ERGASTOLO OSTATIVO E 41-bis PER I BOSS MAFIOSI VANNO MANTENUTI. NON LEDONO I DIRITTI UMANI E COSTITUZIONALI di Giuseppe Lumia

 



Ci risiamo. È ciclico. La normativa del “doppio binario” pensata da Falcone, e oggi sistematizzata nel Codice Antimafia, viene di nuovo rimessa in discussione.  

Siamo infatti alla vigilia di una importante decisione della Corte Costituzionale. 


La nostra Corte è chiamata stavolta ad esprimersi sul mantenimento dell’Ergastolo Ostativo (fine pena mai) anche per i boss mafiosi che scelgono di non collaborare con lo Stato. Attenzione, la collaborazione dei cosiddetti pentiti è tesa a impedire nuovi omicidi e altri gravi delitti ed è indispensabile per svelare le dinamiche interne alla organizzazione mafiosa, le loro ricchezze e il loro sistema di collusioni. Un’organizzazione che fa della segretezza, insieme all’impunità e all’omertà, il proprio punto di forza per reggere gli urti provocati dalle indagini e dalla crescita culturale e sociale della società civile, ma anche per evitare defezioni nelle proprie roccaforti o crisi dei loro rapporti nei salotti buoni della finanza e dell’economia. 


L’Avvocatura dello Stato ha deciso di assumere una linea che, da una parte, difende l’istituto, dichiarando che a suo avviso non è incostituzionale; dall’altra, demanda alla responsabilità del giudice tutelare la valutazione caso per caso della possibilità di andare oltre l’Ergastolo Ostativo e concedere i benefici carcerari anche ai boss. Non si tiene conto che questa apertura rischia di inficiare la possibilità per i boss mafiosi di prendere realmente e concretamente le distanze dall’organizzazione mafiosa; inoltre non si considera che lo stesso giudice tutelare ha una visione legata al comportamento dei condannati di mafia all’interno del carcere solitamente irreprensibile, piuttosto che alle dinamiche mafiose nei territori di appartenenza.


Stesso ragionamento vale per il 41-bis dell’Ordinamento Penitenziario, che è stato pensato per impedire che i boss potessero continuare a comunicare dal carcere con l’esterno, in modo da perseverare nell’indirizzare gli affiliati a commettere anche terribili delitti. 


Queste rigorose misure ledono i diritti umani? È naturalmente lecito chiederselo e avere pareri discordanti, ma a ben vedere le cose non stanno così! Diversamente, tra l’altro, non ci sarebbe scampo per buona parte della legislazione Antimafia. 


Vediamo perché. Il nostro sistema normativo antimafia, con l’Ergastolo Ostativo, non sbarra in realtà le porte del carcere a un percorso di ravvedimento e di recupero, lo fa solo alla luce delle caratteristiche che contraddistinguono l’organizzazione mafiosa. 

Quando si entra in essa, non è più possibile prenderne le distanze, se non quando – rarissimamente – si viene “posati”, con rischio enorme per la propria vita, o quando si collabora con lo Stato, con rischi certi per la propria vita. Rischi certi perché è una vera presa di distanza che cambia la vita del boss e che potenzialmente lo recupera alle logiche della democrazia e della tutela dei diritti umani. Diversamente, il boss può fingere, gli è addirittura consentito dalla mafia; può perfino parlare pubblicamente male dell’organizzazione o dichiarare di ignorarne l’esistenza, come faceva lo stesso Riina. Perché? Sono tenuti solo al loro interno a dire tutta la verità, mentre all’esterno possono affermare tutto il contrario. 


Cosa ben diversa è nel terrorismo, dove l’appartenenza manifesta è un punto di forza della propria identità criminale. 


Dopo 26 anni di carcere, consentire ai boss di accedere ai benefici penitenziari senza avere collaborato rischia pertanto di essere un cedimento. Anzi, i boss che resistono così a lungo acquistano meriti e quando escono dal carcere riprendono subito il proprio ruolo, con prestigio e una ulteriore legittimazione nelle funzioni apicali della organizzazione mafiosa.


Comportarsi “bene” nelle carceri non costa niente, perché all’interno delle strutture penitenziarie i boss sanno farsi “rispettare” in quanto non sono singoli detenuti, ma membri di una organizzazione fortissima, che intimidisce e si impone e poi perché con il loro “welfare criminale” hanno alle spalle chi provvede al mantenimento delle loro famiglie.

Allora, il criterio della collaborazione consente una valutazione reale della possibilità di prendere le distanze dalla mafia e quindi di poter beneficiare di condizioni più favorevoli. 


Il figlio maggiore di Riina, statene certi, appena avrà trascorso i 26 anni di detenzione, essendo ancora giovane e irriducibile, sarà pronto a riprendere il ruolo che gli compete, come lasciava intendere nei dialoghi con il padre in carcere, con un cinismo reciproco da fare rabbrividire. Entrambi teorizzavano la “sopportazione” e la “buona condotta” perché conoscevano i varchi che si possono aprire in uno Stato democratico e la capacità della tenuta mafiosa.


Anche sulla giurisprudenza europea va chiarito che non si è mai presa una decisione contraria al “doppio binario” antimafia. Naturalmente, bisogna tornarci sempre sopra, spiegare, rimotivare e addirittura chiedere che la nostra legislazione sia di esempio per lo spazio antimafia europeo. 

Non vedo le nostre istituzioni antimafia e la politica italiana molto impegnate in questa direzione. 


L’ONU invece ha dato di recente segnali incoraggianti, rilanciando e potenziando i Protocolli della Convenzione di Palermo del dicembre del 2000, denominandoli addirittura “Protocolli Falcone”. 


Ecco perché non solo la nostra legislazione sull’Ergastolo Ostativo, sul 41-bis e su tutte le altre misure del Codice antimafia non ledono i diritti umani, ma potremmo dare una mano decisiva all’Europa e al mondo intero per affrontare in modo adeguato, efficace e democraticamente fondato una sfida contro le mafie che non va mai sottovalutata e semmai va assunta come una grande priorità, su cui garantire più alti livelli di legalità sostanziale e di sviluppo sostenibile, viste le libertà che potrebbero maturare e i diritti che potrebbero crescere senza il dominio e le collusioni mafiose.

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