ANALISI - CRIMINALITA’ ORGANIZZATA E JIHAD - NUOVA FRONTIERA DELL'INTELLIGENCE





CRIMINALITA’ ORGANIZZATA E JIHAD
Nuova frontiera dell’Intelligence
2019

di
Salvatore Calleri e Pier Paolo Santi


  • PREMESSA

I nuovi mutevoli scenari geopolitici impongono serie riflessioni investigative sulle interconnessioni fra la criminalità organizzata autoctona e gruppi, organizzazioni o singoli soggetti legati allo jihadismo. Le numerose operazioni condotte dagli inquirenti e forze dell’ordine hanno messo in luce la capacità gestionale e di adattamento ai cambiamenti delle nostre criminalità di stampo mafioso, accompagnate da una pericolosa spregiudicatezza e mancanza di freni etici nella conduzione di affari.
L’analisi del report risulterà particolarmente scomoda per le nostre organizzazioni criminali, ancora intenzionate a mantenere un profilo legato a un presunto codice d’onore.
L’identificazione mirata di legami affaristici e logistici con strutture terroriste di matrice jihadista porrebbe, anche di fronte ad una parte di popolazione compiacente, le criminalità organizzate autoctone in una posizione di evidente disagio, esponendo ulteriormente i loro affari e mettendo a rischio alleanze con altri gruppi criminali. Le ripercussioni, se accompagnate da un'ottima comunicazione da parte di media e addetti ai lavori sul fenomeno, danneggerebbe esponenti dell’isis come di al-qaeda, facendo venire meno un costruito e fazioso messaggio di purezza religiosa.
Le autorità competenti stanno impostando correttamente la prevenzione di alcune minacce, la CASA (Comitato Analisi Strategica Antiterrorismo) è una dimostrazione pratica di un ottimo coordinamento d’Intelligence tra i vari componenti investigativi. Tuttavia il tema di questo documento (l’individuazione di legami affaristici tra c.o.a e jihadisti) apre de facto una nuova frontiera nell'analisi d’intelligence. Un Procuratore di alto valore ed esperienza quale Federico Cafiero De Raho lo aveva già fatto intendere in considerazioni di qualche anno fa, ponendo l’accento sulla necessità di percorrere questa pista investigativa. Il Procuratore (all’epoca capo della DDA di Reggio Calabria) ha esposto un concetto semplice eppure disarmante per quanto veritiero: dovunque esista un'occasione di alto profitto la ‘ndrangheta (noi aggiungiamo anche le altre organizzazioni) è pronta a farne parte.
Da questo presupposto possiamo quasi ricavarne una equazione criminalita’-jihad che vede molte varianti nei traffici illeciti, riciclaggio, logistica, sostegno reciproco e perfino scambio di informazioni.

Il report va considerato come una sorta di piattaforma per continui approfondimenti. È stato volutamente scelto questo percorso di analisi (prevalentemente OSINT) e informativo per non inserire dati e informazioni che reputiamo essenziali per nuovi studi e valutazioni, in particolare per quanto concerne la criminalità organizzata allogena e settori geografici precisi come la fascia sub sahariana. La lente d’ingrandimento iniziale, dunque, sarà posta sulla c.o.a con interconnessioni che interessano la sfera jihadista (in particolare nord Africana:Tunisina e Libica).



  • LINEE GUIDA GENERICHE


  1. La criminalità organizzata italiana sta subendo una massiccia infiltrazione di elementi stranieri provenienti dal nord Africa e da paesi come Albania, Kosovo e Bosnia, luoghi dove si predica anche l’Islamismo fondamentalista. Arresti e difficoltà strutturali hanno richiesto il rafforzamento dei ranghi. Alcuni media nazionali hanno giustamente messo in risalto una operazione condotta in Sicilia dove per la prima volta uno straniero, Tunisino, assume una posizione integrante e decisionale in una organizzazione mafiosa come Cosa Nostra (nel caso specifico di San Lorenzo).  

Membri della criminalità tunisina stanno divenendo un problema investigativo per i nostri addetti ai lavori, un caso recente è l’Operazione denominata S.M.G.O (Show Must Go On) che ha portato alla luce (in più fasi investigative dal 2014) una efficiente organizzazione composta da maghrebini con centro operativo la Tunisia e l’Olanda. L’Operazione è partita da Perugia ma ha forti implicazioni in numerose città italiane ed estere. L’attività investigativa ha portato alla comprensione di un'organizzazione (che noi prendiamo d’esempio) efficiente e perfettamente inserita nel circuito internazionale dello spaccio di stupefacenti, quanto nella capacità di spostamenti in paesi come la Germania.

 

Tralasciando questi due casi legati alla sfera criminale, cominciano ad emergere anche eventuali contatti e sinergie tra mafia e trafficanti di esseri umani con una presenza costante tunisina.

Per lungo tempo è divenuto oggetto di dibattito la problematica di alcuni centri di accoglienza e l’inevitabile interessamento da parte della mafia e organizzazioni criminali. La vera svolta potrebbe venire, però, dalla mafia trapanese non tanto interessata all’accoglienza quanto alla diretta fase degli sbarchi con collegamenti, senza filtri, proprio con gli addetti trafficanti tunisini.

 

Il settore d’Intelligence sta osservando con particolare preoccupazione corrispondenze e rischi di correlazione fra traffici-sbarchi di emigrati e formazione-rafforzamento di cellule jihadiste terroriste in Europa. Il fenomeno potrebbe, infatti, essere di correlazione non solo ad un quadro problematico  destabilizzante di tensione politica all’interno della comunità europea, ma perfino come occasione usuale per trasportare futuri terroristi o semplicemente arruolarli di nuovi direttamente in Europa, forti di una inevitabile vita dettata dalla precarietà.

 

Nel corso del report emergeranno i rischi che necessariamente dovranno affrontare le nostre strutture investigative nel medio-lungo periodo:

 

  1. La criminalità organizzata autoctona assimila stranieri che divengono de facto operativi e parte integrante dell’organizzazione. I tunisini devono essere particolarmente attenzionati.

  2. La criminalità organizzata autoctona-mafia in piena sinergia con la criminalità tunisina (tra questi devono rientrare anche i trafficanti di esseri umani).

  3. Alcuni degli stranieri inquadrati sono uomini cerniera tra le due organizzazioni?

  4. La criminalità tunisina è in sinergia con sfere jihadiste

  5. Alcuni degli stranieri inquadrati dalle criminalità organizzate autoctone-mafie sono uomini cerniera tra le tre organizzazioni?

 

Come già esposto la vicenda che vede un tunisino tra i “dirigenti” di un clan di Cosa Nostra (non segnalato per jihadismo) determina un precedente importante ma non dobbiamo trascurare anche i dati di semplice affiliazione di stranieri in contesti di manovalanza. In questi casi si riscontra già da qualche tempo una notevole casistica soprattutto in ambito camorrista dove le guerre intestine e la continua necessità di manovalanza operativa ha completamente annullato ogni remore e metodologie di reclutamento.  

 

Si potrebbe ritenere che tra gli stranieri “assimilati”, alcuni siano simpatizzanti per la jihad o lo diventino mantenendo futuri contatti criminali?  

Sappiamo che molti degli europei, americani e australiani arruolati nelle file dell’isis hanno avuto precedenti criminali. Un segnale che non deve essere trascurato poichè indica la criminalità (micro e macro) come un potenziale “pozzo” a cui attingere reclutatori.

 

  1. I jihadisti tunisini dovrebbero essere annoverati tra i più pericolosi per l’Europa. (noteremo col proseguo la sigla Ansar Al Sharia Tunisi e Libia).

 



b- I terroristi devono strutturare rapporti con la criminalità organizzata italiana per tre fattori di fondo:
  • LA RETE. Le nostre mafie (cosa nostra, ‘ndrangheta e camorra) hanno creato una estesa rete internazionale di contatti e affari divenendo un' ottima piattaforma. La ‘ndrangheta in particolar modo è presente attivamente in tutto il mondo. Nella nostra penisola e in alcune parti del globo è praticamente impossibile portare avanti affari criminali di un certo spessore senza la collaborazione o perlomeno l’avallo della nostra criminalità organizzata. Anche i clan, cosche (etc) hanno il loro personale sul campo addetto al raccoglimento delle informazioni. Quesito legittimo: può la criminalità autoctona essere all’oscuro, soprattutto in patria, di un traffico condotto da jihadisti?
Se riusciamo a dare una risposta, allora siamo ad un buon punto di una corretta analisi sul fenomeno: le ultime operazioni dell’antiterrorismo dimostrano che simili traffici ci sono stati e proseguiranno.

  • PROTEZIONE. La mafia potrebbe offrire “protezione” a personale islamista in occidente (appartamenti, rifugi, permessi di soggiorno, lavoro, copertura, falsificazione documenti). Le comunità islamiche e le moschee non sono più sicure per gli estremisti perché eccessivamente monitorate dalla nostra intelligence e l’Italia non presenta ancora strette analogie con fenomeni sociali come quelli registrati in Francia.

  • CONTROLLO DEI PORTI.  Il controllo dei porti diviene un passo fondamentale per sinergie tra criminalità organizzata-strutture di matrice jihadista, in quanto supporto logistico per svariati e DIVERSIFICATI traffici illeciti.

Due porti sono particolarmente attenzionati come punti critici, quello di Gioia Tauro e di Genova ma bisognerebbe sottolineare anche l’alta intensità di traffici illeciti e l’importanza strategica del porto di Livorno che potrebbe essere stato scelto per eventuali sinergie appena menzionate.
Gioia Tauro si ritrova protagonista di traffici inquietanti che vedrebbero affari diretti tra ‘ndrangheta, per esempio col contrabbando della famigerata droga del combattente (Tramadolo), con formazioni jihadiste legate in particolare all’Isis.
Teniamo presente che anche il porto di Genova ha annoverato dei traffici simili destinati alla sfera jihadista. A riguardo in una specifica indagine è stato individuato e confiscato un carico nel porto di Genova diretto proprio in Libia, la destinazione finale doveva essere Misurata e Tobruk, fattore che avrebbe spinto gli inquirenti e investigatori italiani a ritenere il carico di pastiglie rivolte al jihadismo locale.
Indicative le parole del procuratore capo Francesco Cozzi che non perse l’occasione di sottolineare l’alto valore dell’Operazione vista come un significativo contributo a intaccare una quota di finanziamento alle organizzazioni di matrice jihadista.
Il porto di Genova mette a fuoco un'altra realtà poco trattata ma di continuo monitoraggio ed estrema complessità: le cosi dette navi fantasma. Accade che navi (di varia stazza) ad un certo punto della rotta smettino di segnalare la posizione proprio durante l’avvicinamento a coste di paesi “ad alto rischio”, per riattivarle in un secondo momento.
Già nel 2015 l’AISE (Agenzia Informazioni e Sicurezza Esterna) aveva attenzionato ben sette cargo sospetti. Tralasciando i singoli casi, queste navi fantasma potrebbero trasportare di tutto, dalle armi agli stupefacenti con interesse affaristico di criminalità organizzate e jihadisti.




  • ARMI

Secondo un'inchiesta giornalistica l’Isis avrebbe venduto, quando disponeva del pieno controllo territoriale in settori iracheni e siriani, opere d’arte alla ‘ndrangheta e in cambio questa forniva armi di vario tipo adatte per uso bellico in campi di battaglia.
QUESITO: Una volta consegnate, siamo certi che la loro funzione fosse (e sia) di utilizzo esclusivo per i campi di battaglia e non per atti terroristici nel mondo?
Dietro a questo imponente traffico si nasconderebbe un efficientissimo coordinamento logistico e di trasporto, dove vede la mafia russa rifornitrice delle armi (passanti da Moldavia e Ucraina). La ‘ndrangheta di Lamezia e alcuni clan camorristi si sarebbero posti con il ruolo di intermediari (quindi contatto diretto con jihadisti?). Non solo, implicherebbe un'ulteriore interconnessione fra le c.o.a, non certo una novità investigativa se non fosse una consorteria legata ad una partnership con terroristi e combattenti jihadisti.
Il terzo protagonista, siamo alla successiva sinergia, è rappresentata dalla criminalità cinese in grado di assicurare il trasporto delle merci con navi.
Sempre secondo l’inchiesta, le famiglie ‘ndranghetisti maggiormente interessate sarebbero quelle di Lamezia.
Forse non ha nulla a che fare con il caso in questione ma sappiamo che a Lamezia sono presenti cosche che si sono specializzate proprio nel traffico di armi come i Giampà.


FOCUS SU ARMI
Il traffico di armi è senza dubbio un target nella ricerca d'interconnessioni ma occorre distinguere due linee d’azione che sembrano essere adottate dai vari ambienti jihadisti. Spesso ci formuliamo l'immagine di finanziamenti jihadisti in Europa come un qualcosa di titanico, mega trasporti di armi, enormi quantità di denaro. È in parte vero, come visto, per quei traffici di armi e stupefacenti destinati al nord Africa o Medio Oriente. Occorre tuttavia un distinguo con le cellule presenti nel vecchio continente dove viene applicato un sistema mirante all’autofinanziamento (fin dagli anni novanta). Molte cellule silenti o meno devono avvalersi di metodologie spesso più affini alla criminalità "quotidiana". Macchine rubate, piccoli spacci di stupefacenti e molto interessante, per avere "sentori di presenze di eventuali cellule", il racket che potrebbe innescarsi ai danni di alcuni negozianti residenti in Europa e riconducibili al paese dei potenziali terroristi. Per creare e mantenere una cellula non occorrono grandi quantitativi di denaro, molte azioni eclatanti ed estremamente devastanti si possono basare sull'effetto sorpresa, AK e armi da taglio con alle spalle una rete di contatti ottimizzata (ecco l'importanza delle interconnessioni con la criminalità organizzata). Pertanto è nella HUMINT da strada che si può fare la differenza nel contrasto. Va anche precisato che i grandi network jihadisti che appoggiano simili cellule non possono esporsi eccessivamente (essendo molto attenzionati da più intelligence), per questo gli occorre una forte componente di autogestione.
La provenienza delle armi da fuoco utilizzate in tali circostanze da gruppi o da singoli individui (la definizione di Lupi Solitari è sempre meno usata negli ambienti investigativi) in Europa derivano principalmente da tre canali:
  • Armi rubate.
  • Armi reperite al mercato nero.
  • Armi modificate.

In linea generale bisognerebbe ammettere di non avere una profonda conoscenza sul mercato nero delle armi da fuoco e tanto meno di quelle da taglio. Siamo a conoscenza che i criminali albanesi sono tra i primi rifornitori nel panorama criminale, un dato che potrebbe condurci anche alla problematica dei Balcani sotto l’aspetto del fondamentalismo islamico. Altro scenario per il “dark web”. Va tuttavia messo in conto che alcuni terroristi facevano in precedenza parte di bande criminali. Questo porta a sottoclassi d'interconnessioni legate proprio al fattore “gang” che potrebbero essere in contatto con la criminalità organizzata. l’Europa settentrionale sta subendo una fase delicata con l’emergere del fenomeno denominato No-Go-Area, settori di quartieri completamente in mano a bande islamiche fondamentaliste pronte a instaurare la sharia. Con ambienti a “sacca” possono crearsi le condizioni ideali per le più svariate interconnessioni e per “ponti” logistici mirati ad azioni in altri paesi europei.
Il canale del finanziamento necessario per le strutture presenti e operative in nord Africa, sub Sahara e Medio Oriente può avvenire anche con una procedura inversa di quanto riportato in precedenza: jihadisti che scambiano armi in cambio di altro. Non viene menzionato abbastanza l’enorme potenziale acquisito da gruppi come Ansar al Sharia Libia (in sinergia con quella Tunisina) dopo la caduta di Gheddafi. Sempre rimanendo in analisi abbiamo come bagaglio informativo un possibile traffico di armi di grandissima importanza, quello tra ASL e HAMAS
ASL avrebbe consegnato armi profumatamente pagate da Hamas. Il Libya Times propone le foto (pubblicate su facebook presumibilmente da qualcuno che era a conoscenza dei traffici) e diversi dettagli.
Provenienza delle armi?
Uno dei principali sospetti è che si trattino di quelle conservate nei magazzini di Mu'ammar Gheddafi, trafugate dopo la caduta del dittatore libico. Nel paese si è verificato il medesimo meccanismo osservato in Iraq con Isis che si riforniva di armamenti leggeri e pesanti dopo fughe precipitose da parte dell’esercito regolare, l’unica variante libica è stata la morte del dittatore e la conseguente anarchia nelle prime battute, a vantaggio di molte milizie. Se le armi sono passate nelle mani di ASL dobbiamo porci una domanda “madre”: unici beneficiari del presunti traffici sono stati solo gli uomini di Hamas o anche cellule jihadiste di varia matrice disseminate per il globo?
Criminalità Organizzate?
Quesito valido, ovviamente, anche se la provenienza delle armi non fossero gli ex arsenali di Gheddafi.
Tale passaggio dimostra come il mercato delle armi da fuoco sia non solo in continua espansione ma anche collante fra micro e macro. Nulla vieterebbe che Ansar al Sharia (indubbio a nostro avviso il suo scioglimento libico nel 2017 e l’apparente disgregazione del ramo tunisino) organizzi piccoli trasporti di armi solo per cellule silenti in Europa o per criminalità organizzate.

  • SETTORI STRATEGICI

Partiamo da un POSSIBILE PAESE CERNIERA come Malta
a)- Nella vasta problematica legata al fenomeno maltese, non è rimasta trascurata alle varie intelligence il rischio di un concreto interesse da parte di organizzazioni jihadiste-terroriste che potrebbero vedere nell’isola un settore strategico. Il Dipartimento di Stato americano, in particolare, aveva diramato un allarme definendo l’isola come possibile “punto di transito o nascondiglio per terroristi”.  
Altre segnalazioni darebbero Malta utile per transazioni finanziarie da parte di soggetti nell’orbita del terrorismo.
Seguendo proprio queste inquietanti “segnalazioni” non possiamo trascurare un eventuale trade union tra criminalità maltese-criminalità italiana e terroristi di matrice islamico fondamentalista. Tutt’altro che trascurabile l’alto interesse di cosa nostra e in particolare dei Santapaola nell’allestire affari proprio a Malta: quindi una presenza soffocante e costante. A porre le basi di interconnessioni concrete sono alcune operazioni condotte dalle Forze dell’Ordine nei confronti dei Santapaola, che li vedono, anche con soggetti o gruppi nella loro orbita, in contatto con trafficanti o soggetti vicini agli estremisti jihadisti.
E’ dunque doveroso chiedersi se i Santapaola non abbiano usato Malta, una loro piccola roccaforte, come zona di affari illeciti proprio con i jihadisti-terroristi.
b)- La seconda traccia investigativa potrebbe avere come punto di partenza la vicinanza geografica ed eventuali collegamenti criminali tra Malta e la Libia come era accaduto per il traffico del petrolio.
Lo scenario descritto dagli investigatori nell’ Operazione `Dirty oil´ è inquietante: si sarebbe verificato un intenso traffico illecito di gasolio dalla Libia all’Italia, con l’ausilio di navi disponibili da società maltesi. Proprio sul traffico di petrolio negli “elenchi” degli inquirenti un uomo segnalato come vicino ai Santapaola, insieme a libici compiacenti.
Non possiamo fare a meno di notare che diversi porti libici, in modo particolare all’epoca, si trovavano sotto il controllo di milizie e gruppi spesso segnalati internazionalmente come terroristi. Tra questi Ansar al Sharia. Le navi cisterna si sarebbero rifornite nelle coste vicino al confine tunisino (aspetto interessante).
Tralasciando questo caso specifico, servito come esempio di un possibile segnale di concretezza del rischio, è doveroso ricordare che La Libia e i traffici ad essi connessi sono uno dei punti denunciati dalla giornalista maltese rimasta uccisa.

  • Il timore che i Santapaola possano avere avuto contatti con gruppi jihadisti scaturisce anche seguendo una pista legata alle alleanze tra cosa nostra e ‘ndrangheta.
I Santapaola hanno sempre intrattenuto ottimi rapporti proprio con la ‘ndrangheta, nello specifico la cosca Iamonte di Melito Porto Salvo. Tutto ebbe inizio con la mediazione dei Santapaola che permise agli Iamonte di ingrandirsi con l’acquisizione di una tangente in un importante appalto. Le sinergie potrebbero essersi applicate tra le due anche nelle provincie centro-nord italiane (con presenza di porti).
Vale la pena, non fosse atro che per diritto di cronaca, cercare di fare luce su un passaggio fondamentale riguardante la segnalazione di possibili traffici di esseri umani che vedrebbe coinvolti gli Iamonte. Secondo alcuni investigatori e analisti la cosca e la mafia turca sarebbero sospettate di aver trasportato, negli ultimi anni, molti migranti dalla Turchia all’Italia.
Lo avrebbero fatto non tanto utilizzando barconi (per disperati) quanto yacht e velieri, indicazione che a bordo dovrebbero esserci passeggeri con maggiori disponibilità economiche. Escludendo possibili fasce della classe medio-alta siriana fuggiti dall’orrore della guerra, si potrebbe presumere che le organizzazioni criminali abbiano anche trasportato jihadisti di rilevanza diretti in Europa e non certo pronti a rischiare nelle tratte con i gommoni o navi improvvisate.
Ordiniamo sinteticamente alcune informazioni:
a)- I Santapaola o gente nella loro orbita sono stati spesso indagati per vari affari illeciti con trafficanti nord africani vicini allo jihadismo, spesso compare la Libia come punto di riferimento.
b)- Un uomo della famiglia (per diritto di cronaca sempre uscito indenne dalle indagini antimafia) dei Santapaola era in stretto contatto con Sayed Yacoubi soggetto a sua volta collegato con Brahim Tarak ma soprattutto con il noto terrorista del mercatino di natale di Berlino, Anis Amri per averli fatto ottenere delle schede telefoniche. Le simpatie di Anis per il gruppo Ansar al Sharia Tunisi le vedremo a breve.
c)- La cosca ‘ndranghetista degli Iamonte è stata attenzionata per presunti traffici d'immigrati in sinergia con la mafia turca.
d)-I santapaola e Iamonte sono stati sempre in particolare sinergia.
e)- Un'indagine apparentemente separata e di estremo interesse potrebbe essere quella condotta dalla Procura di Torino nel 2001. Durante una perquisizione di antiterrorismo fu ritrovato un arsenale composto prevalentemente da Uzi e pistole. Un noto trafficante d’armi le riconobbe. Significative le sue dichiarazioni in merito finalizzate a chiarire di non aver mai venduto personalmente le armi ai terroristi ma alla cosca dei Paviglianiti. L’ex trafficante precisa, inoltre, che nel 1993 Mimmo Paviglianiti avrebbe intrecciato contatti con un personaggio turco che a sua volta aveva contatti con degli arabi.
Gli inquirenti indirizzarono i loro sospetti ad una interconnessione tra ‘ndrangheta e terrorismo internazionale di matrice jihadista, quasi pioneristiche le dichiarazioni all’epoca del Pm Maurizio Laudi proprio su simili legami.
f)- I Paviglianiti e gli Iamonte di Melito Porto Salvo sono sempre stati in totale sinergia essendo considerati i primi addirittura contigui ai secondi.

A sentire alcuni pentiti come Antonino Cuzzola i Paviglianiti sono stati in contatto anche con i Santapaola (l’organizzazione siciliana interessata da quest' analisi).
La ricerca dovrebbe essere improntata partendo dal quesito se interconnessioni interne alla Criminalità organizzata autoctona trovino riscontri anche con interconnessioni jihadiste. Apparentemente sembrerebbe, come visto da un semplice incrocio di dati, esserci tutti i presupposti per un approfondimento investigativo sul caso.
Coincidenze preoccupanti?



  • IL DIAVOLO SI NASCONDE NEI DETTAGLI: versante Camorra e pentitismo

L’attuale branca d’Intelligence focalizzata sulle Interconnessioni, concepita come in questo report, propone una SVOLTA PIONIERISTICA equivalente alle prime vere indagini antimafia degli anni novanta, con vicissitudini e dilemmi investigativi tipici di quegli anni: l’affidabilità dei collaboratori di giustizia. Sul fronte camorra, infatti, cominciano a emergere dichiarazioni di membri criminali che riferirebbero di sinergie e contatti con la sfera jihadista. Le nostre analisi sono improntate su questo fenomeno ed è conseguente l’interesse che devono suscitare simili dichiarazioni seppur partendo da un presupposto investigativo: il diavolo si nasconde nei dettagli. Per questo paragrafo ci avvarremo da prima del metodo deduttivo, sarà come una sorta di ripasso di quanto scritto, per passare al secondo stadio dove a fare da padrone sarà il metodo induttivo: partire da due casi per comprendere un “affresco investigativo” generale.
  • Il fattore delle interconnessioni è orami per l’Intelligence materia concreta di analisi e intervento.
  • Non sono ancora stati concepiti gruppi investigativi ad hoc operativi esclusivamente sulle pieghe delle interconnessioni.
  • A risultare tra i più proliferi jihadisti sono i tunisini e algerini
  • I jihadisti tunisini sono a nostro parere un punto di riferimento con uno stretto collegamento AST-ASL, per non trattare di tutte le derivazioni affaristiche analizzate nel testo.(vedremo in seguito)
Procediamo con il metodo induttivo:
  • Salvatore Orabona, facente parte del clan camorrista dei Casalesi, dichiara:
«Nel parlare, quando abbiamo finito di parlare delle auto mi hanno chiesto anche delle armi di tipo Kalashnikov…E io lì mi sono rifiutato, diciamo, di questa proposta delle armi, e gli ho detto: io vi posso dare solo le auto; le armi non gliele ho volute dare a queste persone»
I fatti sono riferiti a un incontro tra il boss e alcuni soggetti, tra cui il tunisino Khemiri Mohamed Kamel Eddine.

  • Il punto cardine è che c’è stato un incontro e non è finito con un nulla di fatto. La camorra non avrebbe negato la vendita della autovetture. Quindi, la camorra ha dato, anche indirettamente, sostegno alla jihad?
Sospendiamo per il momento l’interrogatorio e il caso che vede Orabona come pentito.
  • Rivolgiamo l’attenzione alle dichiarazioni di un altro pentito per un'altra circostanza sempre con i casalesi protagonisti. Il pentito di turno è Roberto Vergas, ex braccio destro di Nicola Schiavone.
Il tutto potrebbe essere riassunto in questo modo: il clan avrebbe stilato un patto con terroristi islamici per assassinare il magistrato Federico Cafiero De Raho (attualmente ricopre il delicato compito di Procuratore Nazionale Antimafia e Antiterrorismo).
Richiesta di non poco conto, in grado di mettere sotto i riflettori una sinergia che conduce a un'altra domanda: in cambio i casalesi cosa dovevano o avevano offerto?
L’attentato non fu portato a termine per l’arresto di un algerino jihadista che avrebbe compromesso l’intera cellula.
  • Gli algerini sono un'altra preoccupazione per la nostra investigativa fin dagli anni novanta, di solito associati a due sigle il FIS (Fronte Islamico di Salvezza) e il GIA (Gruppo Islamico Armato).
Un esempio dell’attività algerina terrorista sul nostro territorio è l’arresto di Lounici Djamel, affiliato proprio al FIS.
Risaltano due notizie rilevanti: operava nel casertano ed era già ricercato dai ROS all’indomani degli attacchi dell'11 settembre. Tralasciando questo caso e soggetto specifico è doveroso, per diritto di cronaca, menzionare un pentito camorrista dei Polverino in cui sostiene di essere a conoscenza che alcuni esponenti di clan camorristi avevano già ricevuto informazioni dell’attentato dell'11 settembre negli Usa e di un piano stragista a Madrid.
Sarà sempre un caso ma in questo contesto risultano significative le parole del Procuratore nazionale antimafia, Franco Roberti:
“C’è un caso che prova questa osmosi criminale… L’attentato di Atocha è stato finanziato con denaro del traffico di stupefacenti. Do un riscontro preciso: nel dicembre del 2003 vengono fermati degli arabi a Santa Maria Capua Vetere con trenta chili o poco più di hashish. Vengono in parte scarcerati per una serie di motivi… Uno dei fermati, Abdeliah Alfual, venne poi arrestato in Spagna proprio nell’ambito delle indagini dell’attentato di Atocha. Noi, da Napoli, lo andammo anche a interrogare… Quello che emerse è che il traffico di droga ha finanziato l’attentato di Atocha” (Dal libro: “Sahara, deserto di mafie e jihad” di Massimiliano Boccolini e Alessio Postiglione, Editore Castelvecchi)
Quesito d’obbligo: c’erano forse interconnessioni affaristiche tra gli attentatori di Atocha con la camorra?
Nel 2012 dopo una indagine internazionale tra Italia (Napoli) e Spagna gli inquirenti annunciano di aver scoperto una consorteria dedita al traffico di stupefacenti. I nuvoletta e Polverino sarebbero risultati dalle indagini come i referenti in Italia. Tra gli arrestati in Spagna un noto trafficante che fu indicato come uomo vicino ad al Qaeda. Non solo, il sospetto si allargava, sempre per quanto riguarda il gruppo marocchino presente in Spagna, a eventuali finanziamenti magari per attacchi terroristici.

Ritorniamo al pentitismo, esistono correlazioni con quanto affermato da Biagio Di Lanno, giacchè accenna della consapevolezza di clan camorristi ad un attentato a Madrid?
  • Supporto logistico e facilitazione di falsi documenti offerti dalla camorra sono tema di molte indagini. Potrebbe essere rilevanti, al fine della nostra esposizione, anche quanto emerso dai documenti statunitensi riportati da Wikili che parlano chiaramente di come nel 2005 FBI riportava di una interazione tra la criminalità organizzata italiana e organizzazioni jihadiste. Il documento prosegue col rischio di una sinergia basata sul supporto logistico.
Mettiamo a fuoco la questione e l’intreccio della falsificazione di documenti. Il pentito camorrista Giuliano Pirozzi avrebbe sostenuto che il clan Mallardo offra falsi documenti agli stranieri. È subito comprensibile il rischio che se ne approprino soggetti in odore di terrorismo.
Le precauzioni, però, non sono mai troppe e alcuni clan dediti sempre alla falsificazione di documenti, come i Contini e Mazzarella, parrebbero aver adottato una metodologia che in qualche modo scherma da indagini finalizzate alla ricerca di intrerconnessioni. Le loro stamperie e il lavoro sono affidate agli immigrati, mentre i clan è come se ricevessero un affitto e una tangente difficile da rintracciare. Simili accortezze suggerirebbero che i clan cominciano a essere consapevoli di possibili future ripercussioni soprattutto di immagine.
Siamo a un bivio che potrebbe rivelarsi indicativo. Nelle precedenti pagine abbiamo riportato semplicemente che un amico di Anis Amri, Sayed Yacoubi, era in contatto con un Santapaola (ricordiamo sempre uscito indenne da ogni indagine antimafia).  Quello che preoccupa però sono queste interazioni continue, infatti, già dopo gli attacchi a Charlie Hebdo l’ambiente investigativo italiano si starebbe concentrando anche sulle interconnessioni c.o.a- jihad.  
Da annotare che la rete di supporto, compreso per la documentazione falsa, di Anis Amri era composta di quattro tunisini residenti in zone particolari : Napoli, Caserta e Casal di Principe.
Una breve nota sui terroristi tunisini e algerini presenti in Italia. Nel corso degli ultimi ventotto anni una delle attività principali per l’autofinanziamento sono sempre stati lo spaccio di stupefacenti e la rivendita di autovetture rubate.
  • Perché il clan dei Casalesi voleva avvalersi dei jihadisti?
Per un depistaggio nelle indagini?
Va sempre tenuto in considerazione il curriculum del Pm Federico De Raho, nemico numero uno dei casalesi quando era Procuratore a Napoli, nemico numero uno della ‘ndrangheta quando era Procuratore in Calabria e adesso anche dei jihadisti terroristi. La sua morte farebbe comodo a molti soggetti di organizzazioni diverse. Oltretutto la DDA ha assunto anche il ruolo di antiterrorismo oltre che di antimafia. De Raho sta forse toccando “nervi scoperti” legati alle interconnessioni, in particolare tra ‘ndrangheta/camorra e jihadisti?
  • La camorra, dunque, in piena operatività (perfino armata) non solo in ambito affaristico con i fondamentalisti islamici?
  • Ritorniamo alle dichiarazioni di Salvatore Orabona in cui viene portata avanti la linea che i casalesi si sarebbero guardati bene dall’offrire armi ai jihadisti per una questione etica. Se confrontato con quanto esposto dall’altro pentito Roberto Vergas possiamo notare delle possibili incongruenze. Come prima osservazione bisogna annotare che un gruppo di fuoco ha bisogno ovviamente di armi, chi l’avrebbe nel caso fornite?
Il Pm Federico Cafiero De Raho, proprio per il suo enorme contributo al contrasto alla criminalità organizzata, è un uomo scortato con le massime precauzioni. Un attentato del genere con armi d’assalto avrebbe innescato un conflitto a fuoco (anche in caso di agguato) considerevole. Trattiamo allora di un attentato in stile mediorientale?
Medesima domanda, chi avrebbe procurato gli esplosivi?
In questo frangente si conviene che l’aspetto etico della camorra viene sicuramente meno. Orabona aveva timore che gli AK, per quanto concerne la cellula legata a Khemiri Mohamed Kamel Eddine, fossero rivolti a danno di civili inerti?
In tal caso, se le indagini avessero portato alla camorra come venditrice, l’impatto nei confronti dell’opinione pubblica sarebbe stato devastante, forse avrebbe creato scissioni interne ad interi sodalizi criminali.
(Nel campo minato del “pentitismo” non deve, comunque, essere mai abbandonata la possibilità del depistaggio)
In questa analisi di interconnessioni va notata la sinergia tra le due organizzazioni malavitose autoctone indicate in possibili affari con la jihad: i Casalesi e Santapaola. Per avere una chiara idea sulla loro collaborazione basterebbe citare gli affari nel settore ortofrutticolo.
Sorge quindi conseguente la necessità investigativa di determinare se le interconnessioni c.o.a e jihadismo trovino in Europa come zenit l’organizzazione Ansar al Sharia. Essendo quest’ultima una struttura ombrello e cerniera sussistono tutte le condizioni
Non solo, va registrato un ulteriore dato: molti tunisini che hanno condotto attacchi terroristici in Europa (come Anis Amri) erano stati legati (direttamente o indirettamente) ad Ansar al Sharia e per l’esattezza al ramo tunisino (AST) e a quello libico (ASL). Breve nota aggiuntiva: ricordiamo sempre che molti traffici dei Santapaola sono rivolti all' Africa settentrionale e che la Libia risulta spesso, come nel caso del traffico del petrolio, una hub fondamentale. Gli analisti ed esperti di ASL sono a conoscenza che per lungo tempo l’organizzazione ha avuto il controllo territoriale di settori strategici, compreso porti.
Il collaboratore di giustizia Vergas sottolinea un ulteriore passaggio forse solo apparentemente separato dalla nostra analisi. Secondo Vergas, Walter Schiavone, avrebbero siglato un accordo con la cosca dei Giampà per rivendere le mozzarelle di bufala ai vari ristoratori della provincia calabrese di Lamezia Terme. Da annotare che l’inchiesta giornalistica, sopra menzionata, denunciava traffici fra ‘ndrangheta-camorra e isis con particolare interesse verso cosche di Lamezia. Avevamo suggerito l’incontestabile fatto che in suddetta zona, ad esempio, operava la cosca dei Giampà specializzata tra le altre nel traffico di armi. Interconnessioni interne che suggeriscono interconnessioni esterne?

  • AS PRESENTE E OPERATIVA OCCULTAMENTE SUL SUOLO EUROPEO?
  • Le organizzazioni sorte dal 2011 in poi, con una matrice al qaeda e aventi il termine “ANSAR” nelle proprie sigle sono inquadrate in uno stesso piano strategico e svolgono funzioni di struttura CERNIERA e spesso OMBRELLO?
  • Possiamo ritenere che questo tipo di Ansar siano state una diretta risposta alla morte di Osama Bin Laden?
  • Nel corso del tempo le strutture Ansar hanno dimostrato un notevole potenziale e fluidità tanto da divenire una sorta di Intelligence Jihadista.
  • A differenza di quanto sostengono in molti, siamo portati a ritenere che le Ansar siano legate non solo nel nome “Marchio” ma soprattutto da una interconnessione operativa e strategica ben precisa legata a svariate attività, compresa quella dei traffici illeciti.
  • Al qaeda le sta usando, con il principio della doppia affiliazione a 360°
  • L’anno 2014 è fondamentale per comprendere l’utilizzo di molte Ansar, in particolare delle sottoclassi Ansar al Sharia Tunisia e Libia. Alcune sono rimaste ufficialmente nei ranghi di al qaeda, altre hanno prestato giuramento all’Isis e altre ancora rimangano volutamente in uno stato di totale ambiguità. Possiamo, in verità, ritenere che l’Ambiguità sia insita e necessaria a queste strutture (come nel caso Al Nusra che è bene ricordare riporta nella sigla completa il termine Ansar).
  • Le Ansar si stanno rendendo talmente fondamentali per l’isis  (quelle ovviamente interconnesse se non affiliate) che ne potrebbero causare il suo cambiamento interno verso un avvicinamento ad al qaeda o a una situazione di ibridismo sempre favorevole, nel tempo, alla organizzazione di Zawahiri.
  • Non è da escludere che le Ansar passate o in stretta sinergia (per la loro natura cerniera e ombrello) con l’isis siano rimaste concettualmente e occultamente al qaeda.
(Occorre una precisazione per evitare equivoci: il termine Ansar è usato nell’Islam, noi ci riferiamo solo a quelle di matrice al qaeda sorte dal 2011 in poi).

Le Ansar al Sharia Tunisi e Libia hanno una storia particolare. Ci sono elementi per suggerire che la seconda sia stata fortemente voluta e ispirata dalla prima. L’auto scioglimento di ASL non dovrebbe, visto la forte componente di depistaggio dimostrata, essere presa immediatamente per veritiera senza indagini approfondite.

AS IN EUROPA

Sovrapponendo semplici dati ricavati dagli attentati e dai loro esecutori sul suolo europeo, la percezione è di trovarsi di fronte a efficaci INTERCONNESSIONI in cui AS è spesso presente, sempre a intervalli diretti o indiretto.
ATTENTATI TUNISINI

Gli attentati condotti in Europa e in Tunisia sono stati quasi tutti rivendicati dall’Isis. Nessuna dalla formazione AS, eppure come in un classico omicidio quando la scientifica procede con l'identificare eventuali tracce lasciate da un sospettato, ritroviamo sempre piccoli frammenti di rapporti tra gli accaduti e l’organizzazione.
  • 7 Gennaio 2015
Viene compiuta la strage di Charlie Herbo
  • 13-14 Novembre 2015
Vengono portati a termine i terribili attentati al Bataclan e Parigi.
Tra gli esecutori morali di Charlie Herbo e possibile mente organizzatrice di quella al Bataclan risulta il tunisino Boubaker al Hakim.
Prima di aderire al califfato il soggetto era molto vicino ad AST che disertò solo in un secondo momento. Vero?
Proprio con AST è stato indicato in Tunisia come esecutore degli omicidi dei due deputati dell' allora opposizione, Chokri Belaid e Mohamed Brahimi.
Boubaker al Hakim potrebbe essere l’esempio di sicariato jihadista.
Il sicariato jihadista è una realtà assodata nel tempo con una lunga lista di nefasti precedenti nel mondo (soprattutto Iraq e Siria). Non è assolutamente da confondere con altre forme offensive, come attentati rivolti alla popolazione o esecuzioni pubbliche. Una delle sue diramazioni più preoccupanti, non ancora messe a fuoco, potrebbe essere il sicariato finalizzato per siglare alleanze interconnesse. Se risultasse veritiero il sospetto che vede i Casalesi stipulare un patto con i jihadisti per l’omicidio del Pm, allora tratteremo proprio di sicariato per alleanza interconnessa. Nelle precedenti pagine avevamo riportato le dichiarazioni di un ex trafficanti di armi che forniva l’informazione di un possibile contatto (tramite un turco ) fra i Paviglianiti e arabi negli anni novanta (il contesto è quello della perquisizione antiterrorista della Procura di Torino). In verità le dichiarazioni dell’ex trafficante toccano anche dei particolari: questi soggetti avrebbero dovuto, proprio in base ad un accordo, organizzare e applicare la liberazione di Santo Paviglianiti all’epoca detenuto in carcere. Torna su questo eventuale tavolo delle trattative “operazioni su commissione”.
Ritorniamo al sicariato: gli omicidi mirati sono un problema d’intelligence e di ordine pubblico se riguardano la sicurezza e la stabilità di un paese, in grado di influenzare pesantemente le scelte dei decisori e quindi di un'intera nazione.
Il personaggio riveste una particolare attenzione, dunque, per coloro che studiano AS e potrebbe essere la dimostrazione di come i tunisini jihadisti influenzino, in Europa, quelli algerini e marocchini.

  • 26 Giugno 2015

In Tunisia si compie una strage a Sousse che interessa particolarmente anche gli europei visto il luogo scelto per l’attentato. Tra i nomi dei terroristi Seifeddine Rezgui. Il soggetto sarebbe stato addestrato in un campo libico di ASL. Sempre secondo fonti tunisine il killer di Sousse sarebbe stato ispirato dal leader di AST, Seifallah ben Hassine (Abu Iyad). Piccola parentesi: Abu Iyad aveva come luogotenenti negli anni passati due terroristi all’epoca residenti in Italia: Khemais Essid e Mehdi Kammoun, entrati tutti in AST dopo la sua fondazione.


  • 19 Dicembre 2016
Data dell’attentato condotto contro il mercatino di natale di Berlino. Esecutore Anis Amri.
Abbiamo potuto già evidenziare quanto il suddetto soggetto e la sua rete sono investigativamente il punto di svolta per penetrare in eventuali profonde interconnessioni.
Proseguiamo: Anis era un grande ammiratore di AST e non lo nascondeva, tanto da mettere diversi “like” sulle pagine social dell’organizzazione. Tunisino, ammiratore di AST ma alla fine l’attentato viene rivendicato dallo stato islamico. MEDESIMO COPPIONE degli altri casi: evidenti sinergie, se non militanze dei terroristi con AST o ASL ma l’atto finale viene condotto in nome di altre sigle, forse per dare risalto ai gruppi che sono in prima linea nella guerra (compreso quella mediatica) della jihad globale contro gli infedeli?

  • 19 Giugno 2017
Attentato ai Champs Elysees (Francia). Il killer è Adam Lofti Djaziri, pare un frequentatore e ammiratore sempre di AST tanto da essere perfino segnalato dall’intelligence tunisina.

  • 22 Maggio 2017
Attentati a Manchester per mano di Abedi Salman.
“But the mosque and centre refused to answer questions about Abedi’s links with them. The Guardian has learned that his father worked at the mosque before leaving for Tripoli and one of the imams, Mohammed Saeed, has described how Abedi attended regularly and had once looked at him “with hate” when he gave a sermon criticising Isis and Ansar al-Sharia in Libya.”

Questo breve scorcio del “The Guardian” permette di introdurre un nostro dubbio: Abedi Salman era in contatto con ASL?
E’ filtrato che quando giunse in Libia si recò tra le aree desertiche di Bani Walid e l’oasi di Jufra. Ora, in queste zone, nell’arco temporale degli ultimi anni, si sono radunati molti uomini dell’isis e presunti disertori di AS (ved. Doppia affiliazione). La medesima località in Germania frequentata da Abedi e Anis Amri potrebbe essere un possibile collegamento?

Riassumiamo:
  1. Molti degli attentatori erano stati in Italia. Si sospetta che avessero ricevuto (direttamente o indirettamente) documentazione falsa da settori criminali presenti nel nostro paese.
  2. La c.o.a è stata più volte citata nelle inchieste per aver fornito supporto di documentazioni false con serio sospetto anche a terroristi.
  3. La c.o.a è stata più volte menzionata da inchieste e operazioni per essere in sinergia con i jihadisti.



ITALIA
a)- Alcuni appartenenti a gruppi terroristi-insorgenti tunisini degli anni 90 sono transitati, una volta lasciata la penisola italiana e trascorsi degli anni, nelle file di AST. Uno di questi è Essid Sami Ben Kheimas.
Seguire le tracce lasciate da questo soggetto ci porterà lontano, al cuore di un mondo IBRIDO tra Al qaeda, isis e organizzazioni salafite e non riveste grossa rilevanza se sia rimasto ucciso dopo i recenti raid aerei in Libia o, come si sospetta, sia ancora vivo. Questo soggetto potrebbe aver mantenuto legami in Italia con altri elementi dormienti o averne inviati di nuovi per le formazioni di cellule finalizzate al reclutamento, finanziamento, logistica (per attentati in altri paesi?). Non dobbiamo trascurare l’ammonizione  rivolto ai nostri investigatori anni fa, da parte di alcuni membri jihadisti: "noi torneremo".
Quando le milizie di Misurata e Tripoli riuscirono a liberare Sirte, città strategica caduta in mano agli uomini dell’isis, furono organizzate delle squadre con l’incarico esclusivo di ritrovare materiale cartaceo, video e informatico appartenente ai jihadisti. Effettivamente riuscirono a recuperare diverso materiale, prezioso anche per molte intelligence compreso quella italiana.
Le milizie trovarono anche una scritta su un muro, da loro fotografata e impostata nei social: fece il giro del mondo con grande interesse, ovviamente, dei nostri media. C’era una ragione, la scritta riportava un messaggio chiaro:
“Da qui, con l’aiuto di Allah, approderemo a Roma”
Da Sirte, in quei giorni frenetici, giunsero altre notizie tecnicamente rivolte proprio alla nostra intelligence. Alcuni dei documenti ritrovati nei covi dei jihadisti dell’Isis pare avessero chiari riferimenti di attentati in Italia con insediamenti e logistica di cellule nel milanese.
Sarà un caso ma in linea generale cominciarono a riproporsi dei nomi molto noti all'investigativa:
  • Essid Sami ben Kheimas
  • Mehdi Kammoun
  • Bouchoucha Moktar
  • Madri Riadh
  • Nouriddine Chouchane (l’uomo che anni fa viveva nel novarese accusato sia dell’assalto condotto in Tunisia al museo di Bardo che del rapimento di quattro italiani in Libia. Da notare l’evidente spostamento operativo tra Tunisia e Libia di molti membri di AST).
  • Al Muaz ben Adelkader al Fizani (ABU NASIM)
Un ritorno, quindi, anche mediatico d'interesse e collegamento di tunisini presenti in Italia negli anni novanta: molti dal 2011 appartenenti ad AST e successivamente alcuni dichiarati o segnalati come uomini dell’Isis.

b)- Nel gennaio del 2017 viene arrestato un presunto affiliato ad AS, l’operazione delle Forze dell’Ordine porta il nome di “Blac Flag”. L’indagato, un tunisino all’epoca di trentaquattro anni, svolgeva proselitismo nei vari penitenziari dove era stato detenuto. Nel 2014 dopo una perquisizione nella sua abitazione, erano stati trovati trenta cellulari e dieci computer. Il soggetto era ben inserito nell’organizzazione, tanto da conoscere un dirigente di AS: Zarrouk Kamel. Zarrouk è stato un soggetto estremamente rappresentativo per la comprensione di quanto risulti fluido l’apparato di AS. Facente parte del ramo tunisino, ha lasciato la Tunisia per recarsi a combattere in Siria dopo una rocambolesca fuga dalla moschea di Ettawba.

c)- Nel 2018 tre tunisini sono stati indagati dalla procura di Torino per associazione terroristica, precedenti per traffico di stupefacenti. Potrebbero aver partecipato a un comizio di Ansar al Sharia.





  • CONCLUSIONI
PALAFITTA, INTELLIGENCE E LE SUBDOLE ACQUE

Immaginiamo che tutte le minacce interne ed esterne si concentrino nelle acque di un unico lago. Immaginiamo che la nostra difesa consista in una palafitta e che i pali di sostegno siano l’Intelligence. Ora, la palafitta deve affrontare, o prepararsi a farlo costantemente, non solo le avversità degli agenti atmosferici (i mutamenti geopolitici) ma anche le possenti onde delle acque agitate. Le onde, la parte più visibile, possono essere attacchi terroristi, cyber attacchi, operatività della criminalità organizzata autoctona e allogena, intromissioni d’Intelligence straniere pronte a sfruttare i nostri punti deboli… insomma LUNGA LISTA. La palafitta, nel tempo e dopo molti errori valutativi, si sta rafforzando (sempre troppo lentamente) ma forse non stiamo prestando la necessaria attenzione alle CORRENTI invisibili e subdole dell’acqua: siamo alle INTERCONNESSIONI. Le correnti, proprio per la loro natura subdola e difficile da identificare, sono tra le maggiori cause del deterioramento significativo dei pali di sostegno che invece andrebbero trattati per questo tipo di minaccia (o sunto delle minacce). Ribadiamo, dunque, un concetto più volte esposto: creare gruppi investigativi ad hoc solo per le interconnessioni.
L’intreccio fra la criminalità (autoctona e allogena) con diramazioni jihadiste non è storia recente, trova risvolti di decenni, prima del famigerato attacco alle Torri Gemelle del 2001. Prima dell’innesco globale definito da molti come la terza guerra mondiale. Sia la criminalità sia lo jihadismo (alimentato dal terrorismo, insorgenza e guerriglia) posseggono caratteristiche fluide in grado di adattarsi a una molteplicità di scenari. Lo jihadismo è sempre alla spasmodica ricerca di PERSONALE COMPETENTE in grado di colmare lacune organizzative, logistiche, comunicative, operative. Nonostante il suo messaggio intransigente accoglie mille sfumature spesso totalmente contrapposte. È il caso iracheno del partito laico baath di Saddam che vede un considerevole numero di suoi componenti (anche dell’Intelligence) passare, dopo la drammatica decisione americana di sciogliere il partito, nelle fila dei terroristi offrendogli un livello competitivo inaspettato. La criminalità offre personale e consulenza di alto livello a chiunque “paghi bene” e permetta sbocchi affaristici sempre più propizi. La criminalità organizzata è paziente e concepisce affari a lungo termine senza perdere il controllo, per questo non si è fatta sfuggire l’occasione di entrare in affari con uomini e gruppi in contatto con la complessa realtà tribale (ad esempio sub sahariane). Per questo hanno sempre favorito uomini come Mokhtar Belmokhtar (Mr Marlboro).
Sarebbe opportuno cominciare a trattare di una figura “L’ANALISTA CRIMINALE”. È difficile immaginare che traffici transnazionali o accordi tra criminalità e terroristi-trafficanti non siano stati prima analizzati da esperti di geopolitica e di altri settori specifici che devono dare un parere ai loro decisori, cioè i capi criminali. Chi sono questi esperti che si contrappongono ai nostri analisti (quelli del settore intelligence, dei think tank, dei centri ricerca, università e quant’altro) che invece cercano di marginare e debellare i pericoli per nazioni e continenti?
Un settore, quello delle interconnessioni, ancora tutto da strutturare e siamo indietro con i tempi.


Note.
I cognomi dei mafiosi dei clan sono da ricondurre esclusivamente agli affiliati. Portare un cognome uguale non significa far parte dei clan. Vale lo stesso per i terroristi.










Commenti

  1. Si vede che l'autore ha un grande base di conoscenza sul tema ed espone bene sia le tesi che i fatti. Ben fatto!

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