forte connotazione gerarchica di quegli assetti, l’ampiezza degli addentellati con le comunità di riferimento e le notevoli capacità di mimetizzazione dei business
criminali, anche mediante una puntiforme azione di penetrazione del tessuto economico legale – che consente di reimpiegare
i proventi illeciti, nonché di drenare risorse da destinare alla madrepatria – e il ricorso a società finanziarie di copertura, con sedi legali all’estero, ma di fatto operative in territorio nazionale.
Più “visibile” la criminalità albanese, ormai da tempo presente in tutte le regioni d’Italia, che ha raggiunto elevata specializzazione nelle più remunerative attività illecite
transnazionali: dal traffico di droga a quello di clandestini, dallo sfruttamento della prostituzione al contrabbando, dai reati preda-
tori al riciclaggio, acquisendo e mantenendo un ruolo primario nello scenario balcanico.
È soprattutto nel narcotraffico che i gruppi schipetari, tra i più attivi in ambito europeo, esprimono una capacità criminale particolarmente sofisticata ed evoluta, che li rende
partner privilegiati anche delle organizzazioni italiane. Di particolare rilievo, infine, il fenomeno del pendolarismo transfrontaliero posto in essere da strutturate bande albanesi in centri urbani della fascia adriatica,
finalizzato al compimento di reati predatori, sovente realizzati con inusitata violenza.
Quanto ai sodalizi criminali russofoni, in particolare di matrice armena, ucraina e georgiana, le evidenze raccolte hanno riguardato
tentativi di riorganizzazione interna dei clan, specie in territorio pugliese, nonché l’esistenza di strutturati contatti con soggetti contigui
alla criminalità organizzata nazionale. Dediti perlopiù a furti inappartamento e rapine, i citati sodalizi, che vantano ramificazioni in diversi Paesi europei, si sono evidenziati anche
per traffico di armi e stupefacenti, estorsioni in danno di connazionali, sfruttamento della prostituzione e riciclaggio. Pure all’attenzione, infine, la persistente vitalità delle bande
giovanili sudamericane, presenti soprattutto nel Centro-Nord Italia, di cui il monitoraggio intelligence ha posto in evidenza significative
frizioni interne che, nel riproporre in territorio nazionale dinamiche associative proprie dei Paesi d’origine, appaiono suscettibili di sfociare in episodi violenti. Rischi ulteriori, in
termini di crescita organizzativa e livelli di aggressività, potrebbero profilarsi in relazione ai rilevati, stretti rapporti con le più strutturate organizzazioni presenti in madrepatria e in altri contesti europei.
La realtà camorristica partenopea
Nell’ambito del panorama criminale napoletano, caratterizzato da equilibri incerti e da alleanze
meramente tattiche che favoriscono un’accesa e continua conflittualità, è possibile distinguere tra:
• clan storici, capaci di unire al controllo militare e allo sfruttamento delle attività sul territorio (racket,
spaccio di stupefacenti e smercio di prodotti contraffatti) una consolidata rete relazionale ed un
profilo imprenditoriale;
• clan minori, che cercano sponde in alleanze tattiche con i potentati camorristici e da questi ricevono
sia i rifornimenti di stupefacenti da immettere sul mercato, sia la gestione “in appalto” delle attività
illegali maggiormente esposte all’azione di contrasto;
• aggregazioni estemporanee, nate sovente da scissioni interne ai clan e formate da giovani leve,
spregiudicate tanto nelle alleanze quanto nelle modalità d’azione.
I clan storici, anche a seguito della scarcerazione di esponenti di primo piano, sono parsi interessati a
svolgere un ruolo di mediazione rispetto ai gruppi minori, tentando una ridefinizione delle competenze
territoriali, resa assai complessa dalla vicinanza fisica fra i sodalizi.
Anche in questa chiave, oltre che in un’ottica di elusione dell’azione di contrasto, parrebbe porsi
il crescente ricorso a “piazze di spaccio virtuali”, gestite sui social network con consegna dello
stupefacente a domicilio anche in aree della città al di fuori della “competenza” dei singoli clan. Si tratta
di una pratica diretta a contenere la conflittualità interclanica attraverso la de-territorializzazione delle
attività di smercio, che pure potrebbe trovare l’opposizione degli stessi sodalizi, cui il superamento
della “logica della piazza” toglierebbe quella “legittimazione sociale” sulla quale si basano.
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