CENACOLO VIRTUALE CON ALDO CAZZULLO di Luciano Armeli Iapichino

Il cenacolo di antimafia e attualità promosso dalla Fondazione Antonino Caponnetto e dall’Osservatorio Mediterraneo sulle mafie e la Criminalità Organizzata (OMCOM), che in queste settimane più o meno buie sta “fotografando” il Paese attraverso le voci di autorevoli personalità del mondo antimafia, della politica e della cultura, propone la “visione delle cose” di un intellettuale molto apprezzato nel panorama culturale italiano e non solo: Aldo Cazzullo, scrittore ed editorialista del Corriere della Sera.
Cazzullo, che ha una forte esperienza sui fatti del mondo grazie al suo essere giornalista e a un formidabile ecoscandaglio critico che lo porta oltre l’osservazione apparente dei fatti, ha risposto alle sollecitazioni del nostro Luciano Armeli Iapichino, sull’informazione, sull’identità nazionale, sulle “macerie” di una Europa sempre più moribonda e sui libri. E sì, perché i libri restano sempre un riferimento inamovibile di orientamento e di sopravvivenza anche quando gli orizzonti paventano tenebre e miserie.
Il Presidente della Fondazione, Salvatore Calleri e lo scrittore siciliano ringraziano Aldo Cazzullo per l’immediata disponibilità al confronto. A voi, il report dell’interessante intervista.     

Quale giudizio formula per l’informazione nazionale in tempi di Covid-19?

Per quanto riguarda l’informazione mi ha colpito una cosa che ha detto Emmanuel Macron, parlando ai francesi; ha detto c’è stata una prima linea in questa crisi, medici, infermieri, volontari del 118, poliziotti, carabinieri … poi c’è stata una seconda linea, cassieri del supermercato, farmacisti, persone che hanno continuato a lavorare comunque, e Macron ha citato anche i cronisti, i reporter; cioè c’è gente che ha rischiato di prendere il Covid e c’è gente che ha preso il Covid, che è andata in prima linea, è andata negli ospedali a parlare con la gente, a vivere le vite degli altri com’era nel giusto del nostro mestiere; dunque io penso che la grande maggioranza dei giornalisti abbia lavorato molto e bene. Poi ci sono sempre i cialtroni che pontificano di cose di cui non sanno nulla, convinti che i confini del mondo coincidano con i confini della loro testa e che il giornalismo sia accumulare like su Twitter: ho pietà per loro e ho pietà anche per coloro che gli danno il like e che pensano che il giornalismo sia quella roba lì. 

L’identità italiana ne esce più rafforzata o frammentata per via di una trincea politica più logorata e litigiosa anziché collaborativa e sinergica?

Sono da sempre convinto che noi italiani siamo più legati all’Italia di quello che andiamo a riconoscere; ci piace parlarne male ma lo vogliamo fare soltanto noi. Quando sentiamo uno straniero che critica l’Italia ci arrabbiamo: l’Italia è come la mamma, la possiamo criticare soltanto noi. E nei momenti difficili viene fuori questa identità nazionale: la si è espressa, a volte, in forme inutilmente chiassose, un po’ esibizioniste, però l’applauso a medici e infermieri era una bella cosa; il tricolore ai balconi era ed è una bella cosa. È venuto fuori anche il legame con la famiglia, con il campanile, con la piccola patria: il dialetto, il territorio, che è una cosa positiva perché la bellezza di essere italiani è anche essere diversi gli uni dagli altri, ed è un legame che non ostacola, non allenta, il legame con la piccola patria, che non è in contrasto con il legame che ci unisce alla patria comune, l’Italia. Poi, quando si parla di Napoli, io tendo sempre ad aggiungere che la vera capitale della cultura materiale italiana sia Napoli. All’estero pensano l’Italia come un’immensa Napoli: il mare, il sole, la pizza, pulcinella … A me piace pensare anche cose meno oleografiche, il cinema di Totò, il teatro di Eduardo, la musica di Pino Daniele … insomma qualsiasi italiano è anche un po’ napoletano.
Io quando vado a Napoli non mi sento né un turista né un estraneo, anche se non amo molto questo spirito neoborbonico che presenta i mali del sud come colpa di altri, come colpa del nord. È uno spirito perfettamente speculare a quello dei nordisti che dicono che il nord sarebbe la Baviera se non ci fosse il sud. L’idea è sempre la stessa: la colpa dei nostri guai non è nostra ma di altri italiani, quindi non ci possiamo fare niente. È un ragionamento consolatorio ma sbagliato e anche controproducente perché non porta a fare nulla per i tuoi mali che sono colpa degli altri, allora non fai nulla... È un atteggiamento ritengo che sia da respingere.   


Oggi l’Unione Europea che è un modello confederale è poco amato. Il sogno europeo doveva essere un sogno federale sul modello degli Stati Uniti d'Europa come volevano il gruppo di Ventotene e Churchill. Cosa pensa del modello federale?

Proprio oggi (l’intervista è di sabato 9 maggio) è il giorno dell’Europa e non mi pare che sia stato celebrato adeguatamente. Un po' perché, forse, ci sono troppo “giornate di”: la giornata della terra, la giornata del libro … tutte cose nobili ma se ogni giorno è un giorno di qualcosa si finisce con il perdere il ritmo e il senso. Noi non saremo mai, temo, gli Stati Uniti d’Europa, comunque la nostra generazione non li vedrà perché c’è stata anzi una frenata: nel 2005 la Francia boccia la costituzione europea; poi fa altrettanto anche l’Olanda, e poi la Brexit, e poi il sovranismo, e poi Orban, e anche la leadership tedesca che è stata poco lungimirante. Non dico poco generosa, dico poco lungimirante: la Germania deve capire che un’Italia a pezzi, una Spagna a pezzi e una Francia in difficoltà non conviene neanche a lei. Quindi una Europa federale? Non lo so … io penso che l’obiettivo immediato dovrebbe essere una maggiore solidarietà mentre vedo una grande divisione, non soltanto economica, ma anche culturale tra il nord protestante e il sud cattolico e ortodosso. Penso alla Grecia che in questi anni, per sua colpa ma non soltanto per sua colpa, ha sofferto molto. Forse troppo. Angela Merkel è stata perfetta dal punto di vista dei tedeschi, anche nella gestione del Covid: la Germania è di gran lunga uno dei paesi meno colpito, però la Merkel deve decidere se vuole passare alla storia come statista tedesca o come statista europea. Temo che abbia scelto di passare alla storia come statista tedesca.

Due libri che hanno segnato la sua formazione esistenziale.

Da ragazzo ho amato molto “I dolori del giovane Werther”: l’amore infelice, l’amore sfortunato … e anche I promessi sposi che è un po' un romanzo fondativo della nazione. Il libro che ho riscoperto in questi mesi è La Divina Commedia, infatti sto scrivendo un libro su Dante e lo considero il poeta che inventò l’Italia; non soltanto perché ha dato dignità letteraria alla lingua italiana ma perché è il primo che proprio recupera le idee d’Italia. L’Italia ha questo di speciale: non è nata dai campi di battaglia, dalla diplomazia, da un matrimonio dinastico, da una guerra. L’Italia è nata dalla bellezza, dalla cultura, dall’arte, dagli affreschi di Giotto, dai versi di Dante, dal Rinascimento …. E quindi in qualche modo l’Italia c’era già da molto tempo, prima che nel 1861 diventasse uno Stato. Penso che rileggere Manzoni, Dante, in questi mesi di difficoltà, di crisi, di crisi identitaria, faccia bene.
 

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