FOCUS SU CRIMINALITÀ ORGANIZZATA E MAFIA IN FRIULI VENEZIA GIULIA 2025 a cura di Salvatore Calleri
PROLOGO
Il Friuli è sempre stato considerato un'isola felice senza problemi e per questo esiste il rischio di incorrere in alcuni luoghi comuni.
• Non si deve parlare di mafia perché si rovina la reputazione di un territorio.
Diffusissimo in tutto il paese, in particolare nel nord Italia, oltre che in tutta Europa, anche questo luogo comune è condiviso da cittadini e forze politiche. Seppur non sempre, spesso in malafede. È difficile in molte parti del Paese, soprattutto dove non esiste una tradizione mafiosa, riconoscere che la mafia è accanto a dove si vive e si lavora, e si crede erroneamente che riconoscendo il problema la situazione possa peggiorare, a partire dal rovinare la reputazione della propria terra. È un luogo comune favorito sia in modo diretto che indiretto dalle stesse organizzazioni criminali che vi sono presenti. Al contrario parlare di mafia aiuta ed è fondamentale per liberarsene.
• Teoria dell’isola felice
Questo luogo comune è spesso utilizzato in coppia con il precedente e si fonda sull’illusione che un territorio in origine tranquillo - perché culturalmente privo di mafia - lo possa ri-manere per sempre. Purtroppo non è più così: oggi non esistono posti in cui una qualche forma di mafia non sia presente. Spesso quando si pensa di vivere in una isola felice si diventa automertosi, in quanto non si vuole accettare la realtà che il proprio territorio sia cambiato. Per costoro, se mai fosse presente la mafia lo è nel comune accanto, nel quartiere vicino e non nel proprio.
Questo focus serve per fare il punto in un bellissimo e prospero territorio quale è il Friuli Venezia Giulia.
Parlare di mafia e di criminalità organizzata partendo dalle operazioni fatte e dalle relazioni della DNA e della DIA prese in considerazione serve a rendere un territorio consapevole della problematica.
Elenco comunicati significativi su mafie, criminalità organizzata e reati spia
2 agosto 2010
Mafia: Gratteri, in Fvg passa eroina da Afghanistan a Europa.
(ANSA) - UDINE, 2 AGO - ''Passa attraverso il Friuli Venezia Giulia l'eroina che arriva in Europa dall'Afghanistan via Turchia ed ex Jugoslavia''.
Lo ha detto oggi a Gemona (Udine) il magistrato anti-mafia Nicola Gratteri, sostituto procuratore a Reggio Calabria, da anni attivo nella lotta al narcotraffico.
''In questo caso - ha spiegato - a controllare il traffico sono le mafie serbe, organizzazioni criminali molto agguerrite che portano eroina in Italia. Adesso l'eroina e' in crescita di nuovo - ha aggiunto - perche' i talebani ne stanno producendo tantissima, dunque puo' arrivare sul mercato europeo a un prezzo molto basso''. (ANSA).
29 febbraio 2012
CLAN TERRACCIANO COLPITO IN OTTO REGIONI
Le regioni in cui oggi è stato colpito il clan Terracciano oggi sono: Toscana, Campania, Basilicata, Lazio, Sicilia, Friuli Venezia Giulia, Emilia Romagna e Umbria.
3 febbraio 2013
FRIULI VENEZIA GIULIA: RELAZIONE DNA
Tratto dalla Relazione della Direzione Nazionale Antimafia.
"La regione Friuli-Venezia Giulia si presenta come un territorio caratterizzato da una
peculiare complessità, sotto il profilo dell’analisi della delittuosità di tipo mafioso.
Da un lato, le convergenti e oggettive emergenze investigative e giudiziarie portano ad
escludere che attualmente il tessuto economico-sociale della regione sia funestato dal
radicamento di gruppi criminali, classificabili come “di tipo mafioso”.
Da altro lato, non può sottacersi che nel corso degli anni scorsi è stata ampiamente
documentata la presenza, sul territorio regionale, di elementi legati a cosche mafiose siciliane, a
‘ndrine calabresi, a clan camorristici e persino a sodalizi pugliesi".
23 giugno 2017
RELAZIONE DNA 2016 - IL CASO DI LIGNANO SABBIADORO IN FRIULI
In sostanza, si presenta un allarmante quadro sulla capacità di infiltrazione in Friuli Venezia Giulia delle cosche mafiose. Sono soprattutto i mutati i rapporti fra sodalizi criminali internazionali e il variare delle condizioni geopolitiche a proiettare il F.V.G. come regione strategica nello sviluppo di traffici criminali. All’uopo la Procura distrettuale di Trieste ha incentivato presso le autorità istituzionali della Regione, la costituzione di un Osservatorio permanente sul fenomeno mafioso volto a dare continuità, a tutti i livelli, all’opera di opposizione fattiva alle mafie ormai installatesi nella Regione. Come esempio di capillare penetrazione della malavita organizzata nel tessuto legale del Friuli Venezia Giulia va necessariamente ricordata l’indagine, ancora in corso, sulle evidenti irregolarità del voto amministrativo del Comune di Lignano Sabbiadoro, uno dei gioielli del turismo friulano. Qui fra il 2011 e il 2012, in prossimità del voto comunale si assisteva ad una organizzata migrazione che dalla Campania giungeva in Lignano con nuclei famigliari che ottenevano, a pochi mesi dal voto, la residenza maturando così il diritto a partecipare alla contesa elettorale. La sofisticata e complessa operazione spostava circa 400 preferenze che andavano a vantaggio dell’allora vice-sindaco, anch’esso di origine napoletana e poi risultato primo fra gli eletti in Consiglio Comunale. Per accelerare le pratiche dei richiedenti la residenza a Lignano – pratiche anagrafiche che, quando provengono da altri Comuni, non sono per nulla brevi – si mobilitava il Comandante della Polizia Municipale che verrà indagato per vari reati connessi. L’interesse della vicenda criminosa riguarda due aspetti: il primo concerne l’originalità di una pratica che sfugge ai consueti dettami del voto di scambio, trattandosi invero di una vera e propria falsificazione del dato elettorale e di un attentato ai diritti costituzionali dei cittadini di Lignano, almeno di quelli autoctoni; In secondo luogo va valorizzato l’uso politico finale di tutta l’operazione e della avvenuta elezione del candidato campano: a parte la carica di vice-sindaco, quasi onorifica in un piccolo Comune, il soggetto di interesse – forte del consenso popolare raggiunto – chiedeva e riusciva ad ottenere la presidenza della Commissione Edilizia di Lignano Sabbiadoro deputata alle concessioni per nuove costruzioni ma soprattutto alle proposte di stesura e variazione del Piano Regolatore urbanistico. Considerando la ridotta consistenza del numero degli abitanti del Comune di Lignano – ad esclusione del periodo turistico – ed il suo ambito tipicamente provinciale, stupisce come tutto ciò sia potuto accadere senza che ciò destasse allarme nelle istituzioni locali.
RELAZIONE DNA 2016 SULLA 'NDRANGHETA IN FRIULI
La ‘ndrangheta calabrese appare molto più attiva e “connessa” al territorio. Peraltro, a differenza delle cosche siciliane, la mafia calabrese si è storicamente denotata per la propria capacità di esportare, con una specie di franchising criminale, la struttura organizzativa in altre regioni e Stati pur imponendo il comando strategico presso la “famiglia” o “struttura” di origine residente in Calabria. Indagini recenti a Trieste incentrate sulla figura del clan Iona, che hanno portato alla emergenza un contesto criminale di tipo associativo creatosi tuttavia molti anni or sono, hanno evidenziato una vasta presenza criminosa che ha diversificato i suoi interessi dal traffico di cocaina, al contrabbando di carburante fino al tradizionale intervento diretto negli appalti edilizi attraverso la gestione di ditte di movimento terra e con il reperimento di manodopera.
Per dare una misura del fenomeno, in verità clamorosa, si pensi che in occasione dei lavori di manutenzione ed allargamento della grande base americana di Aviano, più della metà delle ditte ammesse ai lavori e una larga parte dei lavoratori stessi furono segnalati come aventi rapporti con le cosche calabresi. Essendo i lavori di esclusiva pertinenza Usa le varie interdittive anti mafia furono, all’epoca, tranquillamente aggirate. La puntuale osservazione delle vicende del clan Iona da parte della DIA, centro di Padova e sezione di Trieste (operazione "AMARANTO" – procedimento penale nr. 5583/DDA/2014, si ricollega all'operazione "BRIGANTINO" già svolta dalla DIA di Padova - sezione di Trieste negli anni 2003-2004 – procedimento penale n. 2609/DDA/2003), ha altresì permesso di rilevare uno stretto rapporto con ndrine presenti in Veneto, Lombardia e ovviamente Calabria. Recenti ed ingenti sequestri di cocaina collegati al porto di Trieste hanno portato gli inquirenti ad ipotizzare un intervento diretto ed autonomo della Centrale calabrese verso il FVG, motivato dalla necessità della ndrangheta di “decongestionare” il tradizionale approdo di Gioia Tauro, sottoposto invece ad un controllo sempre più efficace da parte delle Forze dell’Ordine. Sembrerebbe quindi che, nonostante “l’affidamento” regionale, la 'ndrangheta calabrese si riserverebbe di gestire centralmente un traffico che dal Sud America, attraverso Trieste, approderebbe poi all’Est Europa. Peraltro, è bene sottolineare che trasporti di droga di grandi dimensioni vengono programmati in pieno accordo e partecipazione con i fornitori dello stupefacente che solitamente si accollano la responsabilità della consegna per una parte consistente del tragitto prescelto per lasciare poi agli acquirenti una specie di “ultimo miglio”: in questo senso acquistano grande importanza anche i corridoi criminali dei Balcani che, via terra, raggiungono il FVG e l’Italia per lo spaccio nel nostro paese. Va inoltre rilevato, su un altro fronte, la pervasiva presenza di ditte appaltatrici di manodopera negli stabilimenti cantieristici di Monfalcone sospettate di intrattenere rapporti con le cosche sia calabresi che siciliane. Esse svolgerebbero un ruolo determinante nella fornitura di lavoratori interinali delineando in tal guisa una situazione di vero e proprio caporalato. Come ha sottolineato la commissione parlamentare antimafia nel corso della sua visita in Friuli Venezia Giulia risalente al giugno 2015, sono emerse delle criticità che richiedono una interlocuzione, quantomeno per invitare le imprese a siglare un nuovo protocollo di legalità con le parti sociali e la prefettura. Tali protocolli di legalità non sono stati ancora accettati da importanti aziende del settore, anche di proprietà pubblica.
RELAZIONE DNA 2016 - CAMORRA IN FRIULI
Quanto invece alla presenza di realtà criminali legate ai clan camorristici, si è da poco sviluppata – ed è ancora in corso – una vasta indagine al momento concretizzatasi in numerose perquisizioni ed avvisi di garanzia, su una nota quanto diffusa rete di esercizi pubblici, gestita, non solo in F.V.G., da soggetti di origine napoletana. Questi ultimi, attraverso una serie di ristoranti e pizzerie, avrebbero il compito di riciclare denaro proveniente da traffici illeciti campani per poi reindirizzare il denaro “pulito” nel napoletano. Appare significativo, in proposito, che nella vicenda sembra svolgano un ruolo alcuni professionisti di stanza a Napoli che non si limiterebbero a mere funzioni di intermediazione, ma potrebbero aver assunto livelli di direzione nella vicenda. Si tratta di un intreccio ancora da chiarire ma che reca elementi di novità e che potrebbe costituire il canovaccio di altre vicende, sempre legate alla saturazione in sud Italia della ristorazione. Tale sodalizio di riciclaggio, con immissioni di denaro costanti e puntuali a referenti napoletani colpisce particolarmente, poiché risulta da tempo essersi insediata in Trieste per cui è in grado di disporre di una platea di clienti molto vasta e spesso di elevato tenore sociale.
RELAZIONE DNA 2016 - COSA NOSTRA IN FRIULI
Per quanto riguarda le organizzazioni criminali più “tradizionali”, Cosa Nostra siciliana sembra concentrarsi sulla attività di reinvestimento di capitali illeciti in operazioni finanziare e immobiliari “legali” come segnalato da vari sequestri preventivi nella provincia di Udine. Su Cosa Nostra la DIA segnala alcuni provvedimenti ablativi:
In data 3/02/2016 il Centro Operativo DIA di Palermo ha eseguito un provvedimento di confisca (del Tribunale di Palermo) nei confronti dell’imprenditore edile palermitano PECORA Francesco, deceduto il 3/05/2011, e dei suoi eredi, per un valore complessivo di oltre 100 milioni di euro. Il PECORA, personaggio di rilievo della consorteria mafiosa palermitana “cosa nostra”, annovera come suoi coimputati nei “processi di mafia” personaggi di alto spessore criminale, quali Pippo CALO’, Antonino ROTOLO, Tommaso SPADARO e Giuseppe FICARRA. La figlia di PECORA, Caterina, è coniugata con MOTISI Giovanni, latitante, figlio del noto Matteo, già uomo d’onore della famiglia mafiosa di Pagliarelli. Il PECORA e le sue società avevano assunto un ruolo di interfaccia e di collegamento con il mondo imprenditoriale legale, gestendo i capitali provenienti dalle attività delittuose di “cosa nostra” anche fuori dalla Sicilia, condividendo gli interessi illeciti dell’organizzazione; infatti una delle aziende confiscate (Edilizia Friulana Nord S.r.l.) ha sede legale a Pordenone. In data 19/05/2016 la Guardia di Finanza di Palermo ha eseguito in provvedimento di sequestro (del Tribunale di Palermo) nei confronti dell’imprenditore palermitano GRAZIANO Domenico, deceduto il 23/11/2013, e dei suoi eredi, per un valore complessivo di circa 7 milioni di euro. Il provvedimento di sequestro, che ha interessato beni mobili e immobili, ubicati sia a Palermo che nella provincia di Udine (società Nord Costruzioni srl con sede legale a Udine nonché vari immobili di proprietà della stessa), è giunto al termine di una complessa attività investigativa.
RELAZIONE DNA 2016 - RISCHI CHE CORRE IL FRIULI
In tal senso, il Procuratore distrettuale triestino segnala alcuni eventi di natura geopolitica che hanno - peraltro - concorso negli anni a contribuire a far assumere al FVG un ruolo di assoluta preminenza nel panorama dei traffici criminali. Li riassumiamo sinteticamente: a) la presenza, nelle zone limitrofe delle repubbliche appartenenti alla ex Jugoslavia, di gruppi di potere di criminalità organizzata; b) il sorgere nei Balcani e in vari parti dell’Europa orientale di uno dei più vasti mercati per lo spaccio di droga, in particolare cocaina, della quale la mafia calabrese ha ormai il monopolio di importazione grazie agli stretti legami rafforzati con i clan colombiani e soprattutto con il cartello messicano di Sinaloa; c) l’aumentata produttività ed influenza del porto di Trieste, divenuto strategico per la proiezione del commercio verso l’Est; d) il tumultuoso contesto del fenomeno migratorio che, nei momenti di maggior pressione sulla pista balcanica, investe anche questa regione.
21 novembre 2018
Operazione Tagliamento - Indagini su appalti per oltre un miliardo di euro
Sono circa quattrocento i finanzieri del Comando Regionale Friuli-Venezia Giulia che sono impegnati dall’alba di oggi nel triveneto e in tutto il territorio nazionale in acquisizioni documentali, perquisizioni e sequestri disposti dalla Procura della Repubblica del Tribunale di Gorizia presso decine di enti pubblici, società e abitazioni di soggetti sottoposti ad indagini, all’esito preliminare di un’attività investigativa condotta su molteplici appalti di opere pubbliche per un valore di oltre un miliardo di euro. Le procedure di affidamento oggetto delle indagini riguardano la manutenzione e la costruzione di strade, autostrade, ponti, viadotti, cavalcavia, sottopassi, gallerie, piste aeroportuali, edifici, opere fluviali e di sistemazione idraulica, acquedotti, gasdotti, opere marittime e lavori di dragaggio, impianti di bonifica e protezione ambientale. Ulteriori acquisizioni riguardano altri enti e comuni ubicati nelle province di Gorizia, Udine, Trieste, Pordenone, del Veneto, della Lombardia, dell’Emilia-Romagna, della Liguria, della Toscana, dell’Umbria, delle Marche, dell’Abruzzo, del Lazio, della Sicilia e della Sardegna. Alcune procedure di affidamento si riferiscono a opere da realizzare in diverse aree colpite dal sisma del 2016 nel centro Italia, tra cui “Norcia”, “San Benedetto”, “Tre Valli Umbre”. La Procura della Repubblica di Gorizia sta ricostruendo le catene di appalti e subappalti e verificando la regolarità di circa 150 procedimenti di aggiudicazione delle opere pubbliche a seguito di gare indette negli anni 2015/2018. I provvedimenti di perquisizione e sequestro riguardano invece le sedi amministrative di 120 società ed i domicili di 220 soggetti ubicati in Friuli-Venezia Giulia, Veneto, Trentino Alto-Adige, Lombardia, Piemonte, Emilia-Romagna, Toscana, Puglia, Lazio, Campania, Sicilia, Sardegna. Le ricerche, condotte dai finanzieri del Friuli Venezia Giulia con la collaborazione di colleghi di altre regioni, in questo caso, sono finalizzate ad acquisire prove in ordine ad accordi tra imprese diretti alla preordinata spartizione delle opere nell’ambito di più complessive alleanze tra società volte a rendersi reciprocamente note: le rispettive intenzioni di partecipare o meno ad una gara piuttosto che ad un’altra ovvero ad un lotto piuttosto che ad un altro nell’ambito delle medesime gare d’appalto; l’entità e/o i contenuti delle offerte da formulare in modo da permettere di volta in volta all’impresa individuata e facente parte della “cordata” di riferimento di aggiudicarsi l’appalto alle condizioni più favorevoli; secondo modalità tali da alterare la regola indefettibile della libera concorrenza tra i singoli partecipanti e tali da assicurare maggiori possibilità di aggiudicazione all’impresa prescelta. Le indagini hanno evidenziato prassi contrarie alla legge anche in ordine: alla costituzione di associazioni e raggruppamenti temporanei meramente cartolari; all’utilizzo di contratti di subappalto per quote superiori al limite normativo del 30%, in cambio del riconoscimento di percentuali di guadagno; alla falsa indicazione documentale di dotazioni logistiche e strumentali al fine di incrementare il punteggio tecnico attribuito dalle commissioni aggiudicatrici. Ciò che emerge dalle risultanze istruttorie non sono solo le decine di turbative d’asta tra le imprese coinvolte per effetto di pratiche collusive, ma anche un pericoloso fenomeno di frode nella realizzazione delle opere appaltate con lavorazioni eseguite utilizzando talvolta materiali non certificati, difformi da quelli dichiarati e in quantitativi inferiori rispetto a quelli richiesti e fatturati, con conseguenti gravi violazioni anche di natura ambientale, il tutto con il comportamento a volte omissivo di coloro che avrebbero dovuto esercitare funzioni di controllo. L’indagine, che pure ha preso avvio dai controlli relativi ad un appalto “anomalo” che interessava la città di Gorizia, si è poi estesa a diverse opere del territorio regionale prima e nazionale poi, evidenziando collusioni che travalicano il confine friulano e diventano “sistema” diffuso in varie regioni. Il nome dell’operazione, ribattezzata “GRANDE TAGLIAMENTO”, eleva a manifesto dell’indagine vicende di vera e propria spartizione dei lavori da realizzare a destra e a sinistra del Tagliamento, fiume che divide il Friuli Venezia Giulia dal Veneto. Tra i reati per cui si procede si evidenziano l’associazione a delinquere, la turbativa d’asta, gli inadempimenti e le frodi nelle pubbliche forniture, i subappalti in violazione di legge e concussione. Sono al vaglio altre ipotesi di reato. Le indagini proseguono nel rispetto del segreto istruttorio con l’esame della documentazione sequestrata ed acquisita, nonché con interrogatori e testimonianze.
7 gennaio 2019
Operazione Clepe et labora - Scoperta frode fiscale milionaria
Comando Provinciale Pordenone
311 lavoratori irregolari, fatturazioni per operazioni inesistenti per 5,1 milioni di euro, redditi sottratti a tassazione per 5,4 milioni di euro, contributi e ritenute non versate per 625.000 euro, 8 persone indagate e un sequestro per equivalente per 4.050.000 euro. Questo il risultato dell’operazione “Clepe et Labora” condotta dalla Guardia di Finanza di Pordenone su delega della Procura della Repubblica di Pordenone. Le indagini, avviate da oltre 10 mesi dal Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria di Pordenone, hanno interessato una cooperativa facente parte di un noto gruppo operante in plurime Province del Triveneto in servizi di facchinaggio, movimentazione merci e servizi ecologici. La cooperativa, per sottrarsi agli obblighi fiscali, sistematicamente annotava in contabilità costi fittizi originati da fatture per operazioni inesistenti emesse da altri enti cooperativistici a questa attigui – con sede nelle Provincie di Padova, La Spezia, Bari e Pordenone - tutti creati con finalità prevalentemente fraudolente (avendo strutture precarie e limitate nel tempo, sedi di comodo e risultando inadempienti agli obblighi dichiarativi). Le fatture false si riferivano a pagamenti per prestazioni, mai avvenute, in cantieri asseritamente avviati nella Federazione Russa e in Serbia, nonché per l’acquisto di macchinari industriali risultati parimenti inesistenti. Tali costi fittizi permettevano quindi di “abbattere” il reddito generando in capo alla cooperativa “finti” crediti iva che venivano utilizzati per “compensare” debiti tributari e contributivi del personale dipendente. Le indagini si sono, inoltre, soffermate sulla peculiarità gestionale della cooperativa, formata da un asset produttivo identificabile nella manodopera fornita da centinaia di lavoratori che avevano, peraltro, recentemente posto in essere iniziative dimostrative e mediatiche finalizzate a segnalare situazioni di sfruttamento e di mancata sicurezza sui luoghi di lavoro. In tale ambito le indagini hanno accertato come la cooperativa risultasse disattendere le condizioni remunerative previste dal contratto nazionale, sottopagando i propri dipendenti malgrado l’assenza delle condizioni legittimanti normativamente previste. Tali improprie riduzioni stipendiali risultavano operate adducendo una generica “crisi del settore della logistica” priva di riscontro con la realtà fattuale (la cooperativa risultava, nel periodo dal 2014 al 2016, aver incrementato il proprio fatturato da 3 a 7,6 milioni di euro per il tramite di appalti stipulati con Enti pubblici e privati in Veneto e in Friuli Venezia Giulia), nonché disattendendo i requisiti di proporzionalità che impongono, in tali frangenti, una riduzione degli emolumenti in proporzione “equa” tra tutti i lavoratori. Si è accertato, in merito, che il management aziendale risultava, per contro, elargire, in totale discrezionalità e senza esplicitare un criterio di attribuzione, ingenti somme (a titolo di premi ed incentivi) ad una ristretta aliquota di soci, arrivando ad “integrare” lo stipendio base (mediamente di 1.500 euro mensili) fino a 70.000 euro annui. Ancora, gli stipendi del personale (già così ridotti) erano ulteriormente oggetto di evasione contributiva e fiscale, facendone computare una parte ad “indennità per trasferte”, risultate, come dichiarato dagli stessi lavoratori, in parte o del tutto inesistenti. Sulla scorta delle evidenze investigative, la Procura della Repubblica di Pordenone ha richiesto ed ottenuto dall’ufficio del Giudice per le Indagini Preliminari l’emissione di un provvedimento di sequestro preventivo per un importo di 4.050.000 euro (pari alle imposte evase) eseguito su disponibilità liquide, unità immobiliari e beni mobili di valore (tra cui orologi di elevato pregio). Tra i sequestri operati anche una somma in contanti di oltre 50.000 euro (perlopiù in banconote da 500 euro) rinvenuta, nel corso di una perquisizione all’abitazione di un indagato, all’interno di una scarpiera posta nel suo garage. Le indagini sono ancora in corso per meglio ricostruire i flussi finanziari originati dalle attività criminose e la circostanza che la documentazione fiscale delle società utilizzate per l’emissione delle fatture per operazioni inesistenti risulta andata interamente distrutta a seguito di sopraggiunti furti ed incendi.
29 GENNAIO 2019
UDINE - Rifiuti: traffici illeciti, arresti e sequestri per oltre un milione di euro
Dalle prime ore di questa mattina i Carabinieri del NOE di Udine, a conclusione di una articolata e complessa attività d’indagine coordinata dalla Procura della Repubblica di Trieste – DDA, stanno dando esecuzione in Friuli Venezia Giulia, Lombardia, Veneto e Puglia, in collaborazione con i militari dei Gruppi Tutela Ambientale di Milano e di Napoli nonché con l’ausilio dell’Arma Territoriale competente, a n. 3 ordinanze di custodia cautelare. Allo stesso tempo è stato emesso a un decreto di sequestro sia dell’intero complesso aziendale sito nella provincia di Trieste sia degli automezzi utilizzati per la commissione di reati ambientali di proprietà della stessa ditta. Sono, inoltre, in esecuzione ulteriori decreti di perquisizione e sequestro a carico di altre 3 società (allo stato attuale non indagate), tutte operanti nel settore del trattamento rifiuti e site nelle province di Bari, Brescia e Venezia, nonché di n. 3 decreti di perquisizione personale e sequestro a carico di altri 3 indagati (residenti nella provincia di Trieste, Gorizia e Venezia). Colpiti dagli odierni provvedimenti cautelari, sono amministratori (reali e di fatto), nonché personale operativo ed amministrativo della società indagata (operante nel settore dei rifiuti), tutti partecipi attivamente all’attività illecita. I provvedimenti, emessi dal G.I.P. del Tribunale di Trieste su richiesta di quella Procura della Repubblica/D.D.A., concludono una intensa attività di indagine avviata nel mese di agosto 2016 dal N.O.E. CC di Udine. Le indagini svolte hanno permesso di individuare le responsabilità di una strutturata organizzazione criminale costituita da più soggetti che, nell’ambito della gestione dei rifiuti speciali, aggirava le normative di settore attraverso un modus operandi consistente nel “giro bolla”, producendo anche falsi documenti di trasporto e falsi F.I.R.. Il sodalizio criminoso, attraverso molteplici operazioni e l’allestimento di mezzi fraudolenti, effettuava lo smaltimento illecito di ingenti quantitativi di rifiuti speciali (costituiti principalmente da “contrappesi e valvole di pneumatici”). Si è appurato, in dettaglio, che la società oggetto d’indagine, raccoglieva (attraverso i suoi autisti e con i suoi mezzi – su tutto il territorio nazionale –) i suddetti rifiuti speciali, rilasciando agli interessati (per lo più gommisti) falsi formulari e destinando tali rifiuti direttamente ad impianti compiacenti siti in Lombardia, Veneto e Puglia, senza passare attraverso l’impianto sito in provincia di Trieste per il trattamento necessario, come invece la normativa di settore prevede. L’azienda, operando in tale maniera illecita, riusciva ad ottenere notevoli ricavi eliminando quasi del tutto quelle che sarebbero state le spese di gestione e trattamento del rifiuto, generando, quindi, un volume di affari illecito pari a vari milioni di euro (circa 2 milioni).
26 GIUGNO 2019
TRIESTE - OPERAZIONE DIA GDF
Il provvedimento emesso dal G.I.P. del Tribunale di Trieste è connesso agli sviluppi delle indagini che avevano già portato in carcere 7 persone, a dicembre 2018, appartenenti ad un clan camorristico attivo tra il Friuli e Veneto Orientale.
Questa mattinata la Direzione Investigativa Antimafia di Trieste ed il Nucleo di Polizia Economico Finanziaria Trieste della Guardia di Finanza hanno eseguito a Roma una misura di custodia cautelare in carcere a carico di Ovidiu BALI, rumeno 44 enne, residente nella capitale, accusato, con i 7 già in carcere dal 18 dicembre scorso, di aver commesso più estorsioni in Croazia, ma pianificate in Italia, in danno di imprenditori e professionisti, alcuni dei quali italiani operanti a Pola (Croazia).
Il Bali – dal fisico corpulento in quanto ex olimpico dei “pesi massimi“ all’Olimpiadi di Atlanta del ’96, pregiudicato, mestiere prevalente “buttafuori” - aveva il compito di intimidire con la sua minacciosa presenza fisica le vittime designate del gruppo criminale cui si vantava di appartenere, munito di delega a passare anche alle vie di fatto, ove necessario.
Controllato più volte con personaggi apicali della Famiglia SPADA di Ostia, Bali Ovidio, è stato identificato dagli investigatori che hanno poi mostrato le sue foto in visione alle vittime. Il “Boxeur”, è stato riconosciuto da ben sei persone. Il Bali ha avuto l’incarico di “convincere”, anche con plurime coercizioni fisiche, le vittime a rinunciare agli ingenti crediti da essi vantati nei confronti del GAIATTO, inducendole anche a cedere a quest’ ultimo beni mobili ed immobili senza alcun corrispettivo nonché a fare consistenti prestiti che poi avrebbero dovuto confluire sul conto di società del faccendiere di Portogruaro.
I delitti perpetrati con metodo mafioso erano diretti a favorire gli interessi del famigerato clan camorristico dei “casalesi”, come accertato dagli investigatori, coordinati dal Procuratore della Repubblica di Trieste Carlo Mastelloni e dal Sostituto Procuratore della D.D.A. Massimo De Bortoli.
Scandagliando gli ambienti della criminalità organizzata di stampo camorristico era emerso che Fabio GAIATTO, di Portogruaro (VE), attualmente in carcere, vestiti i panni abusivi di intermediario finanziario, aveva investito quasi 12 milioni di euro appartenenti però a gruppi criminali contigui ai casalesi, con la complicità e lo strumentale utilizzo di diverse società con sedi in Croazia, Slovenia, Gran Bretagna.
Le autorità croate, lo scorso anno dopo le denunce di un professionista ed accogliendo le istanze di vari creditori, avevano pignorato i conti correnti delle aziende istriane facenti capo al GAIATTO disponendone il blocco finanziario, impedendogli di restituire quanto investito dai boss. L’acuirsi del dissesto finanziario del GAIATTO e le pressanti esigenze dei sodali campani di rientrare in possesso delle ingenti somme, inducevano i medesimi a mettere in atto condotte estorsive nei confronti di numerosi professionisti, italiani e croati. In questo contesto emergeva il ruolo iperattivo di soggetti riconducibili ad organizzazioni camorristiche i quali, in primis, assumevano la tutela del GAIATTO garantendogli una sorta di protezione da eventuali attività ritorsive dei creditori, esasperati per il mancato rientro dei capitali investiti, assicurando al GAIATTO la loro costante presenza nella sua abitazione e/o accompagnandolo in occasione dei suoi spostamenti.
Queste condotte hanno portato agli arresti nel dicembre scorso di GAIATTO Fabio, IOZZINO Francesco Salvatore Paolo, CELENTANO Gennaro, CURTIELLO Mario, BORRIELLO Walter, CARDONE Luciano, ESPOSITO Domenico.
Numerosi gli episodi estorsivi emersi idonei ad evidenziare la determinazione a delinquere degli arrestati ma anche i consistenti interessi economici in gioco, pari a un giro di affari di decine di milioni di euro puntualmente ricostruito dagli uomini della DIA e della GDF di Trieste.
31 dicembre 2019
AMBIENTE: FRIULI, SEQUESTRATO DEPOSITO ABUSIVO RIFIUTI CHIMICI DA NOE
Udine, 30 dic. (Adnkronos) - - Sequestrato dai carabinieri del Noe (Nucleo Operativo Ecologico) di Udine un deposito abusivo di rifiuti chimici in provincia di Gorizia. Intervenuti su richiesta della Compagnia di Gorizia, che ha anche partecipato alle attività, i militari dell'Arma - coordinati dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale isontino - avrebbero accertato "violazioni" anche di natura "penale" da parte di "una società" in liquidazione "operante nel settore della componentistica elettronica di San Lorenzo Isontino (Gorizia)". L'ispezione, avvenuta con l'ausilio di personale dei vigili del Fuoco di Gorizia - squadra del nucleo Nbcr (Nucleare - Biologico - Chimico - Radiologico) e di personale dell'Arpa Fvg - Dipartimento di Gorizia, avrebbe portato al rinvenimento, all'interno di un'area di circa 2.000 metri quadri, di uno stoccaggio - senza, riferisce una nota del Comando carabinieri per la Tutela Ambientale di Udine - "le necessarie autorizzazioni" - di vario materiale, tra cui "rifiuti liquidi di natura chimica contenuti in 101 fusti da 200 litri, 43 cisterne da un metro cubo, 100 fusti da 50 litri e una vasca di circa 50 metri cubi". A seguito delle investigazioni, gli uomini del Noe di Udine hanno sottoposto a sequestro probatorio/preventivo l'area e i rifiuti rinvenuti per un valore complessivo di 500.000 euro e deferito in stato di libertà il liquidatore della società proprietaria dello stabilimento, chiuso dal 2012. Un'ordinanza urgente per il ripristino dello stato dei luoghi mediante l'avvio a smaltimento dei rifiuti pericolosi sequestrati è stata emessa dal sindaco del Comune interessato.
9 marzo 2020
Operazione Iron coin - Smascherata frode fiscale da oltre 40 milioni di euro
Comando Provinciale Pavia
Una maxi frode da oltre 40 Milioni di euro nel settore del commercio all’ingrosso di metalli ferrosi è stata scoperta dalle fiamme gialle pavesi. L’operazione“ IRON COIN”, coordinata dal Procuratore Aggiunto Mario Venditti e dal Sostituto Procuratore della Repubblica Valeria Biscottini, è scattata alle prime luci dell’alba di quest’oggi e ha disarticolato un’associazione a delinquere transnazionale capeggiata da due imprenditori italo-svizzeri.
In tutto sono sette le ordinanze eseguite quest’oggi. In carcere sono finiti i promotori della frode: due fratelli incensurati D.P e D.A. unitamente a F.C., ex direttore dell’ufficio postale 2 di Vigevano. Mentre ai domiciliari sono finiti i due figli dell’ex direttore e un’altra persona coinvolta nella maxi frode. Peculato, frode fiscale, uso indebito di carte di credito sono alcuni dei reati contestati, a vario titolo, ai membri dell’associazione a delinquere.
Le indagini sono state originate dall’approfondimento di operazioni sospette effettuate principalmente dall’ufficio postale vigevanese di cui il F.C. era direttore. Transazioni bancarie a sei zeri che non sono passate inosservate e che hanno spinto le Fiamme Gialle pavesi a scavare nei conti del direttore e dei suoi familiari.
È stato così scoperto un vortice di fatture false e bonifici in transito sui conti correnti di svariate società, tutte scatole vuote, aventi sede in Lombardia, Piemonte e Friuli Venezia-Giulia che celavano l’attività fraudolenta dei due fratelli italo-svizzeri, oggi arrestati, amministratori di una società anonima elvetica e veri dominus di una serie di società italiane ed estere - con sedi in Svizzera, Slovenia e Croazia -, operanti nel settore della lavorazione dei metalli ferrosi.
Scopo del milionario giro di fatture false era frodare l’IVA, che di fatto non veniva versata nelle casse dello Stato. I conti correnti, inoltre, erano collegati a decine di carte prepagate intestate a ignari clienti dell’ufficio postale a cui era stata rubata l’identità approfittando della momentanea disponibilità dei loro documenti acquisiti durante le operazioni di sportello.
L’operazione odierna conferma il costante impegno della Guardia di Finanza a tutela della legalità del libero mercato e della lecita concorrenza tramite il monitoraggio dei flussi finanziari e il controllo dei circuiti di pagamento.
15 aprile 2020
Droga: smantellata banda, 14 arresti tra Fvg e Veneto
(ANSA) - PORDENONE, 15 APR - I carabinieri del comando provinciale di Pordenone hanno smantellato una banda formata da pregiudicati italiani e albanesi dediti a traffico, detenzione e spaccio di droga tra Pordenone e Venezia. Dopo aver arrestato sei persone e averne denunciate altre dieci in stato di libertà, dall'alba di oggi è in corso un'operazione che si concluderà con l'esecuzione di ordinanze di custodie cautelari per l'arresto di altre otto persone. All'operazione partecipano 50 carabinieri tra Friuli Venezia Giulia e Veneto. Degli ultimi arrestati, due sono stati portati in carcere, gli altri sei hanno ottenuto gli arresti domiciliari. Altri provvedimenti vengono eseguiti nei confronti di tre persone - alle quali è stato imposto l'obbligo di dimora - e di altre due, che hanno l'obbligo di presentarsi alla polizia giudiziaria. Il blitz di oggi conclude un'articolata indagine del Nucleo investigativo, avviata nell'aprile di due anni fa e coordinata dalla procura di Pordenone. Nel corso delle indagini sono state anche sequestrate varie quantità di droga, in particolare cocaina e marijuana. I dettagli dell'operazione verranno resi noti alle 11 in una conferenza stampa convocata al comando provinciale carabinieri di Pordenone. (ANSA).
8 luglio 2020
Frode per oltre 433 milioni di euro nella commercializzazione di prodotti petroliferi
Comando Provinciale Padova
Da stamani, oltre 100 militari del Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria di Padova e di altri Reparti del Guardia di Finanza, su disposizione della Procura della Repubblica di Padova, stanno dando esecuzione a 20 perquisizioni personali e locali nelle province di Padova, Milano, Lodi, Verona, Roma, Terni, Napoli e Caserta, nonché alla notifica di un provvedimento di custodia cautelare emesso nei confronti di 4 individui a capo di una associazione per delinquere dedita alle frodi fiscali nel campo della commercializzazione di carburante per autotrazione.
Nel mirino delle Fiamme Gialle sono finiti due imprenditori padovani operanti nel veronese e due soggetti attivi nell’hinterland di Napoli, nonché altri 12 soggetti a vario titolo coinvolti nella frode.
Attraverso la gestione di 13 imprese “filtro” e “cartiere” sparse in vari stati dell’Unione Europea e in Italia, formalmente intestate a “prestanome”, l’organizzazione in tre anni ha complessivamente venduto, a circa un centinaio di clienti nazionali (tra depositi commerciali e impianti stradali di distribuzione carburanti), 410 milioni di litri di carburante in frode all’IVA; frode per la quale il G.I.P. del Tribunale di Padova ha emesso anche un provvedimento di sequestro di beni mobili e immobili fino a concorrenza 95.448.973,96 euro. Infatti, sfruttando il determinante apporto dei due soggetti padovani titolari di un deposito “destinatario registrato” sito a Cologna Veneta (VR), il carburante proveniente dalla Slovenia veniva poi venduto, tramite numerosi passaggi cartolari di fatture soggettivamente inesistenti, a centinaia di clienti (depositi commerciali e pompe di benzina) ubicati principalmente in Lombardia, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Emilia Romagna, Toscana, Umbria, Lazio, Abruzzo e Campania.
Sempre dalla mattina sono in corso le operazioni di sequestro preventivo di decine di autobotti cariche di carburante e di un deposito di prodotti petroliferi in provincia di Verona, oltre a immobili e disponibilità su rapporti bancari fino alla concorrenza di 95 milioni di euro.
L’operazione di servizio risponde ai prioritari indirizzi operativi strategici assegnati al Corpo nel contrasto alle frodi fiscali realizzate nel settore della distribuzione dei carburanti, i quali attribuiscono particolare rilevanza investigativa alle att ività dei depositi fiscali e dei destinatari registrati che estraggono prodotti senza il preventivo versamento dell’IVA avvalendosi di false “dichiarazioni d’intento”.
Lo sforzo operativo nel particolare settore d’intervento è finalizzato a disarticolare l a filiera distributiva del carburante illecitamente introdotto sul territorio nazionale, ristabilendo il corretto funzionamento dello specifico mercato a tutela degli operatori onesti, che – diversamente – ne verrebbero estromessi perché non in grado di confrontarsi con i prezzi illecitamente competitivi determinati dal vantaggio fiscale della frode all’IVA.
1 agosto 2020
Operazione Europol - Sequestrati 40 mila litri di carburante per autotrazione
Comando Provinciale Trieste
40 mila litri di carburante per autotrazione, due autobotti e un deposito clandestino ubicato in provincia di Roma: è questo il bilancio dell’ultimo sequestro operato dai Finanzieri del Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria di Trieste e del 3° Nucleo Operativo Metropolitano di Roma nell’ambito di un’ampia operazione coordinata da Europol e conclusasi con il fermo e l’identificazione di due responsabili colti in flagranza di reato.
In particolare, le Fiamme Gialle di Trieste hanno fermato nei pressi del valico di Fernetti un TIR con targa austriaca proveniente dalla Slovenia che dichiarava di trasportare prodotti solventi non soggetti ad accisa.
Immediatamente scattava un “ALERT” e si decideva di far proseguire il mezzo per pedinarlo a distanza e scoprire così la sua reale destinazione. Dopo aver imboccato l’autostrada a Venezia in direzione Bologna, il TIR proseguiva sull’A1 ed usciva al casello di Roma Nord, per poi recarsi nel comune di Capena (RM) dove entrava in un capannone privo di insegne.
A quel punto, i finanzieri del Nucleo di Trieste decidevano di irrompere all’interno del capannone e con l’ausilio dei colleghi del 3° Nucleo Operativo Metropolitano di Roma, prontamente attivati ed intervenuti sul luogo delle operazioni, procedevano al fermo dell’autista del mezzo (di nazionalità slovena) e di un suo complice romano che lo attendeva all’interno del deposito clandestino per le operazioni di trasbordo del prodotto, rivelatosi essere in parte gasolio ed in parte benzina.
Il settore della distribuzione dei carburanti è un comparto fondamentale e strategico per l’economia nazionale, con un valore che si aggira sui 45 miliardi di euro all’anno di fatturato complessivo e che occupa circa 80 mila lavoratori fra titolari, collaboratori e dipendenti, con oltre 22.000 impianti nella rete ordinaria e circa 450 aree di servizio autostradali.
Le ultime stime sul fenomeno del contrabbando di carburanti per autotrazione dicono che dal 10 al 20% del prodotto movimentato in Italia corra ormai sul mercato illegale e parallelo, sottraendo all’Erario 6 miliardi, in buona parte attraverso frodi all’IVA. Il giro d’affari è vorticoso e le organizzazioni che si sono inserite mettono in grave difficoltà gli operatori onesti, anche con minacce dirette, e spesso riescono a rilevare l’intera filiera, dal deposito alla pompa, per rendere più difficili i controlli.
Il contrabbando di carburanti, cui si accompagnano a valle le frodi carosello in materia di IVA, si è progressivamente esteso negli ultimi anni in diverse regioni europee e non poteva non coinvolgere anche il Friuli Venezia Giulia quale naturale “porta dell’Est Europa” per i prodotti diretti nel territorio nazionale, dove tali traffici illeciti sono quasi sempre gestiti da prestanome o altre figure legate ad ambienti criminali di stampo mafioso fortemente interessati dagli elevati margini di guadagno che tale business può procacciare.
È proprio in questo scenario criminoso di portata transnazionale che si inserisce l'azione di contrasto della Guardia di Finanza che, anche grazie al coordinamento di Europol e tramite il Comando Generale del Corpo, può operare mettendo in diretto collegamento le Fiamme Gialle di Trieste con le omologhe istituzioni degli altri paesi U.E. coinvolti da tali traffici illeciti.
27 novembre 2020
Contrasto ai roghi di rifiuti
Comando Carabinieri per la Tutela Ambientale - Milano, 27/11/2020 09:26
I Carabinieri del NOE di Milano, collaborati dal Comando Provinciale CC di Milano, hanno dato esecuzione ad un’ordinanza di misura cautelare nei confronti di un soggetto ritenuto responsabile, a vario titolo, di “attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti”, “gestione di rifiuti non autorizzata” e “realizzazione di discariche abusive, queste ultime ubicate in Piemonte, Lombardia, Veneto e Friuli Venezia Giulia.
L’operazione – nel corso della quale sono stati sottoposti a sequestro ulteriori due aziende unitamente al capitale sociale ammontante a circa 200.000,00 euro, provento dell’illecito profitto - si inserisce nell’ambito delle attività svolte lo scorso 20 ottobre 2020 con l’arresto di 15 indagati, il sequestro di 7 aziende operanti nel campo del trattamento dei rifiuti e di 9 capannoni industriali (in Piemonte, Lombardia, Veneto e Friuli Venezia Giulia), unitamente a vari automezzi – anche appartenenti a società di trasporto - utilizzati nelle attività criminali, per un importo complessivo di circa 6.000.000 di euro.
Le attività investigative, condotte dal Nucleo Operativo Ecologico Carabinieri di Milano e coordinate dalla DDA di Milano, hanno consentito di individuare l’esistenza di un gruppo criminale operante nel campo del trattamento e trasporto dei rifiuti, dedito alla gestione e smaltimento illecito di ingenti quantitativi di rifiuti - costituiti da rifiuti indifferenziati urbani, da produzioni industriali e artigianali nonché da rifiuti da apparecchiature elettriche ed elettroniche (RAEE) stimati, nel complesso, in oltre 24.000 tonnellate - provenienti prevalentemente, su diversi canali, da varie regioni del Nord Italia, attraverso lo stoccaggio ed il successivo abbandono in capannoni industriali dismessi, dando luogo, in tal modo, alla creazione di numerose discariche abusive, localizzate e sequestrate nei comuni di Milano, Lissone (MB), Origgio (VA), Lurate Caccivio (CO), Verona San Massimo, Pregnana Milanese (MI), Romentino (NO), Castellazzo Bormida (AL) e Mossa (GO).
Le indagini hanno disvelato come il soggetto oggi tratto in arresto – nello specifico, trattasi di una donna di 48 anni - abbia messo a disposizione dei propri sodali un impianto per il trattamento dei rifiuti sito in provincia di Varese e le autorizzazioni ad esso riferite per lo svolgimento delle attività di traffico illecito di rifiuti, contribuendo materialmente alla falsificazione ed alla tenuta della relativa documentazione ricevendone in cambio un illecito corrispettivo quantificato in circa 200.000,00 euro e trasformando di fatto l’impianto stesso in una discarica abusiva. Ulteriori accertamenti hanno messo in luce come l’arrestata fosse a capo non solo dell’azienda di trattamento rifiuti ma anche di un’altra società proprietaria del terreno su cui insiste il compendio aziendale, il tutto sottoposto a sequestro per un valore quantificato in 1.000.000,00 di euro.
14 dicembre 2020
Operazione Pay back
Comando Provinciale Padova
Alle prime ore dell’alba della giornata odierna, a coronamento di una complessa attività d’indagine durata due anni, che ha visto il contributo del Nucleo Speciale Spesa Pubblica e Repressione Frodi Comunitarie di Roma, i Finanzieri del Comando Provinciale di Padova hanno dato avvio a una vasta operazione, che interessa tutto il territorio nazionale, al fine di porre fine a sistematiche frodi perpetrate, in concorso, da 35 soggetti, consistenti in reati tributari e truffe ai danni dello Stato e di altri Enti Pubblici tramite indebite compensazioni per un ammontare complessivo di oltre 7,3 milioni di euro.
Sono in corso più di 60 perquisizioni in Veneto, Lombardia, Friuli Venezia Giulia, Emilia Romagna, Trentino Alto Adige, Lazio, Puglia e Calabria, disposte dalla Procura della Repubblica di Padova, che vedono l’impiego di oltre 150 militari delle Fiamme Gialle. Su disposizione del G.I.P. presso il locale Tribunale, i militari della Compagnia di Padova hanno eseguito, altresì, un’ordinanza di custodia cautelare che dispone gli arresti domiciliari nei confronti dei due principali indagati, nonché un decreto di sequestro preventivo di beni per un valore complessivo di 3,7 milioni di euro circa, equivalente ai profitti illeciti di cui i sodali sono già entrati in possesso.
Alle persone coinvolte, dimoranti in Italia e all’estero, vengono contestate, a vario titolo, ipotesi di reato contro il patrimonio e tributarie (truffa ai danni dello Stato, dichiarazione fraudolenta mediante l’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti ed emissione di fatture per operazioni della stessa specie, indebite compensazioni e riciclaggio).
A capo della compagine criminale si collocano un ex consulente fiscale ed un programmatore informatico veneti, entrambi destinatari di misure restrittive della libertà personale.
I due professionisti, ideatori e principali beneficiari dei sistemi di frode perpetrati, si sono avvalsi di una serie di fidati collaboratori, tra cui l’anziana zia e la compagna di vita di uno e la sorella dell’altro, per individuare aziende in difficoltà e/o crearne nuove (prive di strutture, dipendenti e mezzi, nonché inadempienti nei confronti del fisco), con il solo scopo di utilizzarle per sottrarre risorse finanziarie alle casse dell’erario.
Oltre alla stretta cerchia familiare, sono stati reclutati vari prestanome e soggetti compiacenti su tutto il territorio nazionale ed anche all’estero, tanto che ben 4 rappresentanti legali di altrettante società agli stessi riconducili sono cittadini croati, venuti in Italia un’unica volta per costituire società gestite, di fatto, dai due principali indagati.
Le specifiche competenze dei due soggetti, maturate in anni di esercizio della professione, hanno permesso loro di architettare diversi sistemi di frode.
Il primo meccanismo consisteva nella predisposizione di una serie di modelli F24, deleghe per il pagamento di debiti fiscali, previdenziali e assistenziali, rivelatisi inesistenti, utilizzando crediti della stessa natura parimenti inesistenti, di cui gli indagati richiedevano il rimborso a Camere di Commercio, Enti locali o Enti bilaterali, adducendo di aver effettuato il pagamento per errore, al fine di “monetizzare” i predetti falsi crediti tributari e contributivi. Gli Enti bilaterali sono costituiti a iniziativa di una o più associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro per la programmazione di attività formative, la gestione mutualistica di fondi per la formazione e l'integrazione del reddito ovvero ogni altra attività o funzione assegnata loro dalla legge o dai contratti collettivi di riferimento. Tali organismi, destinatari di contributi versati sulla base di accordi contrattuali, non potendo verificare la legittimità delle richieste di rimborso presentate dai prestanome dei due professionisti, predisponevano, in buona fede, bonifici per svariate decine di migliaia di euro in favore delle società di volta in volta utilizzate. Se i rimborsi tardavano ad arrivare, i soggetti implicati non avevano remore nel chiamare e/o scrivere all’Ente interessato, minacciando azioni legali tese a sollecitare il pagamento delle somme indebitamente richieste.
Un ulteriore meccanismo accertato rientrava pienamente nella fattispecie delle indebite compensazioni di crediti erariali fittizi con imposte realmente dovute.
Una terza modalità fraudolenta si manifestava con la creazione di falsi crediti Iva in dichiarazione tramite l’utilizzo di fatture per operazioni oggettivamente inesistenti, cui seguiva l’indebita istanza di rimborso all’ufficio finanziario competente.
L’ex commercialista, inoltre, conoscendo approfonditamente i criteri e le modalità di controllo adottati dell’Agenzia delle Entrate, ha reclutato diversi soggetti compiacenti, che si sono prestati a presentare, sotto la sua regia, molteplici modelli 730, artatamente predisposti, per richiedere rimborsi di crediti inesistenti di poco inferiori all’importo di 4.000 euro, soglia fissata per i controlli da parte degli uffici finanziari, riuscendo, in questo modo, a sottrarre diverse centinaia di migliaia di euro all’erario.
Al fine di allontanare l’attenzione dalla propria persona per continuare a perpetrare indisturbato frodi in danno dello Stato, il citato consulente fiscale ha anche richiesto la cancellazione dall’albo dell’Ordine dei Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili di Padova.
Gli indagati, una volta “monetizzato il tesoretto”, lo destinavano su svariati conti correnti, per poi prelevare il denaro in contanti o inviarlo all’estero, in particolare su conti croati.
I proventi illeciti usciti dai confini nazionali rientravano in Italia attraverso una serie di trasferimenti volti a ostacolarne l’identificazione della provenienza illecita, transitando su conti correnti di società gestite da soggetti compiacenti.
Parte dei profitti illeciti sono stati reinvestiti anche in Italia tramite l’intestazione formale dei beni a prestanome.
Gli accertamenti patrimoniali e l’analisi dei flussi finanziari delle Fiamme Gialle di Padova hanno permesso di individuare beni immobili (unità abitative e pertinenze ubicate nelle province di Padova e Venezia), riconducibili ai soggetti promotori delle attività delittuose, per un valore stimato di oltre 1 milione di euro, nonché oltre 80 conti correnti bancari gestiti dai due professionisti direttamente o tramite prestanome, da sottoporre a misure ablative.
Ad oggi, i sistemi fraudolenti utilizzati dagli indagati hanno consentito loro di appropriarsi di 3,7 milioni di euro circa, cui si aggiungono ulteriori, analoghi tentativi di truffa per un importo di 3,6 milioni di euro, che non si sono concretizzati per l’intervento repressivo odierno.
Non di secondaria importanza è l’iniziativa assunta dagli indagati di presentare istanze per accedere ai contributi a fondo perduto, stanziati inizialmente con il Decreto Rilancio per sostenere l’economia, avvalendosi delle citate imprese “fantasma”, costituite non solo con il fine di frodare il fisco, ma anche di beneficiare di indebite sovvenzioni pubbliche, a discapito di contribuenti realmente in difficoltà.
L’attività di servizio in rassegna si inserisce nel più ampio novero dei compiti istituzionali assolti dalla Guardia di Finanza, quale forza di polizia posta a presidio della sicurezza economico-finanziaria del Paese, orientata, in tale contesto, alla tutela della finanza pubblica attraverso il recupero di ingenti risorse finanziarie, soprattutto in questo momento storico fortemente caratterizzato dall’impatto negativo della pandemia sull’attività economica.
9 marzo 2021
Cosa nostra e gli orologi di lusso
Nella mattinata odierna, il Nucleo Speciale di Polizia Valutaria della Guardia di Finanza, ha dato esecuzione a un’ordinanza di custodia cautelare e sequestro preventivo, emessa dal G.I.P. presso il Tribunale di Palermo, su richiesta della Direzione Distrettuale Antimafia - Sezione territoriale di Palermo, coordinata dal Procuratore Aggiunto Salvatore De Luca.
Le complesse investigazioni costituiscono la prosecuzione dell’operazione “MANI IN PASTA” (maggio 2020) nel cui ambito il Nucleo Speciale Polizia Valutaria aveva inferto un duro colpo al clan FONTANA, eseguendo in tutta Italia 90 misure cautelari personali nei confronti di altrettanti soggetti a vario titolo indagati per associazione a delinquere di stampo mafioso, estorsione, traffico di sostanze stupefacenti, trasferimento fraudolento di valori, riciclaggio, reimpiego di capitali illeciti, esercizio abusivo di giochi e scommesse ed altri reati contro la persona e il patrimonio.
Le odierne misure sono state eseguite nei confronti di 15 soggetti di cui uno destinatario di custodia cautelare in carcere, 11 sottoposti agli arresti domiciliari e 3 destinatari del divieto di espatrio e dell’obbligo di presentazione alla p.g..
Tali misure cautelari costituiscono l’esito di complesse attività d’indagine condotte dal Nucleo Speciale di Polizia Valutaria della Guardia di Finanza, che hanno consentito di accertare gravi elementi a carico degli attuali indagati, alcuni dei quali della famiglia FONTANA - storicamente egemone nei quartieri palermitani dell’Acquasanta e dell’Arenella del mandamento mafioso di Resuttana – in parte stabilita da anni a Milano; gravi elementi riguardanti il reimpiego di ingenti risorse finanziarie (provenienti dai reati commessi nel territorio palermitano) nel lucroso business del commercio “in nero” degli orologi di lusso, destinati a facoltosi clienti, ponendo in essere artificiose operazioni finanziarie anche con l’estero, grazie a una fitta rete di relazioni d’affari con numerosi soggetti, tra cui stimati operatori del settore compiacenti (esercizi di “compro-oro” e gioiellerie ubicati su Londra, Milano, Roma e Palermo).
Agli indagati vengono contestati, a vario titolo, i reati di favoreggiamento personale, riciclaggio, autoriciclaggio, con l’aggravante del reato transnazionale, nonché quella di aver favorito il perseguimento degli scopi illeciti di “Cosa Nostra”.
E’ stato effettuato, altresì, il sequestro del patrimonio e del complesso aziendale di 1 gioielleria di Milano e 1 compro-oro di Palermo nonché dei saldi attivi di rapporti finanziari fino a concorrenza di 2,6 milioni di euro.
Le operazioni sono in corso in Sicilia, Lombardia, Piemonte, Toscana e Friuli Venezia Giulia, con il supporto dei Nuclei PEF di Milano, Torino, Palermo, Pordenone e Grosseto.
16 aprile 2021
Operazione internazionale contro la “mafia imprenditrice”
Nell’ambito di articolate attività di indagine coordinate dalla Procura della Repubblica - Direzione Distrettuale Antimafia, i Finanzieri del Comando Provinciale della Guardia di finanza di Catania, con la collaborazione e il supporto dello SCICO (Servizio Centrale Investigazione Criminalità Organizzata), hanno dato esecuzione in sei regioni (Sicilia, Lombardia, Veneto, Lazio, Piemonte e Friuli Venezia Giulia) e 7 provincie (Catania, Roma, Milano, Novara, Udine, Varese e Verona), oltre che in Bulgaria, a due provvedimenti di sequestro patrimoniale in materia antimafia (uno emesso dal GIP presso il Tribunale di Catania e l’altro, d’urgenza, da questo Ufficio) relativi a quote societarie e compendi aziendali riconducibili a imprenditori legati al clan SCALISI, articolazione territoriale della famiglia mafiosa LAUDANI.
Nel dettaglio, l’attività d’indagine ha tratto origine dalle minuziose attività di perquisizione svolte dal Nucleo PEF della Guardia di finanza di Catania lo scorso 10 febbraio, che, tra l’altro, avevano portato al sequestro di oltre 1 milione e 900 mila euro in contanti. La conseguente disamina della copiosa documentazione bancaria ed extracontabile acquisita in sede del primo intervento ha consentito di accertare la riconducibilità, in capo a due imprenditori catanesi - tratti in arresto per concorso esterno in associazione mafiosa (contestazione accusatoria confermata dal Tribunale di Catania, in sede di riesame) - di ulteriori società, aventi sede a Catania, nel nord Italia e anche in territorio estero, operanti nel settore dei trasporti e della commercializzazione dei prodotti petroliferi.
Le ulteriori indagini patrimoniali, condotte dalle unità specializzate del GICO del Nucleo PEF Catania con il prezioso ausilio dello SCICO, hanno così reso possibile la completa ricostruzione degli investimenti degli illeciti proventi del boss storico del clan SCALISI - locale articolazione su Adrano della famiglia mafiosa LAUDANI - attualmente sottoposto al regime detentivo dell’articolo 41-bis o.p., in società gestite da due imprenditori catanesi. Questi ultimi, a loro volta, utilizzavano diversi prestanome per la costituzione di numerose società, operanti sull’intero territorio nazionale.
In esito alla complessa e articolata attività di indagine del Nucleo PEF della Guardia di finanza di Catania e dello SCICO, il Giudice per le indagini preliminari presso il locale Tribunale, su proposta di questo Ufficio, ha pertanto: - disposto il sequestro preventivo nei confronti di 4 società e dei relativi compendi aziendali e disponibilità finanziarie, - convalidato il sequestro d’urgenza nei confronti di ulteriori 3 società e relativi compendi aziendali, per un valore stimato di 12 milioni di euro. Si evidenzia inoltre che, per il tramite di EUROJUST, le attività si sono estese anche in territorio bulgaro, in relazione al sequestro delle quote e delle disponibilità della società di diritto bulgaro, parimenti riconducibile ai due imprenditori catanesi.
19 aprile 2021
Operazione "METAL GHOST" - Maxi frode fiscale internazionale - Sequestri patrimoniali per 36 milioni di euro
L’indagine è partita da Piombino (LI), con la scoperta di società “cartiere” che hanno emesso fatture false milionarie, poi circolate tra Milano e Napoli, con il coinvolgimento di aziende estere.
Fatture false per complessivi 760 milioni di euro, che hanno interessato 62 imprese, in un giro che era gestito da un sodalizio criminale campano.
La Guardia di Finanza di Livorno ha dato esecuzione a un decreto di sequestro preventivo emesso dal Giudice per le Indagini Preliminari di Napoli, su richiesta della Procura della Repubblica del capoluogo campano, finalizzato alla confisca diretta e per equivalente di liquidità e altri beni nella disponibilità di 4 indagati, per un valore complessivo pari a oltre 36.000.000 di euro di imposte evase. All’esecuzione dei sequestri patrimoniali, nel corso della mattinata odierna, stanno collaborando anche Reparti della Guardia di Finanza di Napoli e di Milano.
È l’esito dell’Operazione “Metal Ghost”, che ha consentito nella mattinata odierna di sequestrare conti correnti, partecipazioni societarie, immobili e automezzi nei confronti dei responsabili di una maxi-frode fiscale nel settore del commercio all’ingrosso di minerali metalliferi e metalli ferrosi.
Le indagini, condotte dalla Compagnia della Guardia di Finanza di Piombino, di concerto con il Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria (P.E.F.) di Livorno e dirette dalla Procura della Repubblica di Napoli, dopo la trasmissione del fascicolo ad opera dell’A.G. labronica, hanno fatto emergere l’esistenza di un sodalizio criminale campano principalmente operante su Napoli, Livorno e Milano, che aveva ideato e messo in opera un complesso sistema fraudolento, ora smantellato, finalizzato alla commissione di frodi fiscali transnazionali.
Gli indagati, reiteratamente nel corso degli anni, hanno realizzato un enorme giro di fatture false, del valore medio di circa 1 milione cadauna, relative a operazioni di vendita, acquisto e trasporto “via gomma” ovvero “via mare” di metalli del tutto inesistenti per un importo complessivo di oltre 760 milioni di euro, evadendo l’Imposta sul Valore Aggiunto per 33 milioni di euro nonché l’IRES per 3 milioni di euro. Per realizzare queste frodi il consorzio criminale si è avvalso di 62 società, di cui 48 italiane e 14 estere, senza disporre di magazzini né di strutture logistiche proprie ricollegabili a traffici con miniere. È stato calcolato che, in base alle fatture, gli indagati avrebbero dovuto movimentare oltre 23.000 tonnellate di minerali, una mole di scambi inverosimile per tipologie di prodotti così rare.
In particolare, secondo quanto ricostruito, sul territorio dell’Unione europea era stato costituito un gruppo di imprese “fantasma” che fat (ferro-molibdeno e triossido di molibdeno, utili a indurire e prevenire la corrosione dell’acciaio), a supporto dei quali tuttavia gli investigatori non hanno trovato idonea documentazione né adeguate movimentazioni finanziarie. Una di queste “imprese fantasma”, milanese, era stata costituita a seguito del furto di identità di un ignaro cittadino di Formia (LT).
I finanzieri di Livorno hanno scoperto la frode:
- partendo dalla verifica delle operazioni commerciali di due delle aziende appartenenti al cosiddetto “carosello”, che avevano il ruolo di “cartiere”, con sede nella provincia di Livorno (una srl a Campiglia Marittima e una ditta individuale San Vincenzo);
- tracciando le fatture per operazioni inesistenti, verso imprese sia estere sia nazionali, utilizzate quali “letter box company” (letteralmente, società inesistenti delle quali è possibile trovare solo la cassetta della posta);
- scoprendo via via sempre nuove società appartenenti al “carosello”, le quali portavano avanti il vorticoso giro di fatture false. Con ciò, gli imprenditori coinvolti consentivano alla cosiddetta s.p.a. capofila del carosello, avente sede legale a Napoli e sede operativa a Milano, di:
- creare crediti Iva da utilizzare in compensazione nelle liquidazioni Iva;
- costituire un plafond Iva annuale da spendere in dogana ovvero presso fornitori nazionali per effettuare acquisti senza l’applicazione dell’Iva;
- legittimare la commercializzazione di metalli di dubbia provenienza, rivendendoli a prezzo di costo grazie al plafond fittizio.
I principali attori del consorzio criminale sono quattro uomini di origini partenopee, due dei quali soggetti A.I.R.E. rispettivamente di 49 e 58 anni residenti in Svizzera, incaricati della gestione occulta della società capofila, un commercialista di 57 anni residente in Lacco Ameno (NA) che curava gli aspetti tecnici e amministrativi e un “esperto del settore” di 66 anni, residente a Basiglio (MI), operante quale imprenditore “palese” nei rapporti con i terzi.
La condotta criminale ipotizzata dalla Procura della Repubblica di Napoli e confermata dal Gip è l’associazione per delinquere finalizzata alla commissione di reati fiscali, tra cui l’emissione e l’utilizzo di fatture false, l’indebita compensazione di crediti d’imposta inesistenti e l’occultamento delle scritture contabili. Contestata anche la responsabilità amministrativa per il reato associativo commesso dagli amministratori della società capofila del “carosello”.
L’imposta netta complessivamente evasa, quantificata dalla Guardia di Finanza di Livorno, ammonta a 36 milioni di euro, importo che è stato indicato dal Gip di Napoli quale profitto del reato e quindi oggetto del sequestro preventivo odierno, finalizzato alla confisca diretta e per equivalente che le Fiamme Gialle stanno eseguendo in queste ore.
Parallelamente, in relazione alle imposte evase, l’Agenzia delle entrate di Napoli ha emesso i pertinenti avvisi di accertamento e ha rigettato i ricorsi avanzati dagli indagati.
Le 62 società interessate dalle indagini hanno sede nei seguenti luoghi:
Italia: Napoli (4 società), Cercola (NA), Ercolano (NA), Pozzuoli (NA), Afragola (NA) (2 società), Casoria (NA), Milano (6 società), Agrate Brianza (MB), Cernusco sul Naviglio (MI), Zibido San Giacomo (MI) (2 società), Bergamo, Brescia (2 società), Roncadelle (BS), Paitone (BS), Torbole Casaglia (BS), Rodengo Saiano (BS), Valmadrera (LC), Castiglione Olona (VA), Cassina Rizzardi (CO), Selvazzano Dentro (PD), Torri Di Quartesolo (VI), Sarcedo (VI), Fara Vicentino (VI), Udine, Massa (MS) (2 società), Carrara (MS), San Vincenzo (LI), Campiglia Marittima (LI), Rovereto (TN), Genova, Assisi (PG), Roma (2 società), Mosciano Sant'Angelo (TE), Tortoreto (TE), Carapelle (FG).
Regioni italiane interessate: Lombardia (20 società), Trentino Alto Adige (1 società), Veneto (4 società), Friuli Venezia Giulia (1 società), Liguria (1 società), Toscana (5 società), Marche (2 società), Umbria (1 società), Lazio (2 società), Campania (10 società), Puglia (1 società).
Estero: Gran Bretagna, Svizzera (2 società), Repubblica Ceca, Croazia, Romania (3 società), Ungheria, Polonia, Bulgaria (4 società). Fatturavano fittiziamente colossali traffici di materiali siderurgici.
15 settembre 2021
ARRESTI PER ESTORSIONE AGGRAVATA DAL METODO MAFIOSO NEL VENETO ORIENTALE E FRIULI V.G.
Dalle prime luci dell’alba, la Direzione Investigativa Antimafia ed il Nucleo di Polizia Economico Finanziaria di Trieste, in esito ad indagini di polizia giudiziaria co-delegate, coordinate dal Procuratore della Repubblica Antonio DE NICOLO e dal Sostituto Procuratore Massimo DE BORTOLI della locale D.D.A., hanno dato esecuzione ad Ordinanza di applicazione della misura cautelare della custodia in carcere nei confronti di nove soggetti.
L’operazione è inserita in un più ampio contesto di contrasto alle infiltrazioni della criminalità organizzata nel territorio friulano.
Alcune soggetti colpiti dai provvedimenti restrittivi, già in passato contigui ad un sodalizio criminale camorrista, attivo in Friuli Venezia Giulia e Veneto orientale, vengono ritenute responsabili, a vario titolo, di estorsione aggravata dal metodo mafioso, per avere costretto – con reiterate condotte intimidatorie – numerosi commercianti ambulanti friulani e veneti a non esercitare la propria attività imprenditoriale.
In particolare tali manifestazioni intimidatorie erano orientate ad impedire il regolare svolgimento, a Bibione (VE), della nota manifestazione fieristica estiva denominata “I Giovedì del Lido del Sole” la quale notoriamente promuove l’artigianato e le aziende agricole locali.
Lo scopo sarebbe stato quello di conseguire il diretto controllo delle predette attività economiche e condizionare così il libero mercato e lo sviluppo economico e sociale della rinomata località turistica.
Particolarmente significativi sono alcuni accadimenti emersi nel corso delle attività investigative. Si è infatti accertato che anche in occasione di altre manifestazioni fieristiche ugualmente promosse sul litorale friulano – veneto, siano state organizzate dal citato sodalizio vere e proprie spedizioni punitive, effettuate con l’ausilio di armi al seguito, nei confronti di coloro che avevano tentato di opporsi alla sudditanza imposta dal vertice del medesimo gruppo criminale.
Uno dei principali soggetti indagati, mediante il costante ricorso ad attività di cessioni “in nero” di merci contraffatte, nonché l’utilizzo e l’emissione di false fatturazioni, ha accumulato a partire dall’anno 2016 un ingente patrimonio illecito, in parte depositato su conti correnti allocati all’estero; peraltro, nel corso delle attività di polizia giudiziaria a carico del medesimo veniva rinvenuta e sequestrata presso la propria abitazione la somma equivalente di euro 100.000 in corone della Repubblica Ceca.
Il complesso dispositivo attuato ha visto impiegato il personale appartenente ai Reparti territoriali della Polizia di Stato, dell’Arma dei Carabinieri e della Guardia di Finanza, delle provincie di Venezia, Udine e Pordenone, nonché i militari dell’8° Reggimento Genio Guastatori di Legnago oltre ad unità cinofile addestrate al rinvenimento di denaro contante (cd. “cash dog” della Guardia di Finanza).
L’operazione, tuttora in corso, con l’esecuzione di decine di perquisizioni presso i luoghi nella disponibilità delle persone indagate, ha permesso altresì di sequestrare una pistola con matricola abrasa, armi bianche e denaro contante.
19 gennaio 2022
Provvedimento di sequestro nei confronti di un Consorzio per circa 110 milioni di euro di crediti d'imposta
Per delega del Procuratore della Repubblica distrettuale di Napoli si comunica (nel rispetto dei diritti dell’indagato, da ritenersi presunto innocente in considerazione dell’attuale fase del procedimento - indagini preliminari – fino a definitivo accertamento di colpevolezza con sentenza irrevocabile) quanto segue. Militari del Comando Provinciale della Guardia di Finanza di Napoli hanno eseguito un provvedimento di sequestro preventivo d’urgenza richiesto nella fase delle indagini preliminari dalla Procura della Repubblica di Napoli, riguardante circa 110 milioni di euro di crediti d’imposta relativi al c.d. “Superbonus 110%”, nei confronti di un Consorzio operante nel settore, nonché perquisizioni e sequestri nei confronti di altri soggetti che sarebbero, a vario titolo, coinvolti nell’attività delittuosa. In totale sono state eseguite attività di perquisizione e sequestro presso le residenze di 21 persone fisiche, le sedi di 3 enti/società nonché sequestri preventivi di crediti presso 16 soggetti (istituti finanziari, società e persone fisiche).
L’attività trae origine da un’analisi di rischio sviluppata dall’Agenzia delle Entrate – Divisione Contribuenti – Settore Contrasto Illeciti sulla spettanza del bonus in materia edilizia previsto dal Decreto “Rilancio” (D.L. 34/2020); si tratta come è noto di un beneficio fiscale riconosciuto nella misura del 110% dell’ammontare delle spese sostenute per la realizzazione di interventi di ristrutturazione edilizia, finalizzati a mettere in sicurezza gli immobili dal rischio sismico nonché migliorarne il rendimento energetico. Il beneficio riconosciuto dalla legge consiste nella detrazione fiscale, ovvero nella possibilità di utilizzare, ai sensi dell’art. 121 del Decreto “Rilancio”, un credito d’imposta pari al 110%, cedibile a terzi e quindi monetizzabile.
Sulla base delle risultanze dell’analisi dell’Agenzia delle Entrate, gli accertamenti delegati dall’Autorità Giudiziaria di Napoli al Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria alla stessa sede avrebbero fatto emergere un sistema fraudolento così articolato:
- il Consorzio, attraverso una rete di procacciatori, si sarebbe proposto nei confronti di privati cittadini interessati a effettuare i lavori rientranti nell’applicazione del superbonus, facendo stipulare loro dei contratti per “appalto lavori con cessione del credito d’imposta” e chiedendo la consegna della documentazione necessaria, salvo interrompere subito dopo i rapporti ovvero eseguire solo attività di carattere burocratico;
- ricevuti i contratti, il Consorzio avrebbe emesso fatture per operazioni inesistenti nei confronti dei privati committenti in cui si faceva riferimento a uno stato di avanzamento lavori per una percentuale non inferiore al 30% (percentuale minima richiesta per vantare la cessione del credito d’imposta);
- solo a seguito di richiesta di informazioni da parte di alcuni Reparti del Corpo, i soggetti privati riscontravano nel loro cassetto fiscale la presenza delle suddette fatture, che sarebbero state emesse a fronte di lavori mai eseguiti, cui erano correlate successive cessioni di crediti a favore del Consorzio, precedute dalla comunicazione dei commercialisti che avrebbero apposto il visto di conformità;
- le prescritte asseverazioni tecniche sui lavori svolti dal Consorzio, che sarebbero state rilasciate da professionisti abilitati, presentavano rilevanti anomalie, evidenziate dalla competente Agenzia Nazionale per le Nuove Tecnologie, l'Energia e lo Sviluppo Economico Sostenibile (ENEA);
- il Consorzio, operando nei termini suddetti, avrebbe beneficiato di oltre 109 milioni di euro di crediti d’imposta, accumulati a partire dal mese di dicembre 2020, poi ceduti a intermediari finanziari, ottenendone la monetizzazione, per un importo di oltre 83 milioni di euro.
- solo a seguito di richiesta di informazioni da parte di alcuni Reparti del Corpo, i soggetti privati riscontravano nel loro cassetto fiscale la presenza delle suddette fatture, che sarebbero state emesse a fronte di lavori mai eseguiti, cui erano correlate successive cessioni di crediti a favore del Consorzio, precedute dalla comunicazione dei commercialisti che avrebbero apposto il visto di conformità;
- le prescritte asseverazioni tecniche sui lavori svolti dal Consorzio, che sarebbero state rilasciate da professionisti abilitati, presentavano rilevanti anomalie, evidenziate dalla competente Agenzia Nazionale per le Nuove Tecnologie, l'Energia e lo Sviluppo Economico Sostenibile (ENEA);
il Consorzio, operando nei termini suddetti, avrebbe beneficiato di oltre 109 milioni di euro di crediti d’imposta, accumulati a partire dal mese di dicembre 2020, poi ceduti a intermediari finanziari, ottenendone la monetizzazione, per un importo di oltre 83 milioni di euro.
Al fine di contrastare ed arginare l’attività delittuosa sopra descritta, la Procura della Repubblica di Napoli sezione di criminalità economica ha richiesto ed ottenuto la misura cautelare d’urgenza, eseguita con i correlati decreti di perquisizione e sequestro così da interrompere la circolazione dei crediti, individuare i responsabili e consentire agli ignari cittadini coinvolti di adottare iniziative legali a propria tutela. Le attività di polizia giudiziaria, eseguite nei confronti del Consorzio e dei relativi membri del consiglio di amministrazione, dei cessionari finali dei crediti, degli intermediari nonché dei professionisti che avrebbero rilasciato le asseverazioni o il visto di conformità, hanno interessato le regioni Abruzzo, Calabria, Campania, Friuli Venezia Giulia, Lazio, Lombardia, Piemonte e Veneto e sono state svolte anche con il contributo dei Reparti della Guardia di Finanza dislocati nelle rispettive sedi.
L’operazione condotta testimonia la costante attenzione dell’Autorità Giudiziaria, della Guardia di Finanza e dell’Agenzia delle Entrate sulla corretta destinazione delle risorse pubbliche messe a disposizione della collettività per mitigare gli effetti negativi della pandemia in corso e favorire la ripresa dell’economia e l’ammodernamento del Paese. Il presente comunicato stampa è stato rilasciato a seguito di specifica delega/nulla osta della competente Autorità Giudiziaria.
8 marzo 2022
Traffico illecito di rifiuti - Eseguite 33 misure cautelari e sequestri per oltre 270 milioni di euro
Militari della Guardia di Finanza di Torino stanno dando esecuzione, nell’ambito dell’operazione “FERROMAT”, ad un’ordinanza di custodia cautelare emessa dal Giudice per le indagini preliminari del locale Tribunale nei confronti di 33 persone, indiziate di appartenere, nell’ipotesi accusatoria, a 3 distinte associazioni per delinquere finalizzate al traffico illecito di rifiuti metallici e all’emissione ed utilizzo di documenti attestanti operazioni inesistenti. Sono in corso di svolgimento oltre 50 perquisizioni nei confronti di persone fisiche e aziende, nonché il sequestro preventivo di 8 società operanti nel settore del commercio di rottami metallici e di beni per oltre 270 milioni di euro, tra cui disponibilità finanziarie, immobili, veicoli e quote societarie.
L’attività scaturisce dal sequestro, ad opera di un’altra Forza di Polizia in occasione di un controllo su strada nel febbraio 2018, di denaro contante a carico di 2 soggetti di nazionalità italiana, uno dei quali titolare di una ditta individuale operante nel settore del commercio dei rottami. Le successive indagini, coordinate dalla Procura della Repubblica di Torino - Direzione Distrettuale Antimafia (indagine già coordinata dal p.m. dott. Giuseppe Riccaboni) e condotte dai finanzieri del Nucleo di polizia economico-finanziaria Torino, mediante accertamenti bancari, approfondimento di decine di segnalazioni di operazioni sospette, intercettazioni telefoniche e telematiche, posizionamento di telecamere e di GPS veicolari, acquisizione di videoregistrazioni presso uffici postali, hanno consentito di acquisire elementi gravemente indizianti, nell’ipotesi accusatoria, dell’esistenza dei gruppi criminali, attivi fin dal 2015 e tuttora operanti, anche all’estero. Secondo le norme unionali, affinché i rottami metallici non siano qualificabili come “rifiuto”, il produttore deve redigere e trasmettere ad ogni cessione una “dichiarazione di conformità”, al fine di consentire, in ogni momento, l’individuazione dell’origine del rottame e, dunque, la tracciabilità dello stesso.
Nell’ipotesi dell’accusa, gli indagati avrebbero predisposto documentazione fiscale e amministrativa falsa al solo scopo di “regolarizzare” ingenti quantitativi di rifiuti destinati a società di capitali “utilizzatrici”, con sede in Piemonte e Lombardia. In particolare, sarebbe stata occultata la reale provenienza dei rifiuti (e, pertanto, la corretta tracciabilità della filiera di produzione, di recupero e smaltimento degli stessi), per il tramite di società “filtro” e/o ditte individuali “cartiere” (situate anche in Germania) e con il supporto di una fitta rete di soggetti “prestanome”.
Nell’ipotesi investigativa, le organizzazioni illecite, grazie a tale falsa documentazione, avrebbero quindi potuto introdurre nel regolare commercio dei rottami ferrosi (c.d. end of waste) rifiuti metallici acquistati in nero e privi dei requisiti di conformità e tracciabilità previsti dalla legislazione europea. La falsa documentazione avrebbe anche consentito agli imprenditori-utilizzatori finali del materiale di dedurre costi “in nero”, configurando pertanto anche reati fiscali. Nell’ipotesi di accusa, continui e frenetici prelievi di denaro effettuati dai titolari delle “cartiere” presso uffici postali nazionali e intermediari esteri, dove risultava più agevole reperire in breve lasso di tempo il contante, permettevano il rientro dello stesso nella disponibilità delle società “utilizzatrici”, al netto del compenso del 5- 8% trattenuto dall’organizzazione.
A tal fine, dalle attività di intercettazione è emerso chiaramente il ricorso a un linguaggio criptico e in codice, noto e condiviso tra gli interlocutori. Ferma restando la presunzione di innocenza fino a compiuto accertamento delle responsabilità, gli esiti delle indagini, nell’ipotesi accusatoria, hanno messo in luce un collaudato, redditizio e tuttora pienamente operativo meccanismo illecito gestito dalle organizzazioni criminali in violazione di norme poste a tutela dell'ambiente e della collettività. Le odierne operazioni vedono coinvolti circa 300 militari appartenenti a 21 Reparti del Corpo nei territori delle regioni Piemonte (provincie di Torino, Alessandria e Cuneo), Lombardia (provincie di Milano, Bergamo e Monza-Brianza), Liguria (provincia di Savona), Friuli Venezia Giulia (provincia di Udine), Toscana (provincia di Pisa), Campania (provincia di Benevento), Puglia (provincia di Foggia), Sicilia (provincia di Messina).
L’operazione “FERROMAT” conferma, tangibilmente, l’azione che la Guardia di Finanza svolge quotidianamente attraverso il monitoraggio dei flussi finanziari, che costituisce il metodo più efficace per individuare i capitali di origine illecita, prevenendo e contrastando le organizzazioni criminali che commettono gravissimi reati anche nel settore ambientale, “inquinano” il tessuto economico-produttivo, alterano la concorrenza del mercato e, non da ultimo, danneggiano gli imprenditori onesti e rispettosi delle regole.
10 maggio 2022
Carabinieri individuano tre associazioni per delinquere finalizzate alle truffe. 59 persone arrestate
Comando Provinciale di Genova - Napoli, 10/05/2022 10:19
A conclusione di complessa indagine coordinata dalla Procura della Repubblica di Napoli, i Carabinieri del Comando Provinciale di Genova, supportati principalmente dai militari di Napoli (nonché di Salerno, Varese, Venezia, Roma, Frosinone, Latina, Milano, Brescia, Lodi, Novara, Avellino, Pordenone), hanno dato esecuzione ad un’ordinanza di applicazione di misure cautelari nei confronti di 59 persone (46 custodia in carcere e 13 in regime di arresti domiciliari), emessa dal Tribunale di Napoli, appartenenti a tre sodalizi criminali specializzati nella commissione di truffe operanti su gran parte del territorio nazionale.
Tra gli ulteriori principali reati contestati: falsità in titoli di credito e possesso di documenti di identificazione falsi, sostituzione di persona, intercettazione/impedimento illecito delle comunicazioni telefoniche, irregolarità nella ricezione e stoccaggio finalizzata alla sottrazione dell’accertamento o al pagamento dell’accisa sugli oli minerali, riciclaggio ed autoriciclaggio.
La 1^ associazione per delinquere, avente base direttiva e logistica a Napoli, con ramificazioni in Lombardia e Friuli Venezia Giulia, agiva nell’ambito delle compravendite on-line di autovetture di pregio utilizzando quattro batterie operative.
In particolare, dopo preliminari contatti telefonici, ai telefonisti (truffatori) subentravano altri sodali che sotto false identità concludevano di persona le trattative consegnando agli inserzionisti assegni circolari falsi emessi da un inesistente ufficio postale creato allo scopo dall’organizzazione, che ne faceva comparire, tramite finte pagine web, i riferimenti sui principali motori di ricerca.
Con altro modus operandi, i sodali si proponevano anche come sedicenti venditori di veicoli; infatti, utilizzando immagini del mezzo e dei documenti di circolazione ottenute via “whatsapp”, nel corso delle trattative avviate come acquirenti duplicavano sui siti specializzati l’originale inserzione di vendita sostituendosi al vero proprietario ed indicando un prezzo d’acquisto decisamente conveniente. Contattati su un’utenza dedicata riportata in annuncio, i sodali richiedevano agli ignari compratori di emettere a favore del falso venditore un assegno di caparra o coprente l’intera cifra e di anticiparne l’immagine via “whatsapp” come garanzia dell’impegno all’acquisto, rimandando la materiale consegna del titolo e della vettura ad un incontro con la vittima fissato a distanza di qualche giorno ed a cui non si sarebbero presentati. L’organizzazione, infatti, sfruttava quel lasso di tempo per riprodurre, a mezzo propri falsari e stamperia, l’assegno ricevuto in fotografia, incassandolo senza incorrere in alcun problema di “bene emissione” considerata la correttezza dei dati in esso riportati, corrispondenti a quelli del titolo originale contraffatto. Tra gli indagati anche dipendenti delle poste che, tramite indebiti accessi agli archivi informatici dell’Ente, fornivano i nominativi di persone molto anziane od emigrate da tempo all’estero che risultavano titolari di buoni fruttiferi in lunga giacenza o emittenti vaglia postali d’ingente valore. I buoni ed i vaglia venivano successivamente clonati ed incassati con l’aiuto degli stessi impiegati da sodali o soggetti compiacenti, sostituitisi ai legittimi titolari/beneficiari utilizzando documenti falsi.
Il 2° sodalizio criminale, con base direttiva e logistica anch’esso a Napoli e ramificazioni in Friuli Venezia Giulia, si avvaleva di cinque batterie operative per commettere la stessa tipologia di truffe ma utilizzando una diversa modalità esecutiva, seppur con l’utilizzo di assegni circolari falsi, emessi da istituti bancari realmente esistenti. Il sodalizio era specializzato nella compravendita on-line di beni di lusso fra cui orologi di noti marchi, vetture di grossa cilindrata e pregiati prodotti alimentari.
Le vittime si recavano presso la propria filiale bancaria per verificare la genuinità dell’assegno in compagnia di uno dei truffatori che avvisava un altro complice, risultato essere il promotore dell’organizzazione, che sfruttava le competenze professionali acquisite nei venti anni trascorsi come tecnico alle dipendenze della società “SIP”. Infatti, allorquando i cassieri della banca contattavano telefonicamente l’istituto emittente l’assegno (falso) per verificarne la “bene-emissione”, non colloquiavano in realtà con i colleghi dell’altra banca ma con il predetto truffatore che, collegandosi con apposita strumentazione alle centraline telefoniche nelle vicinanze di alcuni istituti di credito campani, ne deviava le telefonate in entrata assicurando la genuinità dell’assegno, che solo in un secondo momento risulterà falso. I truffatori in questo modo si facevano consegnare i beni in vendita.
La 3^ associazione per delinquere, stanziale a Napoli in ogni assetto strutturale, è risultata coinvolta nell’importazione dall’est Europa di olio industriale a mezzo cisterne accompagnate da false bolle di trasporto. L’olio stoccato in un deposito sito nell’area salernitana veniva illecitamente miscelato con il gasolio allo scopo di allungarne la quantità per incrementare i ricavi derivanti dall’erogazione al dettaglio presso nove impianti di distribuzione ubicati nelle province di Napoli e Salerno, controllati dal sodalizio.
I proventi illeciti venivano progressivamente reimpiegati nella costituzione di società-cartiere operanti nello specifico settore, nei cui capitali confluivano anche i numerosi beni immobili e mobili acquistati nel tempo dal sodalizio per riciclare il denaro.
L’attività investigativa dei carabinieri, che ha permesso di contestare agli indagati ben 70 (settanta) episodi di truffa, per un conseguito profitto illecito complessivo di circa 1 milione e mezzo di euro, ha consentito il sequestro di denaro, immobili, società e distributori di carburante riconducibili a vario titolo ai principali indagati per un valore complessivo stimato intorno ai 2 milioni e 700mila euro, nonché il sequestro di un appartamento adibito a stamperia unitamente a numerosi apparati informatici per la stampa professionale di banconote, documentazione contabile e titoli bancari/postali.
20 maggio 2022
Lavoratori in nero individuati grazie all'ausilio di un drone
Comando Provinciale Pordenone
Per garantire la legalità nelle lavorazioni agricole, interessate da una fase di particolare operosità, i Finanzieri del Comando Provinciale di Pordenone e i Funzionari dell’Ispettorato Territoriale del Lavoro di Pordenone-Udine hanno effettuato, tra San Vito al Tagliamento e Morsano al Tagliamento, una serie di interventi “sui campi”, rintracciando, in sole 4 aziende agricole, ben 23 lavoratori “in nero”. I controlli hanno preso spunto dalle indicazioni pervenute, a livello centrale, sia dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali che dal Comando Generale della Guardia di Finanza, confermate e supportate, a livello locale, da quelle impartite dal Prefetto di Pordenone, che, sul tema, aveva indetto uno specifico tavolo di confronto affidando la regìa delle attività alla Guardia di Finanza ed all’Ispettorato del Lavoro.
L’intensificazione delle lavorazioni agricole, calendarizzate in base alle stagioni, richiede, infatti, nei periodi di punta, un fabbisogno di manodopera difficilmente risolvibile con risorse locali, affrontato, in tempi recenti, affidando le fasi di semina, potatura, impianto e raccolta alle sempre più numerose imprese che propongono “servizi connessi all’agricoltura”. Queste realtà, gestite da stranieri, riescono, infatti, a reclutare – spesso tra i loro connazionali, in genere privi di specifiche abilità professionali – i lavoratori necessari a soddisfare le esigenze delle aziende locali. Per vincere, però, la loro stessa concorrenza, sono costrette ad abbattere sempre più il costo orario della manodopera, inquinando il mercato del lavoro a favore di un profitto, per loro, comunque marginalmente basso, ma a completo svantaggio degli attori più deboli e bisognosi della filiera: i lavoratori stessi.
Dopo una breve fase di studio della realtà locale, le Fiamme Gialle del Friuli Occidentale hanno, quindi, individuato – grazie all’impiego di un drone ed alla conoscenza del territorio – gli appezzamenti di terreno sui quali era evidente una diffusa presenza di lavoratori intenti nelle lavorazioni agricole tipiche di questa stagione: la messa in campo delle barbatelle, la coltivazione d’uva e la raccolta degli asparagi. La bontà della selezione, confermata dalla successiva elaborazione dei dati, è stata, quindi, tradotta in pratica, con l’effettuazione, in due giornate, di 4 controlli “sui campi”, eseguiti, assieme ai Funzionari dell’Ispettorato del Lavoro, cinturando le aree e provvedendo all’identificazione integrale di tutti i lavoratori presenti. Gli interventi hanno permesso di individuare 4 aziende agricole, di cui una con il 100% di lavoratori in nero (7 su 7) ed altre 3 con un rapporto irregolari/lavoratori complessivi di molto superiore al 50% (7 su 13; 5 su 8 e 4 su 7). Per tutte e 4, superata la soglia del 10% di irregolari sui lavoratori complessivi, è stata, in ogni caso, disposta la sospensione dell’attività. In particolare, tra i lavoratori irregolari, 4 sono risultati “richiedenti asilo” e 3, denunciati alla Procura della Repubblica di Pordenone, immigrati clandestini.
Il loro datore di lavoro, un italiano, è stato anch’egli segnalato all’Autorità Giudiziaria per impiego di manodopera priva di permesso di soggiorno. La sanzione per l’impiego di lavoratori in nero – riconteggi dei contributi previdenziali ed assicurativi a parte – è pari a 1.800 € per risorsa, maggiorati del 20% in caso di assunzione di lavoratori stranieri clandestini o richiedenti asilo. I due interventi confermano come, anche nella Destra Tagliamento, la guardia sulla legalità nelle lavorazioni nei campi non possa essere abbassata, attesa l’evidente, perdurante, convinzione che l’impiego di manodopera in nero – in danno ed a totale scapito, prima, delle persone in stato di bisogno e, poi, dell’Erario – generi un profitto tale da rendere accettabile il rischio di subire un controllo. La tecnologia, indispensabile per selezionare gli obiettivi, si è rivelata, in questo caso, fondamentale per individuare, con speditezza, i campi maggiormente affollati. L’attività, in ogni caso, oltre a confermare la stretta sintonia tra i due organi di controllo, continuerà, con cadenza regolare, verso le aree interessate dalle diverse colture stagionali.
6 luglio 2022
Eseguita ordinanza applicativa di misure cautelari personali
Comando Provinciale Frosinone - Nuclei di Polizia Economico Finanziaria di Napoli, Frosinone e Trieste
Nella mattinata odierna, coordinati dalla Procura della Repubblica di Napoli, i finanzieri dei Nuclei di Polizia Economico-Finanziaria della Guardia di Finanza di Napoli, Frosinone e Trieste, in collaborazione con i funzionari del Nucleo Operativo Accise (NOA) dell’Agenzia delle Accise, Dogane e Monopoli, hanno dato esecuzione ad un’ordinanza applicativa di misure cautelari personali a carico di due soggetti, nonché a un decreto di sequestro preventivo finalizzato alla confisca di beni mobili e immobili, in via diretta e per equivalente, per complessivi 44 milioni di euro, a carico di cinque società e sei persone fisiche indiziate di partecipazione ad una associazione per delinquere attiva nelle province di Napoli e Frosinone, di dichiarazione fraudolenta mediante l’emissione ed utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti e di frode nella commercializzazione di prodotti petroliferi.
In particolare, sono state applicate misure cautelari personali a carico dei legali rappresentanti di due delle principali società coinvolte; segnatamente la misura cautelare degli arresti domiciliari congiuntamente a quella interdittiva del divieto temporaneo di esercitare imprese e uffici direttivi nei confronti di un soggetto e quella interdittiva del divieto temporaneo di esercitare imprese e uffici direttivi a carico dell’altro.
Le indagini riguardano una articolata frode carosello che sarebbe stata posta in essere dal 2016 al 2021, effettuata mediante interposizioni fittizie di altre società e fatturazioni per operazioni soggettivamente inesistenti; le indagini hanno fatto emergere che sarebbe stata creata una catena di società dislocate in Friuli Venezia Giulia, Lazio e Campania, per assicurare introiti illeciti ai partecipi dell’associazione, commisurati alle imposte evase in termini di IVA e di accise per decine di milioni di euro.
Una delle società operanti nel frusinate, titolare di licenza di trader, a seguito della revoca intervenuta per violazioni di carattere fiscale, avrebbe ceduto circa 15 milioni di litri di gasolio, in sospensione d’accisa pur non avendone più i requisiti, a un’altra società, sempre riconducibile al medesimo soggetto.
Tale condotta avrebbe consentito – in soli due mesi - di evadere circa 10 milioni di euro di accise. L’odierna operazione è il frutto della sinergia tra l’azione della Guardia di Finanza e quella della Agenzia delle Dogane – con il coordinamento dell’Autorità Giudiziaria partenopea - a tutela del corretto andamento dei mercati e a contrasto di pratiche commerciali scorrette in danno dell’Erario in un momento storico particolarmente delicato per il settore dei prodotti petroliferi ed energetici.
Il provvedimento eseguito è una misura cautelare disposta in sede di indagini preliminari, avverso cui sono ammessi mezzi di impugnazione e i destinatari di essa sono persone sottoposte alle indagini e, quindi, presunte innocenti fino a sentenza definitiva.
16 settembre 2022
Archeologia: il TPC sequestra numerose opere d'arte
Comando Provinciale di Trieste - Trieste, 16/09/2022 12:33
I Carabinieri per la Tutela del Patrimonio Culturale sequestrano a Trieste reperti archeologici
Un importante quantitativo di materiale archeologico, costituito prevalentemente da vasi in bucchero di provenienza magno-greca dell’Italia meridionale, databile tra la metà del IV e il III secolo a.C., è stato recentemente sequestrato a Trieste dal Nucleo Carabinieri per la Tutela del Patrimonio Culturale di Udine.
I reperti sono stati recuperati grazie alla segnalazione pervenuta da un’anziana ultranovantenne residente nel capoluogo giuliano che li aveva rinvenuti all’interno della propria abitazione, in un armadio che non veniva aperto ormai da anni, dove il defunto marito, deceduto più di trent’anni fa, teneva effetti personali. La donna ha rinvenuto un vero e proprio “tesoretto”: otto manufatti di apparente natura archeologica che l’anziana, ritenendo potersi trattare di materiale di interesse storico-culturale, aiutata da un familiare, ha segnalato ai Carabinieri del Nucleo TPC di Udine che, dal 2016, operano in Friuli Venezia Giulia e Trentino Alto Adige nella prevenzione e nel contrasto dei reati ai danni del patrimonio culturale. Condotta assolutamente ineccepibile, sia eticamente che giuridicamente, perché aderente alle specifiche previsioni normative previste dal “Codice dei beni culturali e del paesaggio” in caso di scoperte fortuite di beni culturali che, all’art. 90, prevede l’obbligo di denuncia alle Autorità entro le 24 h successive al fortuito rinvenimento.
I militari del Reparto specializzato dell’Arma si sono, pertanto, recati sul luogo del rinvenimento, dove sono stati eseguiti i primi accertamenti sul materiale che appariva genuino e, quindi, veniva sequestrato d’iniziativa. L’attività svolta è stata immediatamente condivisa con la Procura della Repubblica di Trieste, che ha convalidato il provvedimento cautelare adottato dai militari operanti. I successivi approfondimenti di natura tecnica effettuati sui beni archeologici sequestrati, grazie alla preziosa collaborazione dei funzionari archeologi della Soprintendenza archeologia, belle arti e paesaggio del Friuli Venezia Giulia (SABAP FVG) di Trieste, hanno consentito di appurare l’assoluta genuinità della gran parte dei manufatti sequestrati. Si tratta di una piccola coppa biansata a vernice nera, una coppa biansata a vernice nera con decorazione vegetale sovra dipinta su basso piede, uno skiphos (coppa utilizzata per bere) con due piccole anse a vernice nera con decorazione sovra dipinta, una brocca con imboccatura trilobata ed una miniaturistica con decorazione sovra dipinta.
Ancora, un epichysis (brocca di forma particolare con corpo cilindrico, con piede ampio e sporgente, tipo ignatia, a vernice nera con decorazione sovra dipinta di tipo vegetale e geometrico), un coperchio di pisside decorata con teste femminili e grandi palmette ed una coppetta concavo-convessa a vernice nera. Due dei manufatti dovranno essere sottoposti ad ulteriori approfondimenti strumentali atti a confermarne l’elevato interesse storico-culturale.
I risultati ottenuti sono stati comunicati all’Autorità giudiziaria procedente, che ha aperto un fascicolo a carico di ignoti in quanto non è risultato possibile accertare le modalità e le tempistiche con le quali i manufatti descritti erano entrati nella disponibilità del defunto ed ha disposto l’affidamento dei manufatti alla Soprintendenza citata che provvederà alla loro conservazione e valorizzazione.
26 ottobre 2022
Polizia di Stato: operazione “Dream Earnings”. Falso trading online: truffavano le vittime con promesse di facili guadagni.
La Polizia di Stato coordinata dalla Procura della Repubblica di Pordenone in sinergia con la Polizia albanese, coordinata dalla Procura Speciale Contro la Corruzione ed il Crimine Organizzato S.P.A.K. di Tirana, ha concluso un’articolata e complessa attività investigativa che ha portato all’emissione di tre misure cautelari e cinque perquisizioni in territorio albanese.
Gli investigatori del Centro Operativo per la sicurezza Cibernetica - Polizia Postale del Friuli Venezia Giulia e della Squadra Mobile di Pordenone, con il coordinamento del Servizio Centrale Operativo, del Servizio Polizia Postale e delle Comunicazioni e la collaborazione del Servizio per la Cooperazione Internazionale di Polizia, unitamente all’ Unità Crimini Informatici della Polizia albanese hanno decapitato, un’organizzazione dedita alle truffe perpetrate per mezzo del falso trading online.
Complesse tecniche d’indagine tradizionali e cibernetiche hanno portato alla luce uno schema criminale particolarmente complesso, che vedeva effettuare il riciclaggio delle somme sottratte in diversi Paesi membri U.E., fra i quali Cipro, Lituania, Estonia, Olanda e Germania, e la loro conversione in criptovalute. Le misure cautelari e i decreti di perquisizione sono state eseguite nei confronti di cittadini albanesi, tutti residenti a Tirana e facenti parte di un’organizzazione che si stima abbia truffato diverse centinaia di cittadini italiani.
Supera di tre milioni di euro l’ammontare della frode, ma questa potrebbe essere solo la punta dell’iceberg; solo all’esito dell’analisi dei sistemi informatici sequestrati sarà possibile determinare gli importi reali.
Nel corso di più di 42.000 intercettazioni telefoniche effettuate dagli investigatori italiani, è infatti emerso quanto i truffatori fossero abili nell’utilizzo di vere e proprie tecniche di persuasione e plagio, al punto da convincere le vittime a indebitarsi e versare, nel tempo, svariate centinaia di migliaia di euro.
I DATI DELL’INDAGINE
Le indagini telematiche hanno fatto emergere circa 90.000 contatti telefonici di cittadini italiani, ad uso degli operatori del call center, pronti per essere agganciati per le false proposte d’investimento.
E’ stato analizzato circa 1 Terabyte di traffico telematico passante per il server, durante le operazioni di intercettazione telematica.
Sono state intercettate circa 42.000 telefonate effettuate dal call center.
Si stima che la movimentazione di denaro possa ammontare ad alcune decine di milioni di euro.
All’esito dell’attività a Tirana sono stati posti sotto sequestro due call center con più di 60 postazioni dotate di personal computer e i due server collegati alle postazioni di lavoro.
Contestualmente in Italia veniva altresì sequestrato il server utilizzato dal sodalizio per offuscare le proprie tracce informatiche e ostacolare le investigazioni
6 dicembre 2022
Scoperto presunto traffico illecito di uccelli da richiamo. 6 persone denunciate.
Comando Regione Carabinieri Forestale Ancona - Pesaro e Urbino - Forlì-Cesena e Udine, 01/12/2022 09:59
Nei giorni scorsi sono state eseguite da parte dei Carabinieri Forestali di diversi Reparti perquisizioni personali e locali delegate dalla Procura della Repubblica di Urbino a carico di 6 persone residenti nelle regioni Marche, Emilia-Romagna e Friuli Venezia-Giulia, tra cui tre allevatori e commercianti di uccelli utilizzati quali richiami per l’attività venatoria. Tutti i soggetti risultano attualmente indagati a diverso titolo per vari reati: furto aggravato ai danni dello Stato, ricettazione, alterazione di sigilli di Stato, uccellagione e detenzione illegale ai fini commerciali di fauna selvatica. Le indagini – che sono durate oltre dieci mesi per poter risalire ai soggetti coinvolti a vario titolo nel traffico illegale e per poter raccogliere fonti di prova a carico degli indagati – hanno consentito di portare alla luce un vasto presunto traffico di uccelli da richiamo di provenienza illegale; secondo l’ipotesi accusatoria i volatili venivano infatti catturati in natura durante il periodo della migrazione per poi essere “regolarizzati” con apposizione di anelli o alterati oppure infilati forzatamente nelle zampe cagionando lesioni agli arti. Nel corso delle operazioni sono stati posti sotto sequestro anche alcuni uccelli privi di anello identificativo che erano in attesa dell’apposizione illegale dello stesso. La normativa europea e nazionale vieta la cattura degli uccelli in natura con reti o altri strumenti non consentiti. Gli unici richiami utilizzabili per l’esercizio dell’attività venatoria sono quelli nati in cattività in allevamenti autorizzati e che dopo la nascita vengono regolarmente contrassegnati con anello inamovibile, apposto nella zampa nei primi giorni di vita degli animali. Gli ornitologi, in grado di riconoscere l’età degli uccelli, nominati ausiliari di polizia giudiziaria dai Carabinieri Forestali, nel corso delle perquisizioni hanno potuto accertare che un gran numero di animali nati prima del 2021 risultavano identificati con anelli realizzati nel 2022, quindi inseriti nelle zampette degli animali adulti successivamente alla cattura in natura. Il presunto traffico rendeva agli indagati molte migliaia di euro. Dalle indagini è infatti emerso che nel periodo della migrazione, in una nottata, i bracconieri potevano catturare con reti e richiami elettronici decine di uccelli che venivano poi rivenduti ai cacciatori – una volta “legalizzati” con gli anelli apposti in maniera fraudolenta – a prezzi ragguardevoli; essi, a seconda della tipologia di richiamo, potevano arrivare a 180 euro per i merli, a 200 euro per i tordi bottacci, ed a un prezzo ancora più elevato per le cesene. Per comprendere il volume di denaro collegato alla presunta attività illecita, basti pensare che uno degli indagati (nel corso delle intercettazioni telefoniche) ha addirittura affermato “abbiamo fatto 600 una volta”, riferendosi al numero di uccelli catturati in una sessione di uccellagione. Per far sì che gli uccelli catturati divenissero all’apparenza “regolari” venivano eseguite a volte operazioni che andavano a minare la salute degli stessi; diversi volatili sequestrati recavano infatti, oltre che i segni causati dalla cattura con le reti, delle lesioni come conseguenza dell’apposizione dell’anello forzato sulla zampa. Quello smascherato dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Urbino attraverso l’attività di indagine portate avanti dai Carabinieri Forestali si è rivelato essere un sistema ben articolato e organizzato composto da soggetti che avevano mansioni ben specifiche: alcuni con il compito di eseguire le catture illegali durante le ore notturne e altri, vari allevatori e/o commercianti, che invece regolarizzavano gli uccelli apponendo falsamente gli anelli identificativi attestanti la nascita in cattività degli animali, spesso poi acquistati da cacciatori del tutto ignari delle illegalità commesse a monte della vendita. Le perquisizioni effettuate presso i due allevatori residenti in provincia di Udine sono state eseguite dai Carabinieri Forestali del Nucleo Carabinieri CITES di Trieste e dal Centro Carabinieri Anticrimine Natura di Udine. Le perquisizioni presso i tre soggetti residenti in provincia di Forlì-Cesena, tra i quali un allevatore, sono state eseguite dai Carabinieri Forestali del Nucleo Carabinieri CITES di Ancona, del SOARDA (Sezione Operativa Antibracconaggio e Reati a Danno degli Animali - Carabinieri Roma) e del Gruppo Carabinieri Forestale di Forlì-Cesena. Le perquisizioni nei confronti del commerciante residente in provincia di Pesaro e Urbino sono state eseguite dai Carabinieri Forestali del SOARDA, del Nucleo Carabinieri CITES di Ancona e della Stazione Carabinieri Forestale di Urbino. Nel corso delle attività di perquisizione per l’accertamento dei fatti, son state sequestrate anche 4 pinze utilizzate per alterare gli anelli metallici di identificazione degli uccelli, numerosi anelli metallici alterati, 6 telefoni cellulari, n. 8 pali utilizzati per fissare reti da uccellagione, 11 richiami elettronici vietati oltre a n. 2 autoradio collegate ciascuna ad una coppia di altoparlanti, 10 altoparlanti, 12 picchetti idonei a fissare reti da uccellagione, 2 cassette per il trasporto di richiami vivi, oltre a cospicua documentazione attestante le cessioni degli animali. Alcuni degli indagati hanno presentato istanza di riesame dei provvedimenti di sequestro presso il Tribunale di Urbino, istanze successivamente rinunciate. Il fascicolo si trova in fase di indagine. Il presente comunicato riveste la finalità di invitare tutti i cittadini e specialmente a cacciatori che acquistano richiami vivi, di verificare preventivamente la provenienza e la corretta marcatura degli animali oggetto di compravendita, al fine di evitare truffe o frodi. Si raccomanda di segnalare alle Forze dell’Ordine ogni episodio riconducibile al traffico di avifauna selvatica.
16 febbraio 2023
Disarticolata associazione criminale straniera
In data odierna, oltre 100 militari del GICO - Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria di Trieste, del Servizio Centrale Investigazione Criminalità Organizzata della Guardia di Finanza e dei Reparti della Guardia di Finanza competenti per territorio, hanno dato esecuzione ad un’ordinanza applicativa di misure cautelari personali in carcere emessa dal G.I.P. del Tribunale di Trieste nei confronti di nr.18 soggetti di etnia nigeriana, nelle Regioni Friuli Venezia Giulia, Veneto, Emilia Romagna, Piemonte e Toscana, tutti indagati nell’ambito di un’operazione di polizia giudiziaria finalizzata al contrasto del traffico internazionale e dello spaccio di sostanze stupefacenti.
Le specifiche attività investigative, sviluppate dalle Fiamme Gialle giuliane sotto l’egida della Procura Distrettuale Antimafia di Trieste, hanno tratto origine da un iniziale sequestro a carico di ignoti operato dal Comando della Guardia di Finanza di Muggia, il quale, a seguito di un’attivazione avvenuta al numero di pubblica utilità 117, aveva rinvenuto oltre 10 chilogrammi di marijuana contenuti all’interno di un borsone, abbandonato su un autobus proveniente da Roma.
La successiva meticolosa ricostruzione dei movimenti effettuati da alcuni dei passeggeri presenti sull’autobus ha consentito di identificare alcuni soggetti scesi precipitosamente dal mezzo ad una delle fermate precedenti e di iniziare, così, la ricostruzione della presunta rete di illecito traffico della sostanza stupefacente rinvenuta.
Gli accertamenti eseguiti, condotti attraverso l’ausilio di tutti gli strumenti tecnici ed investigativi a disposizione, con il supporto dello SCICO della Guardia di Finanza, si sono sostanziati nell’incrocio dei dati delle celle e dei tabulati telefonici dei soggetti sospettati, consentendo in tal modo di ricostruire la prima direttrice geografica utilizzata per porre in essere l’illecito traffico (Bologna ovvero Milano – Olanda – Ferrara – Regioni dell’Italia Nord Orientale), la cosiddetta “Green Road” (da qui il nome convenzionale dell’operazione), corroborando le ipotesi investigative originariamente formulate, determinando altresì l’individuazione di ulteriori trasporti che hanno portato all’arresto, in flagranza di reato, dei corrieri, tutti nigeriani, incaricati di “ingerire” all’interno del loro corpo diverse tipologie di sostanza stupefacente, dalla marijuana, all’eroina e alla cocaina.
Oltre alla rotta Roma-Trieste, disvelata alla luce del primo sequestro di marijuana effettuato, le successive attività investigative hanno consentito inoltre di ricostruire ulteriori direttrici di traffico, come ad esempio quella Lagos – Addis Abeba – Milano/Roma, anch’esse finalizzate a soddisfare a rifornire il mercato di spaccio delle Regioni del Nord-Est, tra i quali quello che interessa l’area di Udine.
Lo stupefacente trasportato in Italia tramite gli “ovulatori” veniva inizialmente stoccato presso un’abitazione ubicata in una zona periferica di Ferrara, frequentata attivamente da una serie di soggetti appartenenti ad una specifica area geografica della Nigeria, tutti legati da vincoli familiari ed etnici.
Nel complesso, i tentativi di immissione della droga proveniente dall’estero nel territorio nazionale bloccati dai finanzieri triestini hanno consentito l’arresto in flagranza di reato di 30 soggetti nigeriani ritenuti responsabili dell’illecito traffico, cui si aggiungono i 18 destinatari dell’odierna operazione, per un totale di nr. 48 soggetti destinatari di provvedimenti restrittivi della libertà personale, i quali si sarebbero resi responsabili del traffico e dello spaccio di oltre 100 kg. di sostanza stupefacente tra eroina, cocaina e marjuana; quantitativo che immesso sul mercato avrebbe complessivamente fruttato circa 2 milioni di euro.
L’operazione di polizia giudiziaria eseguita in data odierna testimonia l’efficacia dell’azione posta in essere dalla Guardia di Finanza e dalla Procura della Repubblica - Direzione Distrettuale Antimafia nel contrasto ai fenomeni connotati da più accentuata pericolosità sociale, quale è appunto quella del traffico internazionale di sostanze stupefacenti.
In osservanza delle disposizioni del Decreto Legislativo 8 novembre 2021, n.188, il provvedimento odierno è stato emesso sulla base delle fonti probatorie finora acquisite, ferma restando la presunzione di non colpevolezza degli indagati.
6 aprile 2023
Chiusa Genesis Market, la piattaforma che vendeva credenziali rubate
Era uno dei più grandi mercati neri virtuali del mondo, dedicato alla vendita di credenziali rubate. Si tratta della piattaforma Genesis Market, oggetto dell’operazione internazionale di polizia informatica conclusa oggi negli Stati Uniti e in Europa.
Sono 16 i Paesi coinvolti dall’indagine “Cookie monster” condotta da Fbi (Federal bureau of investigation) e polizia olandese, coordinata da Europol ed Eurojust e diretta, per il territorio italiano, dalla Procura della Repubblica di Roma.
La piattaforma oggetto dell’indagine, specializzata nella vendita di credenziali di accesso e dati rubati, con un giro di affari di oltre 2 milioni di identità virtuali sottratte, è stata disattivata, con sequestri, eseguiti in tutta Europa, dei server sui quali poggiava l’infrastruttura informatica.
Nel nostro Paese risultano coinvolte migliaia di credenziali, individuate dagli specialisti del Centro nazionale anticrimine informatico per la protezione delle infrastrutture critiche (Cnaipic) della Polizia, relative sia a spazi informatici della vita privata di comuni cittadini (email, social network, account di e-commerce, ecc.), sia password in grado di garantire l’accesso illecito a spazi informatici istituzionali della pubblica amministrazione, nonché a spazi appartenenti a banche e grandi imprese nazionali, erogatrici di servizi pubblici essenziali.
Solo in Italia sono stati eseguiti 37 decreti di perquisizione personale, locale e informatica dagli specialisti del Cnaipic e dei Centri operativi per la sicurezza cibernetica della Polizia postale di Campania, Basilicata, Molise, Lazio, Lombardia, Puglia, Emilia Romagna, Calabria, Veneto, Sicilia occidentale, Abruzzo, Friuli Venezia Giulia, Liguria, Toscana, Trentino Alto Adige ed Umbria. Oggetto dei provvedimenti sono stati i clienti della piattaforma che, nel corso del tempo, avevano acquistato migliaia di credenziali di accesso.
Le perquisizioni hanno portato al sequestro di diversi dispositivi informatici, l’analisi dei quali consentirà agli investigatori di comprendere con esattezza quale sia stato l’utilizzo, da parte degli indagati, delle credenziali illecite acquistate, e che tipo di informazioni riservate, e a quale livello di segretezza, siano state compromesse.
5 novembre 2023
Disarticolati due gruppi criminali. Torino - 13 arresti per associazione per delinquere finalizzata al traffico di droga
Bologna - Eseguite 25 misure cautelari personali e sequestri per un valore di oltre 32 milioni di euro.
Militari del Comando Provinciale della Guardia di Finanza di Bologna hanno eseguito, su delega della Direzione Distrettuale Antimafia della Procura della Repubblica di Bologna, un decreto di sequestro preventivo, anche “per equivalente”, di beni per oltre 32 milioni di euro, emesso dal G.I.P. del locale Tribunale - Dott. Andrea Salvatore ROMITO, nei confronti di un sodalizio criminale dedito alla commissione di reati fallimentari e tributari nonché al conseguente riciclaggio dei proventi illeciti, anche per il tramite di compiacenti cittadini cinesi - e 25 misure cautelari.
Complessivamente, sono 32 le persone denunciate, di cui 15 tratte in arresto, nei confronti delle quali le Fiamme Gialle bolognesi hanno eseguito anche perquisizioni delegate dall’A.G. procedente in diverse regioni d’Italia e, precisamente, nelle province di Ancona, Arezzo, Barletta, Bologna, Brescia, Crotone, Foggia, Lucca, Milano, Monza e Brianza, Napoli, Parma, Pavia, Prato, Reggio Emilia, Roma, Torino, Trapani, Treviso, Udine, Venezia e Verona.
Gli accertamenti, a cura del Nucleo di polizia economico-finanziaria di Bologna su delega del Sostituto Procuratore D.D.A. - Dott. Roberto CERONI, hanno permesso di ricostruire come la consorteria investigata, nota come “banda del buco” e composta da bancarottieri “seriali”, fosse deputata alla continua acquisizione di società in crisi, ma dotate di apprezzabili asset, da depredare e condurre al fallimento.
Le indagini hanno consentito di appurare che l’organizzazione, una volta subentrata alla guida, nel corso del 2020, di un gruppo societario dell’hinterland bolognese - composto da una holding e altre 3 s.r.l. sottoposte al suo controllo - operante nei settori della dermo-cosmesi e della G.D.O. (con ben 32 supermercati dislocati tra Emilia-Romagna, Veneto, Toscana, Lombardia e Friuli Venezia Giulia), abbia effettuato vere e proprie operazioni di “sciacallaggio” ai danni delle menzionate persone giuridiche, cagionandone dolosamente il dissesto.
Tra le principali operazioni contestate, figurano la distrazione di 25 punti vendita, trasferiti, nell’imminenza del fallimento, a new-co riconducibili all’associazione pregiudicando, peraltro, la riscossione coattiva da parte dell’Erario per 3,3 milioni di euro di tributi.
La conduzione illecita della catena di supermercati ha permesso agli indagati di lucrare sulla gestione del personale, assunto e somministrato attraverso società di “comodo” che hanno compensato i relativi contributi previdenziali e assistenziali, nonché le ritenute sul lavoro dipendente, con crediti d’imposta fittizi per oltre 2 milioni di euro.
Gli ingenti proventi illecitamente accumulati sono stati re-investiti in nuove iniziative imprenditoriali, tra cui l’acquisto di un noto prosciuttificio sito nel parmense, ovvero trasferiti - per la loro successiva “ripulitura” - a società italiane ed estere compiacenti sulla base di fatture false emesse ad hoc per giustificare i flussi finanziari.
Tra queste spiccano tre “cartiere”, formalmente sedenti in Milano, amministrate da soggetti di etnia cinese irreperibili che, in meno di un anno, hanno emesso fatture false nei confronti di centinaia di imprese italiane realmente esistenti per 7 milioni di euro, nonché ricevuto bonifici sui propri conti aziendali per 11 milioni di euro.
Dagli accertamenti è emerso che i soggetti sinici erano inseriti in un sistema di trasferimento dei fondi illeciti, derivanti da reati fallimentari e fiscali, attraverso canali estranei ai tradizionali circuiti finanziari, così da aggirare anche i presìdi anti-riciclaggio e consistente in meccanismi “triangolari” di compensazione informale del denaro movimentato che ricalcano l’operatività della c.d. “Chinese underground bank”. In sostanza, le risorse finanziarie, riconducibili a operazioni commerciali fittizie, una volta accreditate venivano immediatamente trasferite in Cina, con contestuale retrocessione agli imprenditori italiani del contante di dubbia provenienza per un importo equivalente, al fine di monetizzare l’evasione fiscale ovvero distrarre risorse finanziarie dalle società.
Trait d’union tra i membri della consorteria e i citati soggetti asiatici, sono risultati essere due coniugi (l’una cinese, l’altro italiano) residenti nell’aretino e implicati anche in un florido “giro” di prostituzione di giovani connazionali della donna.
A testimonianza dell’estrema pericolosità e pervicacia criminale del sodalizio, i militari operanti hanno ricostruito come lo stesso, nell’ultimo periodo, avesse rivolto la propria attenzione su un nuovo target, ossia una storica società ittica sita nel tarantino dotata di un consistente patrimonio, ma sovra-indebitata e in crisi di liquidità, in procinto di essere “saccheggiata”.
L’attività si inquadra nel più ampio dispositivo di polizia economico-finanziaria e testimonia l’impegno della Guardia di Finanza per la tutela dell’economia legale, a garanzia del corretto versamento delle imposte all’Erario nonché a salvaguardia dell’imprenditoria rispettosa delle regole, e per la repressione di fenomeni di inquinamento del tessuto economico sano.
Militari del Comando Provinciale della Guardia di Finanza di Torino, con la collaborazione di unità operative di altri Reparti del Corpo e con il coordinamento della Procura della Repubblica - Direzione Distrettuale Antimafia torinese, hanno dato esecuzione in varie Regioni italiane (Piemonte, Veneto e Puglia) a un’ordinanza di custodia cautelare emessa dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale del capoluogo piemontese nei confronti di 12 persone (tutte in carcere), gravemente indiziate di far parte di due distinte associazioni per delinquere finalizzate al traffico e alla commercializzazione di ingenti quantitativi di sostanze stupefacenti (principalmente hashish).
Nel corso delle pertinenti investigazioni - curate dal Nucleo di polizia economico-finanziaria di Torino e caratterizzate dal ricorso a complessi e articolati accertamenti di polizia giudiziaria, compiuti anche attraverso intercettazioni telefoniche e ambientali ed estese attività di osservazione e pedinamento - sono stati raccolti significativi elementi indiziari circa l’esistenza di due presunti sodalizi criminali, tutti composti da soggetti originari del Marocco, che, in ipotesi d’accusa, avrebbero commesso plurimi reati connessi all’importazione e al traffico di stupefacenti.
In particolare, il primo dei due citati gruppi è risultato caratterizzato da un’organizzazione stabile e ben delineata, dotata di notevoli risorse strumentali ed economiche e capeggiata da un quarantaquattrenne di nazionalità marocchina. Esso aveva la propria principale base logistica e il centro degli interessi in Torino e provincia, ove sono risultati dislocati i più importanti depositi utilizzati per i traffici illeciti (in Torino e Piossasco), con qualificati contatti anche in territorio friulano, ove sono state realizzate cessioni di sostanze stupefacenti ed era ubicato un ulteriore deposito (in Pordenone). Il sodalizio vantava, altresì, ramificazioni in Veneto (province di Venezia e Treviso).
La significativa forza economica di tale gruppo criminale è emersa, nel corso delle indagini, dalla possibilità di impiegare numerosi autoveicoli (di proprietà o noleggiati) per l’organizzazione delle attività delittuose e per il ritiro e il trasporto dello stupefacente e del denaro provento degli illeciti traffici nonché dalla capacità dimostrata nel riuscire a finanziare nuove importazioni di narcotico e a sopportare le ingenti spese per il suo occultamento e trasporto nonostante gli ingenti sequestri di stupefacenti subiti ad opera degli inquirenti.
Anche il secondo gruppo interessato dalle indagini - composto da un quarantottenne marocchino, con ruolo apicale, e altre due persone - è risultato radicato in Torino e provincia, con collegamenti in Lombardia (province di Milano e Varese) e in Toscana (provincia di Pisa). Secondo le ipotesi investigative, si tratterebbe di un’articolazione territoriale, dotata di una sua autonomia operativa e assai strutturata (alla luce del notevole giro d’affari prodotto), costituente parte di una ben più ampia organizzazione transnazionale, operante in territorio spagnolo e destinataria dei proventi delle attività di spaccio, come rilevato, tra l’altro, mediante la ricostruzione di alcuni illeciti trasferimenti di denaro in Spagna avvalendosi dell’intermediazione di soggetti di nazionalità cinese.
I due sodalizi criminali disarticolati con la presente operazione sono risultati accumunati:
- dalle ingenti risorse economiche impiegate e tratte dai propri traffici illeciti e dall’utilizzo di collaudati sistemi per rendere riservate le comunicazioni tra i sodali;
- dalla capacità di organizzare operazioni funzionali all’acquisto, custodia, detenzione e trasporto di stupefacente (soprattutto hashish), approvvigionandosi principalmente in Nord Africa e introducendolo sul territorio nazionale attraverso la Spagna. La successiva distribuzione del narcotico, per il cui trasporto sono stati utilizzati anche veicoli modificati e dotati di appositi doppi fondi, si rivolgeva a varie piazze di spaccio del Nord Italia (in particolare Piemonte, Lombardia, Toscana, Veneto e Friuli Venezia – Giulia).
Nel corso delle investigazioni, nel solo arco temporale da gennaio ad aprile 2022, in provincia di Torino sono stati intercettati e sottoposti a sequestro, in più occasioni e anche con la collaborazione della Polizia di Stato, circa 460 kg di hashish, oltre a circa 500 grammi di cocaina e a 1 kg di marijuana.
Lo spessore delle consorterie criminali oggetto di indagine e la perdurante attualità delle condotte poste in essere sono risultate ulteriormente confermate in sede di esecuzione dell’ordinanza di custodia cautelare e delle pertinenti perquisizioni, nel cui ambito i Finanzieri del locale Nucleo di polizia economico-finanziaria hanno individuato altri due depositi di stoccaggio della droga, all’interno di box situati nell’ambito di complessi residenziali, di cui:
- uno in Leinì (TO), nella disponibilità del secondo dei suddetti gruppi criminali, ove erano custoditi 223 kg di hashish, già confezionati e pronti per l’immissione sul mercato illecito;
- l’altro, individuato a seguito di segnalazione del “cane antidroga” Jakora, nella disponibilità di un altro soggetto marocchino (estraneo alle vicende di cui al provvedimento cautelare in questione e tratto in arresto in flagranza di reato), ove sono stati rinvenuti e sottoposti a sequestro 163 kg di hashish.
I suddetti quantitativi di sostanze stupefacenti complessivamente sequestrati, se immessi sul mercato “al dettaglio”, avrebbero potuto generare introiti illeciti per oltre 11 milioni di euro.
Ferma restando la presunzione di innocenza fino a compiuto accertamento delle responsabilità, si evidenzia che il Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Torino ha disposto il provvedimento restrittivo della libertà personale in argomento ravvisando in capo agli indagati i gravi indizi di colpevolezza nonché il pericolo di fuga e di reiterazione delle condotte criminali.
L’attività svolta conferma il costante impegno assicurato dalla Guardia di Finanza nel contrasto dei traffici illeciti di sostanze stupefacenti, a tutela della collettività.
4 aprile 2024
Frode ai danni dell'Unione Europea sui Fondi PNRR. Venezia - 22 arresti e sequestri per oltre 600 milioni di euro
Nella mattina odierna i finanzieri del Comando Provinciale della Guardia di Finanza di Venezia e del Nucleo Speciale Spesa Pubblica e Repressione Frodi Comunitarie, con il supporto del Servizio Centrale Investigazione Criminalità Organizzata (SCICO) e del Nucleo Speciale Tutela Privacy e Frodi Tecnologiche, hanno dato esecuzione ad un’ordinanza, contenente 24 misure cautelari personali (di cui 8 in carcere, 14 arresti domiciliari e 2 interdittive a svolgere attività professionale e commerciale) e sequestri per 600 milioni di euro, emessa dal Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Roma, dott.ssa Mara MATTIOLI, su richiesta del Procuratore Europeo Delegato, dott.ssa Donata Patricia COSTA dell’Ufficio di Venezia.
Grazie all’attivazione dei canali di cooperazione giudiziaria di EPPO, le operazioni stanno interessando diversi Paesi europei, con il coinvolgimento delle forze di polizia slovacche, rumene e austriache; sul territorio nazionale oltre 150 finanzieri stanno eseguendo perquisizioni in Veneto, Lombardia, Trentino Alto Adige, Friuli Venezia Giulia, Toscana, Lazio, Campania e Puglia, anche con l’ausilio di unità cinofile “cash dog”.
Le attività di frode, allo stato delle indagini attribuite al sodalizio criminale con il coinvolgimento di svariati prestanome e l’ausilio di 4 professionisti, hanno in una prima fase riguardato iniziative progettuali per decine di milioni di euro, finanziate a valere sul PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza), nell’ambito della Digitalizzazione, Innovazione e Competitività nel sistema produttivo ed erogati da SIMEST (società partecipata da CDP con l’obiettivo di sostenere le imprese italiane nel percorso di internazionalizzazione), che ha corrisposto tempestivamente alle richieste dell’Autorità giudiziaria fornendo collaborazione alle indagini. Le investigazioni hanno poi permesso di far emergere come la medesima organizzazione, utilizzando spesso le stesse società, fosse dedita anche alla creazione di crediti inesistenti nel settore edilizio (bonus facciate) e per il sostegno della capitalizzazione delle imprese (A.C.E.), per circa 600 milioni di euro.
Le attività di polizia giudiziaria, condotte dalle Fiamme Gialle di Venezia con il supporto dei Reparti Speciali della Guardia di Finanza, hanno consentito poi di individuare, mediante l’uso della tecnica del “follow the money”, le condotte ritenute di riciclaggio e autoriciclaggio di ingenti profitti illeciti attuate attraverso un complesso reticolato di società fittizie artatamente costituite anche in Austria, Slovacchia e Romania. Ad agevolare la ricostruzione dei flussi finanziari illeciti hanno contribuito gli approfondimenti svolti su oltre 100 segnalazioni di operazioni sospette (provenienti anche da Financial Intelligence Unit estere) afferenti agli indagati che, unitamente ai riscontri documentali raccolti attraverso acquisizioni documentali e indagini bancarie, hanno consentito di individuare i presunti promotori, i partecipi e gli agevolatori del sodalizio criminale, con i differenti ruoli assunti dai responsabili nell’architettare evoluti sistemi di frode.
A valle di questi, si è posto un altrettanto raffinato apparato di riciclaggio, peraltro agevolato anche dall’utilizzo di tecnologie avanzate (come Virtual Private Network, server cloud dislocati in Paesi poco collaborativi, crypto-asset, specifici software di intelligenza artificiale per aumentare la velocità di produzione dei documenti falsi) e di società di cartolarizzazione dei crediti al fine di occultare e proteggere, da un lato, l’illegale business del sodalizio da eventuali controlli posti in essere dalle forze di polizia e, dall’altro, trovare nuove modalità di monetizzazione dei crediti inesistenti.
Tra i valori sottoposti a sequestro, spiccano appartamenti e ville signorili, importanti somme in criptovalute, orologi di alta fascia (Rolex), gioielli (Cartier), oro e auto di lusso (tra cui Lamborghini Urus, Porsche Panamera e Audi Q8). Tali beni, unitamente agli oltre 600 milioni di crediti, sono tutti oggetto di sequestro nel corso delle operazioni odierne.
I risultati ottenuti consentono di affermare che l’Italia è l’unico Paese dell’Unione Europea che ha un Corpo di polizia specializzato come la Guardia di Finanza, il quale, attraverso una prodromica attività d’intelligence e di controllo economico del territorio, effettua una mirata selezione degli obiettivi a tutela della corretta attuazione delle risorse finanziarie erogate nell’ambito del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza e al recupero delle risorse europee illecitamente percepite.
Il procedimento penale verte nella fase delle indagini preliminari e per effetto del principio della presunzione di innocenza, la responsabilità delle persone sottoposte ad indagine sarà definitivamente accertata solo ove intervenga sentenza irrevocabile di condanna.
24 aprile 2024
Operazione “Déjà-Vu” del ROS, sgominata un'associazione per delinquere finalizzata alla tratta di persone e all’immigrazione clandestina
Comando Provinciale di Roma - Roma, 24/04/2024 09:43
Nella mattinata del 24 aprile i Carabinieri del ROS, in collaborazione con la Brigata di Lotta alla Criminalità Organizzata di Brasov (Romania), nelle provincie di Udine, Brescia e Vicenza, hanno dato esecuzione a perquisizioni nei confronti di 6 indagati per Associazione per delinquere finalizzata alla tratta di persone e all’immigrazione clandestina emessi dalle Autorità giudiziarie italiana e rumena.
Contestualmente il citato ufficio di polizia, su mandato dell’AG romena e per il medesimo delitto ha dato esecuzione a un provvedimento cautelare coercitivo a carico di 10 soggetti residenti in Romania e a 2 perquisizioni nei confronti di altrettanti indagati residenti in Austria.
L’operazione “Déjà-Vu” del ROS è stata avviata su delega della Procura della Repubblica di Udine - a seguito del rintraccio di 45 migranti sul confine italo-sloveno in prossimità del territorio del comune di Cividale del Friuli (UD) - al fine di accertare l’eventuale esistenza di una più ampia e ramificata organizzazione.
Contestualmente al rintraccio dei migranti, sono stati deferiti a piede libero due cittadini egiziani A.W. e G.M. ed un cittadino pakistano M.R., regolarmente residenti in Italia, per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina.
Gli approfondimenti svolti nella prima fase dell’indagine - oltre ad acclarare che lo spostamento dei migranti avveniva dietro corresponsione di consistenti somme di denaro sfruttando circuiti internazionali di money transfer - hanno evidenziato i collegamenti di uno dei soggetti denunciati con una più vasta organizzazione specializzata nel trasporto migranti con base in Romania.
L’indagine si è quindi sviluppata in cooperazione di polizia e giudiziaria con le Agenzie Europol e Eurojust, per via delle convergenze investigative rilevate nell’ambito delle indagini “Dèjà-Vu” e “Prince”, condotte rispettivamente dal ROS e dalla Polizia romena.
La collaborazione tra i due uffici di polizia ha quindi consentito di ricostruire gli assetti di una associazione criminale transnazionale dedita alla tratta di persone e all’immigrazione clandestina, di identificare i vertici in 3 pakistani residenti in Romania e altri 15 tra pakistani e romeni incaricati della gestione e del trasporto dei migranti in territorio romeno, italiano e austriaco.
In particolare, i clandestini dapprima venivano fatti entrare in Romania, utilizzando visti di lavoro per assunzioni fittizie presso aziende riconducibili all’organizzazione, per poi essere trasferiti, nascosti a bordo di mezzi pesanti, in Italia ed Austria con la collaborazione di altri sodali pakistani e rumeni legalmente residenti nei citati paesi.
20 maggio 2024
Traffico illecito di rifiuti
Comando Provinciale di Frosinone - Frosinone, 20/05/2024 08:33
In data 20/05/2024 la Squadra Mobile della Questura di Frosinone e il Nucleo Investigativo di Polizia Ambientale Agroalimentare e Forestale (N.I.P.A.A.F.) del Gruppo Carabinieri Forestale di Frosinone hanno dato esecuzione ad un’ordinanza di applicazione di misure cautelari, emesso dal GIP presso il Tribunale di Roma su richiesta della competente Procura – DDA, consistente in 9 arresti domiciliari, sequestro preventivo di 4 società, sequestro preventivo del profitto pari a circa 2.500.000,00 di euro.
Sono indagate 41 persone fisiche e 9 persone giuridiche, residenti in diverse regioni d’Italia, per i seguenti reati: associazione a delinquere finalizzata al traffico illecito di rifiuti, attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti, traffico illecito transfrontaliero di rifiuti, smaltimento illecito di rifiuti, sostituzione di persona e trasferimento fraudolento di valori.
La presente indagine, condotta dalla Squadra Mobile della Questura di Frosinone e dal N.I.P.A.A.F. di Frosinone, e coordinate dalla DDA della Procura di Roma, trae origine dal procedimento penale N° 2956/19 Mod. 21 della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Frosinone, iscritto nell’apposito registro di quella Procura a seguito del vastissimo incendio divampato il 23 giugno 2019 all’interno di un impianto di rifiuti ubicato nell’area industriale di Frosinone, specializzato nel recupero e nel riciclaggio di rifiuti solidi urbani ed industriali. Dagli accertamenti eseguiti sulla gestione dei rifiuti da parte della società affiorava una consolidata associazione finalizzata al traffico illecito di rifiuti per la quale è stato ipotizzato il reato ex art. 452 quaterdecies c.p. per cui il fascicolo veniva trasferito, per competenza, alla Direzione Distrettuale Antimafia di Roma. Dall’attività svolta, infatti, è emersa una forte e stabile collaborazione tra gli amministratori (occulti) dell’impianto di Frosinone andato distrutto, le varie società campane che conferivano i rifiuti all’impianto e i gestori dei tanti impianti di smaltimento e recupero finale degli stessi, in primis un impianto di rifiuti di Cisterna di Latina (LT).
In particolare è emerso come, dal primo gennaio del 2019, all’interno della compagine societaria fosse entrato un noto imprenditore frusinate il quale aveva sostanzialmente cambiato il core business di detta società. Invero, attraverso diverse società di intermediazione campane, l’imprenditore era riuscito ad accettare dalla Campania ingenti quantità di rifiuti che, invece, dovevano essere lavorati in quella Regione.
In particolare l’imprenditore, con i suoi collaboratori e con le società di intermediazione, sfruttando le criticità del sistema di gestione dei rifiuti urbani della regione Campania, consentivano l’abusiva uscita dall’ambito regionale campano di ingenti quantità di rifiuti facendoli confluire presso l’impianto di Frosinone.
Il passaggio transregionale del rifiuto campano veniva effettuato mediante l’artificioso cambiamento del codice identificativo (EER) del rifiuto. I rifiuti urbani venivano riclassificati in rifiuto speciale senza subire un trattamento che ne modificasse realmente le caratteristiche e la composizione (soprattutto senza la stabilizzazione della frazione organica), rendendo in tal modo smaltibile tale rifiuto fuori regione, e aggirando così la normativa che vieta lo smaltimento dei rifiuti urbani fuori dalla regione di provenienza.
Insomma la cooperazione tra gli indagati, in violazione degli art. 182 comma 3 e art. 182 bis del D. Lgs. 152 del 2006, che prevedono il divieto di smaltimento dei rifiuti urbani “in regioni diverse da quelle dove gli stessi sono prodotti” e il “principio di autosufficienza”, avrebbe permesso, attraverso l’ulteriore sostegno di vari intermediari, lo smaltimento di rifiuti urbani (con un trattamento che non ne muta le caratteristiche) fuori dalla regione Campania sotto la qualificazione CER 19 12 12, con il conseguimento di un ingiusto profitto per tutte le parti coinvolte. Come noto, i rifiuti che rientrano sotto la classificazione CER 19 12 12 sono difficili da gestire ed hanno un costo di smaltimento molto elevato.
Ciò avrebbe permesso, attraverso la gestione illecita, di garantire profitti non solo alla società conferitrice, ma anche agli intermediari e all’impianto ricevente.
Inoltre, a prescindere dal fatto che le società e gli impianti erano in possesso delle preziose autorizzazioni alla gestione dei rifiuti misti (CER 19 12 12), trattandosi di rifiuti urbani essi erano da considerarsi di natura diversa rispetto a quanto dichiarato.
In definitiva i rifiuti provenienti dalla Campania, da qualificarsi invece come “urbani” nonostante il cambio del codice identificativo EER, transitavano con semplici operazioni di stoccaggio (senza dunque alcun trattamento) presso l’impianto di Frosinone, al fine di farne perdere le tracce; da qui venivano poi trasportati in altro impianto sito in Cisterna di Latina (LT), e da qui, senza ulteriore trattamento, smaltiti come scarti di lavorazione presso una discarica di Colleferro.
Inoltre dalla lettura dei formulari di identificazione dei rifiuti accettati presso l’impianto di Frosinone emergeva che molti di questi non risultavano essere accompagnati da analisi e rapporti di prova, rendendo così sconosciuta la reale composizione dei rifiuti stessi. Il totale del quantitativo dei rifiuti erroneamente classificati ammonta a circa 2.550 tonnellate.
L’imprenditore, attraverso i suoi collaboratori, riusciva insomma a controllare, pur non comparendo personalmente, l’impianto di Frosinone, utilizzandolo come sito di stoccaggio dei rifiuti provenienti dalla Campania, e intrattenendo rapporti con il rappresentante dell’impianto di destinazione sito in Cisterna di Latina.
Le indagini hanno accertato che l’incendio dell’impianto di Frosinone non ha segnato la fine del traffico illecito dei rifiuti: l’organizzazione delineatasi intorno all’impianto ciociaro, con a capo un imprenditore locale ed un imprenditore campano quali dominus occulti, ha continuato ad operare su tutto il territorio nazionale ed anche internazionale.
I due infatti, forti delle loro conoscenze in quell’ambito, hanno continuato la loro attività di intermediazione ed al contempo si sono dedicati alla ricerca di un sito da trasformare nel nuovo centro dei loro affari.
Dopo un iniziale interesse per un sito a Varese, la scelta è caduta su un capannone ad Aviano (PN) gestito da una società in liquidazione.
Le accurate ed articolate indagini condotte dalla Squadra Mobile e dal N.I.P.A.A.F. di Frosinone hanno fatto emergere che, dopo il sequestro del sito, l’attività illecita di cui all’art. 452-quaterdecies c.p. è stata delocalizzata pertanto dall’impianto di Frosinone presso l’analogo stabilimento in Aviano (PN), operante nel medesimo settore.
In particolare, il sito di Aviano, in violazione delle prescrizioni riportate nell’autorizzazione detenuta dalla società e delle normative che regolamentano la gestione dei rifiuti, veniva stabilmente utilizzato per stoccare abusivamente ingenti quantitativi di rifiuti misti di ogni genere, compresi quelli ospedalieri oltre a quelli organici, accatastati ben oltre la capacità consentita, falsamente indicati come plastica e gomma (CER 19.12.04), provenienti da svariati impianti dislocati sul territorio nazionale.
Parte dei rifiuti accumulati presso il citato impianto, inoltre, senza essere sottoposti alla benché minima operazione di selezione o di cernita, venivano poi illegalmente redistribuiti presso ulteriori impianti gestiti da soggetti compiacenti, siti anche al di fuori dei confini nazionali, come in Ungheria o Repubblica Ceca, con il medesimo stratagemma della falsificazione del codice CER identificativo della tipologia dei rifiuti.
Alla luce di quanto emerso, in data 12.10.2021 la dipendente Squadra Mobile ha dato esecuzione al decreto di perquisizione personale, locale, di sistemi informatici e telematici presso le sedi delle aziende coinvolte nell’illecita attività, disposto dalla Direzione Distrettuale Antimafia della Procura della Repubblica di Roma, ed eseguendo nella circostanza il sequestro finalizzato alla confisca dell’impianto di Aviano, per un valore di oltre 2.000.000 di euro, divenuto ormai saturo con circa 8500 tonnellate di rifiuti stipati nell’intera area, con il rilevante pericolo di una possibile combustione degli stessi.
A coronamento dell’attività investigativa espletata, nella giornata odierna la locale Squadra Mobile e il personale del Nucleo Investigativo di Polizia Ambientale e Forestale, ha dato esecuzione all’ordinanza di misure cautelari emessa dall’A.G. competente nei confronti dell’organizzazione criminale riconoscendo il reato di traffico illecito di rifiuti aggravato ex artt. 416 - 452 quaterdecies – 452 octies e 452 novies c.p..
Nello specifico è stata eseguita la misura cautelare degli arresti domiciliari nei confronti di 9 soggetti residenti tra il Lazio, la Campania ed il Friuli, oltre al sequestro preventivo finalizzato alla confisca diretta delle somme corrispondenti al profitto del reato ovvero il sequestro di beni di valore equivalente nei confronti di 4 società operanti nel settore per un ammontare di circa 450.000 euro; il sequestro preventivo impeditivo e finalizzato alla confisca ex art. 452 quaterdecies comma 5 c.p. delle aziende e delle quote sociali delle 4 società stanziali nel Lazio ed in Campania nonché il sequestro preventivo funzionale alla confisca diretta delle somme corrispondenti al profitto del reato nei confronti degli autori delle condotte illecite, in contanti ovvero giacenti sui rapporti finanziari attivi ad esso riconducibili, per una somma complessiva pari a circa 2.500.000 euro.
Il comunicato viene effettuato nel rispetto del D.L. 106/2006, così come modificato dal D.L. 188/2021, in quanto ricorrono “specifiche ragioni di interesse pubblico” che lo giustificano per la particolare rilevanza pubblica dei fatti oggetto di accertamento e per le esigenze costituzionalmente tutelate connesse al diritto all’informazione, al fine di fornire notizie in modo trasparente e rispettoso dei diritti degli indagati e delle parti offese, con presunzione di innocenza degli indagati fino a sentenza definitiva.
3 gennaio 2025
C3 – Combating Cyber Crime: prevenzione e contrasto dei crimini informatici. L’impegno della Polizia di Stato nel report 2024 della Polizia Postale e per la Sicurezza Cibernetica
SEZIONE OPERATIVA
In Friuli Venezia Giulia, con riferimento ai reati contro la persona, sono state denunciate 12 persone per minacce e diffamazioni compiute sul web, eseguite 3 perquisizioni locali personali ed informatiche, e monitorati 216 spazi virtuali. Sono inoltre stati trattati 27 casi di sextortion, di cui 24 con vittime di sesso maschile. Tre, invece, i casi di revenge porn, che hanno portato all’esecuzione di due perquisizioni personali e locali ed altrettante denunce di soggetti.
Trattati inoltre 62 casi di sostituzione di persona commessi utilizzando il web, che hanno portato alla denuncia di 10 soggetti.
CENTRO NAZIONALE ANTICRIMINE INFORMATICO PER LA PROTEZIONE DELLE INFRASTRUTTURE CRITICHE (CNAIPIC)
L’azione del Centro Operativo per la Sicurezza Cibernetica del Friuli Venezia Giulia, nel settore della protezione dagli attacchi informatici verso le infrastrutture critiche informatizzate del territorio regionale, si è parimenti espressa nell’attività di prevenzione a favore di realtà pubbliche e private. Inoltre, questo Centro Operativo, nel 2024, ha gestito circa 210 attacchi informatici diretti a privati ed aziende perpetrati mediante accesso abusivo a sistema informatico, DDos, Phishing e Ramsonware.
CYBERTERRORISMO
Per quanto riguarda l’attività del C.O.S.C. Friuli Venezia Giulia, nel 2024 sono stati monitorati, con finalità di prevenzione, circa 3800 spazi web.
FINANCIAL CYBERCRIME
In tale contesto, si segnala che il Centro Operativo per la Sicurezza Cibernetica del Friuli Venezia Giulia ha bloccato e recuperato di un totale di € 160.000, nel periodo di riferimento, inerenti ad alcune truffe attuate con la tecnica del falso operatore bancario, che contatta la vittima riferendo di dover effettuare delle operazioni per la sicurezza del conto. Gli importi erano stati precedentemente bonificati verso conti correnti nella disponibilità di truffatori.
Sono state denunciate complessivamente 96 persone per truffe online e frodi informatiche relative a smishing, BEC, falsi siti di ecommerce e proposte-truffa di trading online. Sono stati inoltre monitorati 487 spazi virtuali fraudolenti.
COMMISSARIATO DI P.S. ONLINE E CAMPAGNE DI PREVENZIONE
In Friuli Venezia Giulia, mediante la preziosa collaborazione delle istituzioni scolastiche e universitarie, a livello locale e Regionale, sono stati organizzati numerosi incontri e seminari che hanno permesso di incontrare ben 68 scuole, per un totale di circa 8.200 alunni, 600 professori, 230 genitori. Sono stati effettuati, inoltre, numerosi incontri con la cittadinanza in convegni e seminari tematici, a cui hanno partecipato circa 1000 cittadini.
24 gennaio 2025
Ricevono, da 53 comuni, quasi un milione di euro per visite mediche inesistenti e cani già deceduti. Pordenone - Sequestrati ai gestori di un canile 27 conti correnti e 21 immobili
I Finanzieri del Comando Provinciale di Pordenone hanno sequestrato, su ordine della Corte dei Conti, più di 986.000 € a due coniugi gestori di un canile situato nel Friuli Occidentale.
Le indagini delle Fiamme Gialle del Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria di Pordenone hanno analizzato gli ingenti contributi pubblici elargiti al canile, tra il 2011 ed il 2020, da ben 53 Comuni situati tra Friuli Venezia Giulia, Veneto e Puglia, per garantire il benessere degli animali ospitati, scoprendo che 986.846 euro riguardavano prestazioni veterinarie, invero certificate, mai erogate, e che, tra gli animali indicati come “ospiti” della struttura, ne figuravano 152 in realtà, tenuti, in pessime condizioni igienico-sanitarie, presso l’abitazione della coppia, di cui 132 già deceduti.
Oltre a riferire i fatti alla Procura della Repubblica di Pordenone – che ha, di recente, rinviato a giudizio i due per il reato di truffa continuata ai danni di Enti territoriali – le Fiamme Gialle pordenonesi hanno segnalato il rilevante danno erariale alla Procura Regionale della Corte dei Conti presso la Sezione Giurisdizionale per il Friuli Venezia Giulia, sotto la cui direzione, hanno, quindi, fedelmente ricostruito il flusso dei contributi percepiti dal canile negli ultimi dieci anni.
A conclusione delle indagini di polizia contabile, la Procura contabile ha chiesto, con ricorso, al Presidente della Sezione Giurisdizionale della Corte dei Conti per il Friuli Venezia Giulia, che lo ha autorizzato, il sequestro conservativo dell’importo indebitamente ricevuto dai coniugi, eseguito – dai Finanzieri pordenonesi e dagli Ufficiali Giudiziari dei competenti uffici UNEP – su 27 rapporti bancari e 21 beni immobili, tra cui lo stesso canile e la villa di lusso di proprietà.
L’indagine testimonia l’efficacia dell’azione posta in essere dalla Magistratura contabile e dalla Guardia di Finanza nel contrasto di tutti quegli illeciti che pregiudicano la tutela degli interessi erariali comunitari, nazionali e degli Enti locali.
22 marzo 2025
Truffe agli anziani: operazione “Fumo del Vesuvio” arresti e sequestri
Comando Provinciale di Trieste - Trieste, 22/03/2025 12:32
Nel rispetto dei diritti delle persone indagate e del principio di presunzione di innocenza, per quanto risulta allo stato, salvo ulteriori approfondimenti e in attesa del giudizio, si comunica quanto segue.
Si è tenuta oggi una conferenza stampa congiunta tra la Procura della Repubblica e il Comando Provinciale dei Carabinieri per fare il punto sulla indagine sulle truffe agli anziani a cui è stato dato il nome “Fumo del Vesuvio”.
A seguito di un notevole incremento del fenomeno, il Nucleo Investigativo del Comando Provinciale CC di Trieste, diretto dalla locale Procura della Repubblica, ha posto in essere sinergiche indagini, supportate da adeguata attività preventiva, finalizzata a contrastare tale esecrabile reato sul territorio.
L’attività prende le mosse all’inizio dell’estate del 2023. Se infatti i primi mesi di quell’anno avevano fatto registrare un numero relativamente esiguo di casi, da giugno gli episodi si moltiplicano evidenziando un’emergenza che era imperativo contenere. Proprio questa maggiore attenzione, di concerto con i Comandi Stazione, conduce all’individuazione e all’arresto di un individuo riconosciuto autore, tra le altre, di una truffa perpetrata a Prosecco. L’evento permette un ulteriore sviluppo degli elementi acquisiti e consente di individuare due donne che, giungendo in treno a Trieste, avevano il ruolo di prelevare le somme racimolate dalle vittime in seguito al raggiro operato al telefono da un fantomatico avvocato (a volte Maresciallo dei Carabinieri) che minacciava ingiuste conseguenze per un grave incidente stradale causato da un congiunto. Questa infatti, con diverse sfumature, la trama della truffa in cui iniziavano a cadere decine di soggetti anziani.
Proseguendo nell’attività investigativa, sempre a stretto contatto con la Procura della Repubblica, si perviene all’arresto di F.G., 45enne di origini campane che, in sede di interrogatorio, rivela il modus operandi, i vari passaggi ed i vari ruoli del disegno criminale.
In sintesi viene individuata una zona da “attaccare” che gli “esattori” ovvero chi preleva le somme dalle vittime, raggiungono nella prima mattinata. In quello stesso momento i “centralinisti” ovvero chi effettivamente effettua la chiamata telefonica, iniziano a battere il territorio effettuando decine di chiamate fino a quando, la malaugurata vittima, non cade nel tranello. Gli “esattori” nel frattempo attendono indicazioni per raggiungere l’abitazione della vittima, dove prelevano i proventi del reato e facendo rientro alla base a termine giornata o anche immediatamente se un colpo è andato particolarmente bene. Molto spesso ci si è chiesti se sul territorio possano operare dei basisti. La mancanza di evidenze in questo senso ed il fatto che le varie batterie operino indistintamente in tutta Italia porta a ritenere che questa specifica figura non faccia parte dell’organizzazione. È invece verosimile che la scelta del territorio da “attaccare” sia preceduta da un cospicuo lavoro di raccolta informazioni operato da soggetti altamente specializzati che operano un incrocio fra tutte le notizie personali reperibili in rete tra Banche dati e social network. Particolarmente interessante il fatto che gli “esattori” vengano pagati a giornata, con una somma pari a 150 euro, indipendentemente dall’ammontare raccolto.
Dalle due donne e dal 45enne partono due filoni di indagine apparentemente separati che conducono gli investigatori a scoprire un considerevole numero di “esattori” e finanche alcuni centralinisti. Molti di loro, sussistendo le condizioni di legge sono finiti in manette, altri sono stati deferiti in stato di libertà. I due filoni hanno continuato a correre autonomamente fino a quando non sono emersi alcuni elementi di convergenza, tra i quali sicuramente l’origine campana dei soggetti individuati, l’identificazione di centralinisti comuni ai due gruppi come anche l’uso di medesime autovetture. Questo ha consentito di allargare ulteriormente il quadro investigativo con il coinvolgimento dell’Arma di Napoli che ha fornito un eccellente collaborazione in termini di informazioni e supporto. Si è quindi tentato di salire ulteriormente nella piramide criminale giungendo agli organizzatori ovvero alle menti del piano delittuoso con la sensazione di muoversi, da un punto di vista investigativo, in un ambiente di criminalità organizzata.
Proprio questo ulteriore passo in avanti ha consentito di individuare ulteriori soggetti ma soprattutto di scoprire e in alcuni casi di prevenire truffe perpetrate in tutto il Nord Italia, sicuramente in Friuli VG, ma anche in Veneto, Lombardia, Piemonte, Emilia Romagna e Marche. Complessivamente, al momento, sono stati arrestati 10 soggetti, altri 29 denunciati in stato di libertà, scoperte 38 truffe e recuperati circa 150.000 euro di proventi.
L’attività investigativa è tuttora in corso ed ha, come obiettivo, gli organizzatori del sistema criminale, ma d’intesa con la Procura si è ritenuto opportuno comunicare i progressi investigativi per portare la cittadinanza a conoscenza dell’attenzione che le Istituzioni pongono al disdicevole fenomeno.
Gli anziani infatti, spesso soli, sono facili vittime di malintenzionati pronti a sfruttare la loro buona fede e le loro vulnerabilità. Sebbene si tratti di un fenomeno nazionale, a Trieste assume un carattere particolarmente significativo, attesa la composizione demografica della popolazione residente.
Le indagini hanno acclarato l’esistenza di una strutturata di tipo piramidale che vede alla base gli esattori, al centro i telefonisti e al vertice gli organizzatori. I telefonisti sono ubicati in località remote (in particolare nell’area campana) mentre gli esattori operano in loco per l’accaparramento dei proventi dei delitti. Accanto a questi sono presenti altre figure che si occupano del procacciamento di SIM telefoniche intestate fittiziamente a persone ignare, del noleggio di autoveicoli, della ricettazione dei preziosi, del reclutamento di “manodopera” occasionale, etc…
Il Procuratore della Repubblica e i Carabinieri ci tengono a ribadire la massima importanza della collaborazione dei cittadini per eradicare questo fenomeno segnalando immediatamente anche i tentativi subiti ma anche creando una rete di sicurezza per familiari o vicini di casa più fragili.
20 maggio 2025
Applicazione di misure cautelari personali nei confronti di 12 indagati. Firenze - Sequestri preventivi, di beni mobili, immobili e disponibilità finanziarie fino all’ammontare di circa € 1.000.000.
Stante l'interesse pubblico alla conoscenza dei fatti, alla luce della loro rilevanza, si comunica che la Procura della Repubblica - Direzione Distrettuale Antimafia di Firenze, avvalendosi dei militari del Comando Provinciale della Guardia di finanza di Firenze, sta dando esecuzione, tra le Regioni Toscana, Liguria, Campania e Friuli Venezia-Giulia, ad un'ordinanza del Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale del capoluogo toscano che ha disposto l'applicazione di misure cautelari personali nei confronti di 12 indagati ( 5 custodie cautelari in carcere, 5 agli arresti domiciliari e 2 interdizioni con divieto di ricoprire uffici direttivi di persone giuridiche e imprese) e sequestri preventivi, anche per equivalente, ai fini della confisca, di beni mobili, immobili e disponibilità finanziarie fino all'ammontare di circa 1.000.000 di euro.
Le imputazioni provvisorie poste a base del provvedimento cautelare in esecuzione concernono:
- i reati di associazione per delinquere, contestata a cinque indagati, finalizzata alla commissione di reati fiscali per emissione e utilizzo di fatture per operazioni inesistenti (artt. 2 e 8 D.Lgs 74/2000) ed auto-riciclaggio (art. 648-ter I c.p. ), reato contestato nella forma aggravata ex art. 416-bis I co. c.p. per la finalità di agevolare una associazione camorristica in vista della sua riorganizzazione sul territorio toscano;
- il reato di estorsione (629 c.p.), aggravato dal metodo mafioso a causa del metodo adoperato nei confronti delle vittime;
- reati fiscali per emissione e utilizzo di fatture per operazioni inesistenti (art!. 2 e 8 D.Lgs 74/2000) ed auto-riciclaggio (art. 648-ter I c.p.), aggravati ex art. 416 bis I c.p. stante la finalità di agevolare una associazione camorristica;
- violazioni delle disposizioni del Testo Unico in materia di immigrazione (art. 12 co. III D.Lvo
286/1998).
Elenco comunicati significativi su criminalità comune
18 febbraio 2020
Rapine in villa: arrestata banda specializzata in furti in abitazione
Comando Provinciale di Forlì - Forlì (FC), 18/02/2020 14:00
Nei giorni scorsi, a Lignano Sabbiadoro (UD), i Carabinieri del Nucleo Investigativo di Forlì-Cesena e del NORM della Compagnia di Meldola, hanno tratto in arresto, in collaborazione con i colleghi della provincia di Udine, per concorso in sequestro di persona, rapina aggravata e lesioni personali aggravate, 4 albanesi, autori di una violenta rapina ai danni di un 80enne, aggredito all’interno della sua abitazione. Gli arrestati sono giovani di nazionalità albanese, dai 26 ai 30 anni.
Nel medesimo contesto, i militari forlivesi hanno notificato un decreto di fermo di indiziato di delitto, emesso dalla Procura della Repubblica di Forlì (Procuratore dott.ssa Maria Teresa Cameli e Sost. dott. Claudio Santangelo), nei confronti di due dei quattro giovani, perché ritenuti gli autori della rapina avvenuta il 10 gennaio scorso a Civitella di Romagna, ai danni di un noto imprenditore della zona, anch’egli aggredito nel cuore della notte all’interno del giardino della sua villa, mentre stava rincasando.
Durante la prima rapina, il forlivese era stato aggredito da alcuni uomini travisati da mascherine all’interno del giardino di casa, subito dopo che lo stesso era rientrato in auto e aveva staccato l’allarme dell’abitazione. I malviventi, dopo averlo picchiato, minacciato di ucciderlo con un cacciavite alla gola e immobilizzato con nastro isolante lo hanno derubato di alcuni preziosi (bracciali, anelli e un orologio d’oro) e di contante rinvenuto all’interno della camera da letto. L’imprenditore era stato poi chiuso in uno stanzino ancora legato e imbavagliato.
Solo dopo molti tentativi, dopo più di un’ora, la vittima era riuscita a comporre il 112 sul suo cellulare, ancora legata con le mani dietro la schiena, utilizzando un cacciavite tenuto in bocca.
Le indagini, immediatamente avviate, si sono orientate verso un gruppo di albanesi gravitanti nel capoluogo forlivese, frequentatori di alcuni locali notturni della zona e già sospettati di essere autori di attività illecite.
Successivamente è emerso che i rapinatori avevano seguito ripetutamente l’uomo nei suoi spostamenti in provincia, verosimilmente per acquisire informazioni sulle sue abitudini e sui suoi orari di rientro a casa, fino a quando non hanno avuto l’occasione giusta per intervenire e mettere a segno la rapina.
L’acquisizione delle telecamere presenti nelle zone di interessa ha permesso di individuare alcune autovetture di possibile interesse investigativo collegate ai sospettati.
Inoltre è emerso il fatto che i sospettati frequentavano saltuariamente la zona di Portogruaro e Lignano Sabbiadoro, verosimilmente per svolgervi alcuni loro traffici illeciti, aiutati in questo da uno o più basisti/favoreggiatori del posto.
Durante una di queste trasferte in Friuli, nello specifico, nella notte tra il 13 e il 14 febbraio scorsi, poco prima dell’una di notte è giunta alla centrale operativa della Compagnia CC di Latisana (UD) la segnalazione di una rapina all’interno dell’abitazione del centro di Lignano Sabbiadoro.
La vittima, titolare di un noto esercizio pubblico della località marittima, era stato aggredito appena rientrato in casa da due uomini travisati, verosimilmente dell’Est Europa. I rapinatori, dopo averlo malmenato, imbavagliato e legato con del nastro adesivo, hanno sottratto circa duemila euro in contanti e alcuni telefoni. La vittima solo dopo un’ora è riuscita, facendo rumore in casa, ad attirare l’attenzione di una vicina che è entrata nell’appartamento trovandola ancora legata.
Sulla base delle informazioni già in possesso, il gruppo di albanesi residenti nel forlivese era fortemente sospettato di avere condotto anche questo raid. Incrociando le informazioni dei diversi reparti, l’attenzione si è spostata verso un italiano residente a Lignano, già sospettato di avere agito quale basista per diversi colpi avvenuti in passato. Lo stesso aveva lavorato per la vittima nel suo locale, ma ne era stato cacciato.
Rintracciata la sua abitazione, gli operanti, con il rinforzo di altri colleghi giunti dal Comando Provinciale di Udine, si sono appostati nei pressi dell’appartamento, una piccola mansarda all’ultimo piano di un condominio, in attesa che qualcuno uscisse.
Dopo alcune ore, infatti, due uomini sono usciti dal condominio, tranquilli e senza fretta, ormai sicuri che nessuno li stesse cercando.
Riconosciuti dai militari di Forlì come gli albanesi sospettati di essere gli autori della rapina di Civitella, sono stati subito bloccati. la perquisizione condotta all'interno della mansarda ha permesso di trovare un terzo uomo nascosto all’interno di un armadio.
Ulteriori pattuglie in borghese hanno poi battuto strada per strada tutta Lignano Sabbiadoro fino a quando non hanno localizzato l’auto intestata all’italiano del posto, parcheggiata fuori da un bar. Entrati in forze hanno trovato e bloccato l’uomo, in compagnia di un quarto albanese, che aveva anch’egli partecipato alla rapina della notte.
A conclusione degli accertamenti, quindi, 4 albanesi sono stati arrestati in “quasi flagranza” di reato, per la rapina della notte precedente, mentre l’italiano è stato deferito in stato di libertà per favoreggiamento, avendo dato loro alloggio nella sua abitazione.
Contestualmente, da Forlì, il dott. Claudio Santangelo, dopo essersi coordinato con il collega del capoluogo friulano, ha trasmesso i suoi decreti di fermo di indiziato di reato, notificati a due degli albanesi del gruppo, ritenuti responsabili per la rapina di Civitella di Romagna del 10 gennaio scorso.
Infine, uno di questi ultimi è stato anche arrestato per violazione della legge Bossi-Fini, in quanto dalla comparazione della impronte è emerso che si trova in Italia clandestinamente, non avendo ottemperato a una precedente espulsione dal territorio nazionale.
I provvedimenti pre-cautelari sono stati convalidati dall’Autorità Giudiziaria friulana. I rapinatori sono tuttora reclusi nella Casa Circondariale di Udine, in attesa del processo.
12 maggio 2021
Pordenone: presa la banda dei distributori
La Squadra mobile di Pordenone ha individuato e arrestato i componenti di una banda specializzata in assalti con le ruspe a distributori di carburante nelle aree di servizio del Nord Italia.
L’operazione di Polizia portata a termine questa mattina è stata coordinata dal Servizio centrale operativo (Sco) e dal Servizio cooperazione internazionale di Polizia (Scip) e ha interessato l’esecuzione di un mandato di arresto europeo nei confronti di 4 persone di nazionalità rumena.
Due sono stati arrestati in Romania e uno a Trieste mentre il quarto è deceduto lo scorso aprile a Gorizia durante un inseguimento con le Forze dell’ordine, dopo aver rubato un’auto.
Tra gennaio e aprile di quest’anno la banda aveva messo a segno numerosi colpi in diverse province del Friuli Venezia Giulia, Veneto, Emilia Romagna e Lombardia.
L’indagine metteva in evidenza come gli assalti venissero commessi in serie, con schemi e modalità ben consolidati e collaudati; avvenivano soprattutto nelle ore serali e notturne con delle ruspe con cui asportavano le colonnine self-service contenenti il denaro contante all’interno.
Oltre al furto, l’azione provocava danni anche alla struttura per cui i gestori erano costretti a bloccare l’attività per diversi giorni fino al ripristino degli impianti di erogazione del carburante.
È emerso che il gruppo criminale arrivava in Italia prevalentemente nei fine settimana dalla Romania, individuava l’obiettivo da colpire, e dopo aver rubato ruspe e mezzi necessari sul posto metteva a segno il colpo.
Gli uffici investigativi interessati nell’indagine, attraverso il collaterale organo della Polizia rumena, hanno localizzato gli indagati arrestandoli.
Sono in corso ulteriori accertamenti e riscontri per determinare la responsabilità dei numerosi episodi simili avvenuti anche nelle provincie del Centro Italia ed in altre del Nord.
5 giugno 2021
Dalla Puglia al Veneto per compiere furti, cinque arresti
Arrestate cinque persone appartenenti a un gruppo criminale specializzato in furti di prodotti ittici e vinicoli in aziende dislocate nella zona del Veneto orientale e del Friuli Venezia Giulia.
I cinque partivano dalla zona del Cerignolese (Foggia), viaggiando con più autovetture e camion, e dopo aver depredato i depositi delle zone industriali del Nord-Est, tornavano in Puglia dove la merce veniva venduta. Ognuno di loro ricopriva ruoli ben specifici: autisti di autovetture staffetta e dei veicoli industriali per il trasbordo della merce, facchini per il carico e scarico della merce e vedette per controllare l’eventuale arrivo delle forze di Polizia.
L’indagine che ha portato alla scoperta dei ladri, è partita nel settembre 2019 dopo che i malviventi, per evitare i controlli di una pattuglia della Polizia stradale sull’A/13, si erano dileguati abbandonando il furgone sul quale viaggiavano, carico di prodotti ittici del valore di 300 mila euro, rubati nella notte da una ditta di Torre di Mosto (Venezia).
L’analisi dei dati sui transiti autostradali e i lunghi pedinamenti, hanno consentito agli investigatori di individuare tutti i componenti dell’organizzazione, i veicoli utilizzati per il trasporto della merce rubata e di definire il loro modus operandi.
Durante gli appostamenti notturni, nei quali il gruppo è stato seguito anche nel territorio friulano, i poliziotti hanno documentato i tentativi di entrare all’interno di una ditta di prodotti ittici di S. Giorgio di Nogaro (Udine) e in una azienda vinicola nella zona di Noventa di Piave (Venezia) dove i malviventi, scoperti dai poliziotti, hanno abbandonato due camion carichi di merce e sono fuggiti nelle campagne limitrofe.
26 giugno 2023
Blitz contro banda di ladri in Veneto
PADOVA, 26 GIU - Sono 48 le ipotesi di reato imputate ai cinque indagati, presunti componenti di una banda che compiva raid in concessionarie, abitazioni e negozi del Veneto, nei cui confronti la Procura ha chiesto e ottenuto dal Gip due ordini di custodia cautelare in carcere a carico di un moldavo 30enne e di un rumeno 26enne, gia' detenuti, e tre obblighi di dimora nel comune di residenza, in provincia di Padova. L'indagine, svolta dai carabinieri del Comando provinciale di Padova, e' stata avviata dal furto di due veicoli in una concessionaria di Cittadella (Padova) e un successivo furto in una ditta di Casale sul Sile (Treviso), consumati a ottobre. Gli accertamenti hanno portato a individuare uno dei presunti responsabili di questi e di altri due furti, a un'abitazione e a una farmacia, che e' stato fermato ad Asti. Per questi fatti l'uomo e' stato gia' condannato a 3 anni e 6 mesi di reclusione. Da questo e' stata individuata una banda di cittadini romeni e moldavi dedita a furti di auto, ai danni di bar e tabacchi annessi a stazioni di servizio, e assalti alle casseforti di supermercati. Con i veicoli rubati a concessionarie o a privati, principalmente in Veneto ma con puntate anche in Friuli, compivano piu' azioni per notte. Il presunto "capo", un moldavo 30enne, era gia' sottoposto alla misura dell'affidamento in prova ai servizi sociali. A novembre due indagati sono stati intercettati dalla Polizia Stradale di Arezzo sull'A1 a bordo di un veicolo rubato. Ne nasceva un inseguimento nel corso del quale i fuggitivi dapprima hanno speronato i poliziotti per poi scappare a piedi; a bordo dell'auto abbandonata sono state trovate 4.289 confezioni di sigarette del valore di circa 24.000 euro. A dicembre, la Polstrada di Verona ha intercettato lungo l'A4 un veicolo rubato ad Arzergrande (Padova) con inseguimento e fuga contromano, concluso con tuffo nelle acque del Mincio; mentre uno e' stato recuperato dalle acque e tratto in arresto per resistenza, l'altro e' scappato. Ancora, il 7 dicembre scorso i carabinieri di Piove di Sacco (Padova) hanno effettuato un blitz nel covo della banda, trovando refurtiva per oltre 80.000 euro tra sigarette, profumi, tabacchi, alcolici, pneumatici, biglietti "gratta e vinci". Due donne, ritenute custodi della merce, sono state denunciate per ricettazione. In tutto sono stati sequestrati e restituiti ai proprietari 14 veicoli, per un valore di 250.000 euro circa, piu' di 10.000 pacchetti di sigarette, 5.000 euro in contanti e refurtiva varia per circa 150.000 euro. (ANSA).
11 agosto 2023
La Polizia di Stato di Udine ha eseguito 3 ordini di carcerazione per 4 rapine a danno di cittadine cinesi
La Polizia di Stato di Udine ha arrestato due cittadini italiani ed un cittadino sloveno, destinatari della misura cautelare personale emessa dal GIP del Tribunale di Udine, gravemente indiziati per rapine commesse nei mesi di giugno e luglio di quest’anno in danno di quattro esercizi commerciali gestiti da cittadine cinesi.
L’attività investigativa condotta da personale della Squadra Mobile della Questura di Udine, con il coordinamento della locale Procura della Repubblica, ha permesso di far luce su 4 rapine accadute a Udine e provincia nei mesi di giugno e luglio di quest’anno.
In particolare i tre soggetti, due cittadini italiani di 21 e 18 anni ed un cittadino sloveno di 38 anni, residenti nel capoluogo ed in provincia, legati da vincoli di amicizia, sono gravemente indiziati di aver commesso quattro rapine in danno di altrettanti centri massaggi cinesi, a Udine il 10 giugno, a Manzano il 13 giugno con intervento e sopralluogo degli agenti del Commissariato di PS di Cividale del Friuli, a Tricesimo l’1 luglio ed a Codroipo il 3 luglio scorsi.
Gli investigatori, nonostante la reticenza delle vittime, giovani straniere intimorite dall’accaduto e dalla paura di ritorsioni, sono riusciti a raccogliere elementi di riscontro che hanno consentito di attribuire i fatti in trattazione agli indagati: in una delle rapine, quella di Manzano, vi sono le riprese delle telecamere dell’esercizio commerciale che hanno immortalato gli autori e la loro azione violenta.
I rapinatori agivano con violenza e determinazione, alcune volte travisati ed altre a volto scoperto, a dimostrazione della sfrontatezza e della forza intimidatoria posta in essere verso le fragili donne.
La conoscenza del territorio, e soprattutto dei soggetti che potevano aver agito in tali contesti, ha consentito in brevissimo tempo di identificare alcuni dei presunti autori, segnalandoli alla locale Procura della Repubblica, che ha richiesto al Tribunale un provvedimento cautelare, eseguito mercoledì, stante l’esigenza di impedire al più presto la reiterazione dei reati: il cittadino sloveno, peraltro, proprio quel giorno stava raggiungendo l’aeroporto di Venezia per volare all’estero, ed è stato fermato all’area di servizio “Fratta” dagli uomini della Squadra Mobile, con l’ausilio di una pattuglia della Polizia Stradale di Udine.
Con l’occasione, non potendo escludere che non siano state compiute o tentate altre rapine, a volte non denunciate, la Polizia di Stato sollecita coloro che ne fossero stati vittima a denunciare l’accaduto in Questura, dove prosegue l’attività di polizia giudiziaria volta ad individuare tutti i responsabili dei reati ascritti.
28 marzo 2025
A bordo di un’auto rubata con passamontagna e arnesi occultati: arrestato dalla Polizia di Stato
Durante la notte dello scorso 14 marzo, la Polizia di Stato ha arrestato in flagranza un cittadino sloveno, classe 1996, per aver falsamente declinato le proprie generalità ai pubblici ufficiali, indagandolo inoltre a piede libero, assieme al presunto complice e concittadino trentanovenne, poiché trovati a bordo di un’autovettura rubata con all’interno diversi oggetti atti ad offendere.
Nel corso dell’attività di controllo del territorio, finalizzata alla prevenzione e al contrasto dei reati in genere ed in particolare dei furti in abitazione, la Squadra Volante della Questura di Gorizia, transitando nella centrale via Duca d’Aosta, ha notato la presenza di due persone che hanno insospettito i poliziotti: una nei pressi di un’autovettura in sosta, con targa straniera, intenta ad osservare le abitazioni, l’altra sui sedili posteriori dell’auto.
Avvicinati dagli agenti per un controllo, uno dei due si è dimostrato da subito particolarmente nervoso e per niente collaborativo, fornendo generalità poi rivelatesi false.
In considerazione dell’ingiustificato atteggiamento dell’uomo e del suo tentativo di indurre in errore gli operatori, questi, riscontrando anche nell’immediatezza che la Daewoo Matiz sulla quale si muovevano risultava essere oggetto di un furto, già denunciato dal proprietario, hanno proceduto alla perquisizione personale dei due uomini estendendola al veicolo.
La perquisizione ha dato esito positivo: occultati all’interno di due zaini sono stati rinvenuti dei passamontagna, guanti, una smerigliatrice angolare (flex), un manganello, un coltello, delle pinze, un taglierino, delle torce, cacciaviti e chiavi da lavoro di diversa misura. Tutto il materiale e l’autovettura sono stati posti sotto sequestro.
Alla luce di quanto emerso, il cittadino sloveno, a cui è stato anche notificata la misura di prevenzione del divieto di ritorno nel Comune di Gorizia, è stato tratto in arresto ed associato alla locale Casa Circondariale “Bigazzi” per essere posto a disposizione dell’Autorità Giudiziaria.
In seguito, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Gorizia ha convalidato l’arresto e disposto la misura cautelare del divieto di dimora in tutta la Regione Friuli Venezia Giulia.
Al termine delle attività, il presunto complice è stato denunciato a piede libero per ricettazione e porto di armi od oggetti atti a offendere ed è stato avviato il procedimento per l’irrogazione del provvedimento del Questore del divieto di ritorno nel Comune di Gorizia.
Si specifica che il procedimento penale è ancora nella fase delle indagini preliminari e che vige la presunzione di innocenza delle persone indagate fino a sentenza di condanna definitiva.
Ultima relazione della DIA del 2023
1° SEMESTRE 2023 DIA
FRIULI VENEZIA GIULIA
L’attività economica della Regione, in un momento di crisi generale, ha visto comunque una crescita, con un aumento della produttività, in particolar modo nel settore delle costruzioni e nei servizi, e la conseguente crescita del numero degli occupati.
Tale florido tessuto economico è, dunque, da sempre esposto all’interesse delle consorterie criminali che, avendo a disposizione ingenti capitali da reinvestire, vedono nelle aree a maggior vocazione imprenditoriale un punto d’approdo, con una silente azione di infiltrazione nell’economia legale. Tale assunto, infatti, è confermato dagli esiti di pregresse attività investigative, concluse sul territorio nel corso degli anni, che hanno fatto emergere la presenza e l’operatività di soggetti riconducibili alle storiche estrutturate organizzazioni criminali, quali ‘ndrangheta, cosa nostra, camorra e la criminalità pugliese, sebbene non siano mai state riscontrate nella Regione strutture radicate delle stesse. Aspetto che creerebbe degli spazi di manovra per eventuali tentativi di insediamento, in considerazione della peculiare posizione geografica protesa verso l’area balcanica, da parte di componenti di altri gruppi criminali. Gli esiti di alcune indagini, concluse nel periodo di riferimento sul territorio friulano, appurerebbero infatti l’interesse criminale di gruppi delinquenziali, soprattutto stranieri, operanti nelle più svariate attività illecite (traffico di stupefacenti, favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, compenetrazione nel settore economico-finanziario regionale).
Sempre elevata permane l’attenzione istituzionale sul piano dell’attività preventiva al fine di scongiurare o quantomeno limitare le ingerenze criminali nel settore degli appalti e delle commesse pubbliche, soprattutto in ragione dei consistenti investimenti pubblici in atto e previsti. Invero, nel periodo in esame, è stato emesso un provvedimento prefettizio nei confronti di una società cui quote erano detenute da altra azienda già colpita da un’interdittiva antimafia emessa dalla Prefettura di Treviso.
Provincia di Trieste
Seppur non in forma stanziale, la presenza sul territorio di organizzazioni criminali di tipo mafioso, impegnate a commettere svariati illecitiea permeare un florido tessuto economico come quello triestino,èstataappurata da pregresseattività di indagine.
Nel semestre giova evidenziare l’operazione “Ultimo atto” conclusa dai Carabinieri di Crotone il 16 febbraio 2023 con l’arresto di 31 soggetti ritenuti responsabili di associazione a delinquere di tipo mafioso, estorsione e traffico di armi. L’indagine, che ha disvelato gli attuali assetti e l’operatività nel territorio di Cirò (KR) e zone limitrofe di articolazioni ‘ndranghetiste quali il locale di Cirò (KR) e la ‘ndrina di Strongoli (KR), ha consentito di rintracciare uno degli indagati, ritenuto responsabile del reato di estorsione aggravata dal metodo mafioso, a Trieste dove dimorava e prestava attività lavorativa presso una ditta operativa. all’interno del porto cittadino.
La città di Trieste, data la “strategica” posizione geografica, rappresenta un privilegiato punto di accesso, in Europa occidentale, della c.d. rotta balcanica, notoriamente utilizzata non solo dai narcotrafficanti e ma anche dai sodalizi stranieri impegnati nell’ambito dell’immigrazione clandestina. Riguardo a tali specifici reati si segnalano, in ordine temporale, alcune indagini concluse sul territorio nel semestre in esame. L’operazione “Green Road”, conclusa dalla Guardia di finanza di Trieste12 il 16 febbraio 2023, ha consentito di trarre in arresto 18 nigeriani ritenuti responsabili di traffico internazionale di stupefacenti, sulla rotta Olanda-Nigeria-Etiopia, tramite bodypacker. La droga prima diesseresmerciata venivastoccata presso un’abitazione in periferia di Ferrara, in una zona frequentata da soggetti appartenenti a quella etnia. Le attività investigative hanno altresì consentito di arrestare, in flagranza di reato, altri 30 nigeriani e di sequestrare oltre 100 kg di stupefacente tra eroina, cocaina e marijuana.
Il successivo 10 maggio 2023 la Polizia di Stato a Crotone, nell’ambito dell’operazione “Caronte”, ha disvelato un’organizzazione transnazionale dedita al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e al riciclaggio del denaro. Il sodalizio, articolato su cellule attive in Italia, Turchia e Grecia, si occupava di far giungere i migranti in Italia a bordo di velieri sfruttando il mediterraneo orientale. Sul territorio nazionale sono state riscontrate 7 cellule, tra cui quella triestina ritenuta particolarmente interessante poiché oltre a occuparsi dei transiti di immigrati attraverso la rotta balcanica, gestiva anche la “cassa comune” dell’organizzazione.
Analogamente, l’operazione “The End”, conclusa il 27 giugno 2023 dalla Polizia di Stato di Trieste, ha consentito di disarticolare un sodalizio dedito al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, arrestando 13 kosovari e albanesi, dei quali 10 stabilmente insediati nel capoluogo giuliano, e individuandone ulteriori 13. L’organizzazione era ben strutturata e disponeva di un consistente numero di mezzi per il trasporto dei passeurs al confine Croato-Sloveno e dei clandestini.
Anche sul fronte dell’attività preventiva, le attività di monitoraggio e approfondimento delle situazioni ritenute a rischio di infiltrazioni mafiose hanno consentito al Prefetto di Trieste diemettere, nel mese di giugno 2023, un provvedimento interdittivo antimafia a carico di una società, con sede legale nel capoluogo giuliano, attiva nel settore delle lavorazioni portuali.
Provincia di Gorizia
Nella provincia non si registrala presenza di organizzazioni criminali di tipo mafioso. Tuttavia, la vivacitàeconomica del territorio che annovera, tra le realtà imprenditoriali più importanti, i cantieri navali di Monfalcone, potrebbe suscitare, come accaduto nel passato, l’interesse di soggetti collegati alla criminalità organizzata.
Provincia di Pordenone
Anche in provincia di Pordenone, nel semestre, non è stata riscontrata la presenza di soggetti legati alle storiche consorterie di tipo mafioso. Ciò nonostante, pregresse attività investigative hanno appurato l’operatività di organizzazioni criminali differenti. Ci si riferisce, in particolare, alla criminalità organizzata siciliana, operante anche nel settore edile nonché l’operatività di criminali pugliesi attivi nel narcotraffico.
Sul territorio si riscontra, inoltre, la presenza di sodalizi criminali stranieri, dediti prevalentemente al traffico di stupefacenti.
Provincia di Udine
Sebbene nel semestre non risultano evidenze investigative circa la presenza di sodalizi criminali di tipo mafioso, anche la provinciadi Udine, in passato, è stata interessata all’attivismo di vere e proprie proiezioni di storici sodalizi, quali ‘ndrangheta, cosa nostra e camorra. Risulta, inoltre, l’operatività sul territorio di alcuni gruppi delinquenziali, composti perlopiù da cittadini stranieri, attivi in vari settori criminali. Al riguardo, nell’ambito dell’operazione “Green Road”, incentrata sulle dinamiche di un gruppo criminale nigeriano operante nelle regioni Friuli Venezia Giulia, Veneto, Emilia Romagna, Piemonte e Toscana, è stato possibile individuare alcune direttrici di traffico internazionale di droga, come ad esempio quella Lagos-Addis Abeba-Milano/Roma, utilizzate per rifornire il mercato di spaccio delle Regioni del Nord-Est, tra cui quello che interessa l’area di Udine.
2° SEMESTRE 2023 DIA
FRIULI VENEZIA GIULIA
Provincia di Trieste
La DIA di Trieste, il 31 luglio 2023, nell’ambito dell’operazione "Kanun", ha dato esecuzione al decreto di sequestro preventivo nei confronti di una cittadina albanese, di fatto nullatenente, ritenuta responsabile in concorso con un imprenditore edile di nazionalità kosovara, di riciclaggio e appropriazione indebita aggravata. Inoltre, gli approfondimenti di natura fiscale hanno rilevato che l’imprenditore avrebbe accumulato un debito con l’erario di circa 900 mila euro e, al fine di evitare provvedimenti dell’Agenzia delle entrate volti al recupero della somma, avrebbe effettuato alcuni versamenti in favore della compagna di ingenti somme di denaro espunte dal patrimonio aziendale. Il provvedimento cautelativo ha interessato il sequestro di 5 immobili e quote societarie. Oltre all’esecuzione del citato provvedimento da parte della DIA, la Guardia di Finanza di Trieste, nell’ambito del medesimo procedimento penale e su delega della DDA, ha provveduto al contestuale sequestro preventivo per equivalente di conti correnti bancari per oltre 450 mila euro.
Il 18 dicembre 2023, la DIA di Trieste ha eseguito un decreto di sequestro beni nei confronti di un soggetto originario di Napoli, già arrestato nel settembre del 2020 all’esito dell’operazione "Markt” per attività usuraia ed estorsiva, aggravate dall’utilizzo del metodo mafioso. Le indagini svolte hanno mostrato la riconducibilità in capo al citato soggetto, anche tramite prestanome, di un patrimonio sproporzionato rispetto ai redditi familiari nel tempo dichiarati. Il valore complessivo dei beni sottoposti a sequestro, tra i quali contanti e oggetti preziosi, è stimato in oltre 220 mila euro.
Sul fronte della prevenzione amministrativa il Prefetto di Udine, il 25 agosto 2023 ha emesso due distinte interdittive antimafia nei confronti di due società del settore del commercio di autoveicoli, risultate carico di persone fisiche, con residenza nel capoluogo friulano, attinte da misura di prevenzione personale che, ai sensi dell’art. 67 del Codice Antimafia, configura una situazione ostativa al rilascio della liberatoria antimafia richiesta.
Aggiornamento con Relazione DIA 2024
https://www.omcom.org/2025/05/mafia-in-friuli-venezia-giulia.html
CONCLUSIONI
La situazione in Friuli Venezia Giulia è una situazione da monitorare con la massima attenzione.
Le operazioni riportate non sono tutte quelle avvenute ma le più significative e servono per avere il polso della situazione.
Il nord est nel suo insieme piace alle organizzazioni criminali e per questo non bisogna in alcun modo abbassare la guardia.
Fonti.
Operazioni delle forze dell'ordine
Comunicati stampa
Agenzie Ansa Adnkronos
www.omcom.org
www.stopmafia.blogspot.com
Note.
I cognomi dei mafiosi dei clan sono da ricondurre esclusivamente agli affiliati. Portare un cognome uguale non significa far parte dei clan.
In molti casi si fa riferimento alle operazioni e non alle condanne definitive. Questo serve per le analisi, ma si ribadisce la presunzione di innocenza fino alla condanna definitiva.
Commenti
Posta un commento